Decreto Minniti-Orlando, protesta della Comunità Oasi 2 San Francesco
Contrarietà alle nuove norme riguardo le procedure per l'esame dei ricorsi sulle domande d'asilo
sabato 15 aprile 2017
Anche la comunità Oasi 2 si unisce alle proteste del mondo sociale contro il decreto Minniti-Orlando riguardo l'immigrazione, approvato dalla Camera mercoledì 12 aprile.
Il provvedimento, denominato "Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell'immigrazione illegale", sarebbe secondo le dichiarazioni degli stessi ministri, funzionale all'esigenza del governo di accelerare le procedure per l'esame dei ricorsi sulle domande d'asilo, che nell'ultimo anno sono aumentate e hanno intasato i tribunali. L'esecutivo intende anche aumentare il numero delle effettive espulsioni di migranti irregolari.
In sintesi il dispositivo prevede l'abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego, l'abolizione dell'udienza, l'estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari e l'introduzione del lavoro volontario per i migranti.
Nel primo grado di giudizio l'attuale "rito sommario di cognizione" sarà sostituito con un rito camerale senza udienza, nel quale il giudice prenderà visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale, senza contraddittorio e senza che il giudice possa rivolgere domande al richiedente asilo che ha presentato il ricorso.
Il piano prevede inoltre un allargamento della rete dei centri per il rimpatrio, gli attuali Cie si chiameranno Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio). Si passerà da quattro a venti centri, uno in ogni regione, per un totale di 1.600 posti. Il ministro degli interni Minniti ha assicurato che i nuovi centri saranno piccoli, con una capienza di cento persone al massimo, sorgeranno lontano dalle città e vicino agli aeroporti e soprattutto saranno «tutt'altra cosa rispetto ai Cie».
Arci, Acli, Fondazione Migrantes, Baobab, Asgi, Medici senza frontiere, Cgil, A buon diritto, Centro Astalli hanno promosso una protesta contro il decreto, che non è bastata a fermarne l'approvazione. La comunità Oasi2 San Francesco Onlus si unisce alla protesta di chi da anni lavora nel settore rilevando le numerose criticità dell'impianto legislativo.
«Annullare la possibilità del ricorso e abolire l'udienza - spiegano gli operatori - significa negare la possibilità di avere un giusto processo, il diritto al contraddittorio e legittimare l'applicazione di un diritto differenziale a seconda della "categoria sociale". Ribattezzare i Cie come Cpr, con modalità apparentemente nuove, favorisce una ghettizzazione che segue le logiche securitarie, piuttosto che quelle umanitarie.
Per migliorare l'efficacia e l'efficienza del sistema avrebbe molto più senso investire risorse nella creazione di canali umanitari, rivedere la legislazione attuale, lacunosa in molte parti, puntando anche sulla regolarizzazione dei lavoratori già presenti sul territorio italiano che sempre più numerosi affollano ghetti metropolitani e rurali.
In qualità di lavoratori esperti del settore, da anni critichiamo fortemente la filosofia ispiratrice il nuovo decreto, che "rischia di trasformarci da operatori sociali in pubblici ufficiali": l'immigrazione non è un fenomeno ascrivibile e da esporre alle sole politiche securitarie, ma una questione molto più complessa, che impone approcci integrati e ispirati maggiormente alla tutela dei diritti inviolabili della Persona, a visioni di società aperte e multiculturali e basate sul welfare».
Il provvedimento, denominato "Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell'immigrazione illegale", sarebbe secondo le dichiarazioni degli stessi ministri, funzionale all'esigenza del governo di accelerare le procedure per l'esame dei ricorsi sulle domande d'asilo, che nell'ultimo anno sono aumentate e hanno intasato i tribunali. L'esecutivo intende anche aumentare il numero delle effettive espulsioni di migranti irregolari.
In sintesi il dispositivo prevede l'abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego, l'abolizione dell'udienza, l'estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari e l'introduzione del lavoro volontario per i migranti.
Nel primo grado di giudizio l'attuale "rito sommario di cognizione" sarà sostituito con un rito camerale senza udienza, nel quale il giudice prenderà visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale, senza contraddittorio e senza che il giudice possa rivolgere domande al richiedente asilo che ha presentato il ricorso.
Il piano prevede inoltre un allargamento della rete dei centri per il rimpatrio, gli attuali Cie si chiameranno Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio). Si passerà da quattro a venti centri, uno in ogni regione, per un totale di 1.600 posti. Il ministro degli interni Minniti ha assicurato che i nuovi centri saranno piccoli, con una capienza di cento persone al massimo, sorgeranno lontano dalle città e vicino agli aeroporti e soprattutto saranno «tutt'altra cosa rispetto ai Cie».
Arci, Acli, Fondazione Migrantes, Baobab, Asgi, Medici senza frontiere, Cgil, A buon diritto, Centro Astalli hanno promosso una protesta contro il decreto, che non è bastata a fermarne l'approvazione. La comunità Oasi2 San Francesco Onlus si unisce alla protesta di chi da anni lavora nel settore rilevando le numerose criticità dell'impianto legislativo.
«Annullare la possibilità del ricorso e abolire l'udienza - spiegano gli operatori - significa negare la possibilità di avere un giusto processo, il diritto al contraddittorio e legittimare l'applicazione di un diritto differenziale a seconda della "categoria sociale". Ribattezzare i Cie come Cpr, con modalità apparentemente nuove, favorisce una ghettizzazione che segue le logiche securitarie, piuttosto che quelle umanitarie.
Per migliorare l'efficacia e l'efficienza del sistema avrebbe molto più senso investire risorse nella creazione di canali umanitari, rivedere la legislazione attuale, lacunosa in molte parti, puntando anche sulla regolarizzazione dei lavoratori già presenti sul territorio italiano che sempre più numerosi affollano ghetti metropolitani e rurali.
In qualità di lavoratori esperti del settore, da anni critichiamo fortemente la filosofia ispiratrice il nuovo decreto, che "rischia di trasformarci da operatori sociali in pubblici ufficiali": l'immigrazione non è un fenomeno ascrivibile e da esporre alle sole politiche securitarie, ma una questione molto più complessa, che impone approcci integrati e ispirati maggiormente alla tutela dei diritti inviolabili della Persona, a visioni di società aperte e multiculturali e basate sul welfare».