Essere pazienti mentre tutti corrono: la storia di In grano veritas
Letizia ed Andrea, fondatori di "In grano veritas", raccontato la storia del loro forno da poco insignito dell’ambito riconoscimento del Gambero Rosso
mercoledì 3 luglio 2024
10.09
Un'attività, quella degli artigiani che spesso involontariamente passa all'oblio delle cronache, ma che invece sta alla base delle tradizioni e del progresso. La questione climatica e ambientale non può prescindere da un'analisi dei metodi di produzione e di consumazione di prodotti anche culinari che si è soliti consumare quotidianamente. L'agenda 2030 che gli stati europei si impegnano a rispettare presenta come undicesimo obiettivo proprio la sostenibilità di città e comunità preceduto dall'obiettivo di un'energia pulita e accessibile (7). Al 13esimo posto la lotta contro il cambiamento climatico. BisceglieViva ha dunque intervistato Letizia Pellegrini e Adrea Dell'Olio, i due giovani fondatori di "In grano veritas", forno biscegliese da poco insignito dell'ambizioso riconoscimento di Gambero Rosso, che anche nel processo di produzione si impegna per una produzione e distribuzione dei propri prodotti quanto più rispettosa dell'ambiente. "There is not Planet B".
«Abbiamo aperto nel maggio 2022. Siamo lieti di aver raccolto in così poco tempo una clientela ormai affezionata ed aver portato a casa l'ambito riconoscimento di "Gambero Rosso". La nostra parola d'ordine di fronte al mercato consumistico del cibo è "pazienza"» ha raccontato Pellegrini.
Molte le difficoltà incontrate inizialmente: complessa la ricerca di personale qualificato nel mondo della panificazione; clientela inizialmente disorientata e diffidente di un così originale modo di fare pane. «All'inizio abbiamo incontrato qualche perplessità da parte dei consumatori. Tuttavia ad oggi quella perplessità si è trasformata in caldo affetto verso il nostro forno: abbiamo una clientela tanto varia quanto consapevole del prodotto che ha sulla propria tavola - ha raccontato il mastropanettiere Andrea dell'Olio -. Abbiamo trovato la vera innovazione nel recupero della tradizione: i nostri clienti più giovani (una grande fetta per fortuna) apprezzano il nostro sforzo continuo per una produzione sostenibile ed etica, che rispetti il clima e l'ambiente; la fetta più anziana invece apprezza il nostro pane perché ci rivede il pane della sua infanzia, quello fatto in casa che rappresentava il protagonista di ogni pasto. Più che solo pane, tramite i nostri prodotti cerchiamo di vendere un'esperienza o un ricordo d'infanzia».
«Purtroppo è molto complesso trovare persone under trenta che si occupino del mestiere del panettiere: è un lavoro faticoso, ma allo stesso tempo molto creativo. La cucina performativa che vediamo in tv non fa che rendere un'idea profondamente lontana da ciò che è realmente. Nel nostro forno serve pazienza e cura, come se ogni ingrediente fosse una pianta da annaffiare con devozione e attenzione - ha aggiunto Dell'Olio -. Non c'è nulla di performativo nello svegliarsi alle tre e controllare il lievito, che determina poi tutta la produzione. Ma è proprio questo che rende questo mestiere affascinante: ripudia l'effimera frenesia che ci fa correre continuamente. Correre, per andare dove?» ha poi concluso.
Molta attenzione rivolta anche alle modalità di distribuzione del pane: si cerca di ridurre l'uso di plastica per conservare il pane.
«Da principio abbiamo preferito offrire al consumatore pagnotte di grande formato, piuttosto che panini di piccola pezzatura in quanto la criticità di questa forma di pane è che purtroppo se ne spreca molto di più perché se una pagnotta intera di pane si può conservare per tanti giorni, i panini avranno vita di gran lunga più breve. Questo vuol dire che tutto l'invenduto deve poi essere buttato. Fa parte della nostra piccola rivoluzione quindi, ritornare all'ottica dell'antispreco, a una produzione e consumazione consapevole» hanno spiegato i due.
