«Italiani? Allora avete il Coronavirus». Il racconto della biscegliese bloccata in Argentina
La studentessa a BisceglieViva: «Discriminati dai vicini e da un servizio in diretta su una tv nazionale. A distanza di dieci giorni la situazione è migliorata»
mercoledì 22 aprile 2020
11.01
«Terrorizzati dagli scarafaggi trovati nella prima sistemazione rimediata, abbiamo chiesto alle autorità - e ottenuto - il permesso di traslocare in un'altra abitazione. L'abbiamo fatto coi documenti in regola e controllati anche dalla Polizia com'era giusto che fosse, ma i vicini e un'emittente tv nazionale ci hanno attaccati verbalmente con frasi discriminatorie per via della nazionalità, accusandoci di essere infetti da Coronavirus in quanto italiani».
È come minimo una disavventura - a voler essere magnanimi - quella in cui sono incappati tre studenti italiani giunti a Buenos Aires prima del 20 febbraio per un progetto Erasmus. La situazione, per fortuna, sembra essere migliorata a distanza di una decina di giorni dall'episodio più spiacevole, la cui eco è stata piuttosto notevole, al punto da giungere in Italia. Una delle tre persone coinvolte è la studentessa biscegliese Simona Acquaviva, che ha raccontato la vicenda, con alcuni particolari importanti, in un'intervista rilasciata a BisceglieViva.
Una volta giunti a Buenos Aires avete riscontrato delle criticità all'interno di un primo alloggio. Descrivicele e spiegaci se avevate scelto voi di prendere casa in quello stabile.
Abbiamo vissuto tantissimi disagi a causa dei problemi constatatati nella prima casa, nella quale abbiamo abitato non appena giunti nella capitale argentina. Non riuscivo più a dormire la notte, perché ero terrorizzata dagli scarafaggi, presenti praticamente in ogni angolo dell'abitazione. Tra le altre criticità c'era anche una finestra rotta e il bagno era completamente andato, dato che si allagava in continuazione. Non ci trovavamo a nostro agio e abbiamo chiesto al Commissariato di traslocare appena possibile.
Scaduto il contratto d'affitto l'11 aprile scorso, avete deciso di trasferirvi. Raccontaci come sono andate le cose.
Ci siamo recati dalla Polizia per raccontare tutto, partendo dal presupposto della conclusione degli effetti del contratto d'affitto. Ci hanno risposto che non ci sarebbero stati problemi e, dopo aver trovato un'altra abitazione su Internet, ci siamo mossi per effettuare il trasloco col permesso di autocertificazione, che la Polizia, informata costantemente dei nostri spostamenti, ci aveva anche consigliato di compilare.
Prima di ricevere la "visita" dell'inviata di una trasmissione televisiva, avete avuto il sentore di lamentele da parte dei vicini?
Trascorsa appena un'ora dalla sistemazione nel nuovo appartamento (in Barrio Palermo) ci ha scritto il proprietario, comunicando che di lì a poco sarebbe arrivata la Polizia. I sei agenti delle forze dell'ordine giunti sul posto hanno controllato tutte le carte, i documenti e hanno riscontrato che era tutto a norma.
Solo a quel punto è emersa l'indignazione dei vicini: «Ma come può essere tutto a posto? Non avete visto di che nazionalità sono? Questo trasloco non si può fare. Questi ci infettano tutti» sono state alcune esclamazioni pronunciate nei nostri confronti.
Non esattamente la migliore accoglienza possibile...
Il controllo è andato a buon fine per noi ma i vicini, non contenti, hanno deciso di avvertire dei giornalisti di ben due emittenti televisive differenti, entrambi a diffusione nazionale, che si sono appostati, citofonandoci pure. Tutto questo è andato avanti per un paio d'ore. Mentre i giornalisti ci rivolgevano domande dal citofono insistendo per farci scendere (uno di essi si è spacciato addirittura per il portiere dello stabile), il proprietario dell'appartamento ci ha avvisato di essere in diretta televisiva con immagini girate nei paraggi e davanti al palazzo, naturalmente a nostra insaputa.
L'inviata di una di queste trasmissioni ("Quedate en casa", in onda nella fascia serale sulla tv nazionale El nueve) mi ha anche bloccato sotto il portone, visto che ero uscita per ritirare la cena d'asporto. Abbiamo parlato poi con una delle responsabili di studenti italiani a Buenos Aires, che ha presentato una denuncia all'Inadi durante la trasmissione pomeridiana.
Pensi che tutta questa "attenzione" sia dovuta al fatto che siete italiani?
Non c'è dubbio. Se non fossimo stati italiani, la faccenda si sarebbe conclusa coi controlli della Polizia e la constatazione che era tutto in regola. Ma così non è stato. Le ragioni dei nostri vicini? Potevamo avere il Covid-19 e rappresentare un focolaio solo a causa della nostra nazionalità italiana. Ci siamo sentiti delle vittime, in quel momento.
È stato, purtroppo, solo il terzo caso complessivo di discriminazione in ordine di tempo, perché quando eravamo nell'altra abitazione avevamo già ricevuto un messaggio intimidatorio sotto la porta e qualche parola di troppo l'abbiamo sentita anche in aeroporto al nostro arrivo.
Come si è evoluta la situazione a distanza di una decina di giorni e come stai adesso?