Imprescindibile anche il km 0: tornare ai mulini locali, dare valore alle produzioni di Puglia, Basilicata, Sicilia: «Ci impegniamo per valorizzare la produzione sostenibile. Su territorio biscegliese è insidioso perché per molti versi non è economicamente sostenibile. Per noi che ci forniamo da mulini molto piccoli, che fanno agricoltura in maniera sostenibile e non industrializzata soprattutto da mulini che hanno macine a pietra fare questo tipo di produzione agricola è costoso, così come lo è per l'agricoltore stesso perché ci sono tante variabili che non si possono controllare, soprattutto per quanto concerne l'agricoltura biologica. Questo vuol dire automaticamente vendere un prezzo più caro e fare una scelta impopolare: è lapalissiano però che non sia una spesa fine a sé stessa quanto più un investimento per la qualità del prodotto. Non abbiamo grandi disavanzi di prodotti anche perché producendo su piccola scala cerchiamo di sprecare il meno possibile. Usufruiamo di questa piattaforma too good to go, che permette appunto di vendere ad un prezzo scontato ciò che a fine giornata avanza. È un vantaggio sia per chi acquista perché acquista ad un prezzo scontato, sia per noi perché ci permette di non buttare l'invenduto del giorno. Ci sono state occasioni in cui abbiamo anche collaborato con associazioni o cerchiamo di inventarci qualcosa per riutilizzare il pane che avanza - ha raccontato Letizia Pellegrini -. Il mulino con il quale collaboriamo sin dall'inizio della nostra attività si trova proprio nel foggiano. Si tratta di uno dei pochi mulini in zona che negli anni ha provato a riportare in vita delle varietà antiche di grano, di farro e attualmente coltivano anche la segale in una maniera del tutto sostenibile: avendo loro un bio digestore, ricavano l'energia utilizzata per i mulini recuperando l'energia dagli sfalci dell'agricoltura o dal letame. Oltre a questo qui, ce ne sono alcuni della Basilicata e attualmente stiamo collaborando molto con la Sicilia perché siamo innamorati dei grandi duri siciliani. Per quanto concerne il Nord invece, collaboriamo anche con alcuni mulini di Merano per la segale: pur essendo lontano di qui, rispettare l'origine locale del prodotto, andando a limitare al massimo l'intervento esterno sulla materia prima».
Conservare il pane come se ciò che davvero deve essere conservato sia l'arte e l'affetto con cui "In grano veritas" svolge quotidianamente il proprio lavoro: «La nostra peculiarità, piuttosto che il metodo di lavorazione è proprio la scelta dei materiali, quindi la ricerca e la selezione della materia prima più adeguata. Sicuramente non è un mestiere performativo quello del mastropanettiere, è difficile, è pesante. Direi una bugia se ti dicessi che presenta solo lati positivi. È un lavoro difficile, audace: la passione ti aiuta, le soddisfazioni anche, ma serve anche tanta pazienza e resistenza. Forse un po' di testardaggine. Mangiare è come prendersi cura di sé, quello che mangi ti deve interessare, se hai voglia di entrare o semplicemente affacciarti nel settore ti deve interessare mangiare bene e sapere cosa stai mangiando» ha concluso Andrea. «Ci auguriamo che giovani della nuova generazione vogliano affacciarsi e scoprire questo settore, in modo tale che il nostro antico mestiere non si estingua con questa nostra generazione» ha aggiunto Letizia.
«Abbiamo aperto nel maggio 2022. Siamo lieti di aver raccolto in così poco tempo una clientela ormai affezionata ed aver portato a casa l'ambito riconoscimento di "Gambero Rosso". La nostra parola d'ordine di fronte al mercato consumistico del cibo è "pazienza"» ha raccontato Pellegrini.
Molte le difficoltà incontrate inizialmente: complessa la ricerca di personale qualificato nel mondo della panificazione; clientela inizialmente disorientata e diffidente di un così originale modo di fare pane. «All'inizio abbiamo incontrato qualche perplessità da parte dei consumatori. Tuttavia ad oggi quella perplessità si è trasformata in caldo affetto verso il nostro forno: abbiamo una clientela tanto varia quanto consapevole del prodotto che ha sulla propria tavola - ha raccontato il mastropanettiere Andrea dell'Olio -. Abbiamo trovato la vera innovazione nel recupero della tradizione: i nostri clienti più giovani (una grande fetta per fortuna) apprezzano il nostro sforzo continuo per una produzione sostenibile ed etica, che rispetti il clima e l'ambiente; la fetta più anziana invece apprezza il nostro pane perché ci rivede il pane della sua infanzia, quello fatto in casa che rappresentava il protagonista di ogni pasto. Più che solo pane, tramite i nostri prodotti cerchiamo di vendere un'esperienza o un ricordo d'infanzia».