La situazione, per fortuna, sembra un po' migliorata: speriamo di lasciarcela presto alla spalle come uno spiacevole ricordo. Qualche giorno fa abbiamo ricevuto la lettera di un vicino che ci esprimeva massima solidarietà per quello che ci era accaduto. Un gesto molto bello. Devo comunque riscontrare, in definitiva, che pochissime persone, rivolgendosi alle tv, sono riuscite a scatenare il delirio.
È come minimo una disavventura - a voler essere magnanimi - quella in cui sono incappati tre studenti italiani giunti a Buenos Aires prima del 20 febbraio per un progetto Erasmus. La situazione, per fortuna, sembra essere migliorata a distanza di una decina di giorni dall'episodio più spiacevole, la cui eco è stata piuttosto notevole, al punto da giungere in Italia. Una delle tre persone coinvolte è la studentessa biscegliese Simona Acquaviva, che ha raccontato la vicenda, con alcuni particolari importanti, in un'intervista rilasciata a BisceglieViva.
Una volta giunti a Buenos Aires avete riscontrato delle criticità all'interno di un primo alloggio. Descrivicele e spiegaci se avevate scelto voi di prendere casa in quello stabile.
Abbiamo vissuto tantissimi disagi a causa dei problemi constatatati nella prima casa, nella quale abbiamo abitato non appena giunti nella capitale argentina. Non riuscivo più a dormire la notte, perché ero terrorizzata dagli scarafaggi, presenti praticamente in ogni angolo dell'abitazione. Tra le altre criticità c'era anche una finestra rotta e il bagno era completamente andato, dato che si allagava in continuazione. Non ci trovavamo a nostro agio e abbiamo chiesto al Commissariato di traslocare appena possibile.
Scaduto il contratto d'affitto l'11 aprile scorso, avete deciso di trasferirvi. Raccontaci come sono andate le cose.
Ci siamo recati dalla Polizia per raccontare tutto, partendo dal presupposto della conclusione degli effetti del contratto d'affitto. Ci hanno risposto che non ci sarebbero stati problemi e, dopo aver trovato un'altra abitazione su Internet, ci siamo mossi per effettuare il trasloco col permesso di autocertificazione, che la Polizia, informata costantemente dei nostri spostamenti, ci aveva anche consigliato di compilare.
Prima di ricevere la "visita" dell'inviata di una trasmissione televisiva, avete avuto il sentore di lamentele da parte dei vicini?
Trascorsa appena un'ora dalla sistemazione nel nuovo appartamento (in Barrio Palermo) ci ha scritto il proprietario, comunicando che di lì a poco sarebbe arrivata la Polizia. I sei agenti delle forze dell'ordine giunti sul posto hanno controllato tutte le carte, i documenti e hanno riscontrato che era tutto a norma.
Solo a quel punto è emersa l'indignazione dei vicini: «Ma come può essere tutto a posto? Non avete visto di che nazionalità sono? Questo trasloco non si può fare. Questi ci infettano tutti» sono state alcune esclamazioni pronunciate nei nostri confronti.
Non esattamente la migliore accoglienza possibile...
Il controllo è andato a buon fine per noi ma i vicini, non contenti, hanno deciso di avvertire dei giornalisti di ben due emittenti televisive differenti, entrambi a diffusione nazionale, che si sono appostati, citofonandoci pure. Tutto questo è andato avanti per un paio d'ore. Mentre i giornalisti ci rivolgevano domande dal citofono insistendo per farci scendere (uno di essi si è spacciato addirittura per il portiere dello stabile), il proprietario dell'appartamento ci ha avvisato di essere in diretta televisiva con immagini girate nei paraggi e davanti al palazzo, naturalmente a nostra insaputa.
L'inviata di una di queste trasmissioni ("Quedate en casa", in onda nella fascia serale sulla tv nazionale El nueve) mi ha anche bloccato sotto il portone, visto che ero uscita per ritirare la cena d'asporto. Abbiamo parlato poi con una delle responsabili di studenti italiani a Buenos Aires, che ha presentato una denuncia all'Inadi durante la trasmissione pomeridiana.
Pensi che tutta questa "attenzione" sia dovuta al fatto che siete italiani?
Non c'è dubbio. Se non fossimo stati italiani, la faccenda si sarebbe conclusa coi controlli della Polizia e la constatazione che era tutto in regola. Ma così non è stato. Le ragioni dei nostri vicini? Potevamo avere il Covid-19 e rappresentare un focolaio solo a causa della nostra nazionalità italiana. Ci siamo sentiti delle vittime, in quel momento.
È stato, purtroppo, solo il terzo caso complessivo di discriminazione in ordine di tempo, perché quando eravamo nell'altra abitazione avevamo già ricevuto un messaggio intimidatorio sotto la porta e qualche parola di troppo l'abbiamo sentita anche in aeroporto al nostro arrivo.
Come si è evoluta la situazione a distanza di una decina di giorni e come stai adesso?
La situazione, per fortuna, sembra un po' migliorata: speriamo di lasciarcela presto alla spalle come uno spiacevole ricordo. Qualche giorno fa abbiamo ricevuto la lettera di un vicino che ci esprimeva massima solidarietà per quello che ci era accaduto. Un gesto molto bello. Devo comunque riscontrare, in definitiva, che pochissime persone, rivolgendosi alle tv, sono riuscite a scatenare il delirio.