«Purtroppo è molto complesso trovare persone under trenta che si occupino del mestiere del panettiere: è un lavoro faticoso, ma allo stesso tempo molto creativo. La cucina performativa che vediamo in tv non fa che rendere un'idea profondamente lontana da ciò che è realmente. Nel nostro forno serve pazienza e cura, come se ogni ingrediente fosse una pianta da annaffiare con devozione e attenzione - ha aggiunto Dell'Olio -. Non c'è nulla di performativo nello svegliarsi alle tre e controllare il lievito, che determina poi tutta la produzione. Ma è proprio questo che rende questo mestiere affascinante: ripudia l'effimera frenesia che ci fa correre continuamente. Correre, per andare dove?» ha poi concluso.
Molta attenzione rivolta anche alle modalità di distribuzione del pane: si cerca di ridurre l'uso di plastica per conservare il pane.
«Da principio abbiamo preferito offrire al consumatore pagnotte di grande formato, piuttosto che panini di piccola pezzatura in quanto la criticità di questa forma di pane è che purtroppo se ne spreca molto di più perché se una pagnotta intera di pane si può conservare per tanti giorni, i panini avranno vita di gran lunga più breve. Questo vuol dire che tutto l'invenduto deve poi essere buttato. Fa parte della nostra piccola rivoluzione quindi, ritornare all'ottica dell'antispreco, a una produzione e consumazione consapevole» hanno spiegato i due.
Imprescindibile anche il km 0: tornare ai mulini locali, dare valore alle produzioni di Puglia, Basilicata, Sicilia: «Ci impegniamo per valorizzare la produzione sostenibile. Su territorio biscegliese è insidioso perché per molti versi non è economicamente sostenibile. Per noi che ci forniamo da mulini molto piccoli, che fanno agricoltura in maniera sostenibile e non industrializzata soprattutto da mulini che hanno macine a pietra fare questo tipo di produzione agricola è costoso, così come lo è per l'agricoltore stesso perché ci sono tante variabili che non si possono controllare, soprattutto per quanto concerne l'agricoltura biologica. Questo vuol dire automaticamente vendere un prezzo più caro e fare una scelta impopolare: è lapalissiano però che non sia una spesa fine a sé stessa quanto più un investimento per la qualità del prodotto. Non abbiamo grandi disavanzi di prodotti anche perché producendo su piccola scala cerchiamo di sprecare il meno possibile. Usufruiamo di questa piattaforma too good to go, che permette appunto di vendere ad un prezzo scontato ciò che a fine giornata avanza. È un vantaggio sia per chi acquista perché acquista ad un prezzo scontato, sia per noi perché ci permette di non buttare l'invenduto del giorno. Ci sono state occasioni in cui abbiamo anche collaborato con associazioni o cerchiamo di inventarci qualcosa per riutilizzare il pane che avanza - ha raccontato Letizia Pellegrini -. Il mulino con il quale collaboriamo sin dall'inizio della nostra attività si trova proprio nel foggiano. Si tratta di uno dei pochi mulini in zona che negli anni ha provato a riportare in vita delle varietà antiche di grano, di farro e attualmente coltivano anche la segale in una maniera del tutto sostenibile: avendo loro un bio digestore, ricavano l'energia utilizzata per i mulini recuperando l'energia dagli sfalci dell'agricoltura o dal letame. Oltre a questo qui, ce ne sono alcuni della Basilicata e attualmente stiamo collaborando molto con la Sicilia perché siamo innamorati dei grandi duri siciliani. Per quanto concerne il Nord invece, collaboriamo anche con alcuni mulini di Merano per la segale: pur essendo lontano di qui, rispettare l'origine locale del prodotto, andando a limitare al massimo l'intervento esterno sulla materia prima».
Conservare il pane come se ciò che davvero deve essere conservato sia l'arte e l'affetto con cui "In grano veritas" svolge quotidianamente il proprio lavoro: «La nostra peculiarità, piuttosto che il metodo di lavorazione è proprio la scelta dei materiali, quindi la ricerca e la selezione della materia prima più adeguata. Sicuramente non è un mestiere performativo quello del mastropanettiere, è difficile, è pesante. Direi una bugia se ti dicessi che presenta solo lati positivi. È un lavoro difficile, audace: la passione ti aiuta, le soddisfazioni anche, ma serve anche tanta pazienza e resistenza. Forse un po' di testardaggine. Mangiare è come prendersi cura di sé, quello che mangi ti deve interessare, se hai voglia di entrare o semplicemente affacciarti nel settore ti deve interessare mangiare bene e sapere cosa stai mangiando» ha concluso Andrea. «Ci auguriamo che giovani della nuova generazione vogliano affacciarsi e scoprire questo settore, in modo tale che il nostro antico mestiere non si estingua con questa nostra generazione» ha aggiunto Letizia.