Giulio Di Luzio grande protagonista al Chiostro Santa Croce con “Fimmene. Storie di donne e caporali”
L’inchiesta sullo sfruttamento e sulla violenza del bracciantato femminile nelle campagne pugliesi
sabato 26 agosto 2017
12.49
Giulio Di Luzio, giornalista e scrittore biscegliese, ha presentato venerdì sera, nell'ambito della kermesse letteraria "Libri nel Borgo Antico" il suo secondo romanzo dal titolo "Fimmene. Storie di donne e caporali". A moderare il libro, il professor Vito Antonio Leuzzi, storico e direttore dell'Istituto pugliese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea.
La lunga esperienza da giornalista d'inchiesta, svolta per le testate "Bergamo Oggi", "Il manifesto", "Liberazione", "la Repubblica" e il "Corriere del Mezzogiorno", ha contribuito notevolmente ad arricchire il già ampio bagaglio culturale dell'autore, che con dovizia di particolari ha affrontato argomenti tanto cari alla sua formazione intellettuale e politica, temi delicati di attualità, quali l'immigrazione, la clandestinità, i disastri ambientali nonché la condizione femminile nel modo del lavoro contraddistinta da sfruttamento e violenza e il dramma del caporalato.
Temi di etica e di portata sociale, che secondo l'autore, sono ormai assenti nel mondo della letteratura del XXI secolo, sempre più piegato alle logiche di mercato, che propone soltanto romanzi di tipo sentimentale. «Non è più richiesta la qualità: stiamo assistendo ad un vuoto narrativo, di contenuti, una totale mancanza di letteratura con funzione etica» ha affermato Di Luzio.
L'assenza di opere di denuncia nella letteratura è un vero e fondato cruccio per lo scrittore biscegliese che durante la presentazione del libro più volte ha citato il Calvino, con la sua ostinata voglia di scrivere temi di attualità, raccontando con precisione la realtà, analizzando gli aspetti rimossi, nascosti o addirittura censurati relativi a questioni che attanagliano la società odierna.
«Questo sforzo (il romanzo) è stato un tentativo di invertire questa tendenza, la narrativa deve affrontare questi temi e solo la narrativa può farlo grazie alla sua forza, guai se la narrativa si occupasse solo di storie di sentimentalismo di provincia» ha aggiunto. Di qui l'invito ad allargare gli orizzonti e a porsi degli obiettivi più ambiziosi, poiché la letteratura pone il lettore dinanzi alla cruda realtà dei fatti, con le spalle al muro, lo interroga e lo ferisce affinché questo rifletta, si ponga dei quesiti e indaghi sugli angoli più oscuri della società, affrontando le difficoltà dell'uomo. È questo il compito della letteratura.
Nel suo secondo romanzo "Fimmene, storie di donne e caporali" scopriamo delle pagine straordinarie di denuncia delle condizioni del lavoro delle Fimmene nelle campagne pugliesi costrette a sottostare alle rigide regole del caporalato.
Già dal titolo dell'opera si intuisce la ricerca dei termini svolta dallo scrittore. Le parole usate sono frutto di un'accurata ricerca.
Non è un caso se si parla di "Fimmene" e mai di "Donne".
La parola "Fimmene" è un termine dispregiativo che evoca una individuo di rango inferiore, un vocabolo che meglio di ogni altro vuole rappresentare la considerazione della donna nel mondo del lavoro agricolo, con la sua poca consapevolezza dei propri diritti.
Diritti calpestati da un sistema che gestisce schiere di braccianti costretti dalla miseria e per pochi spiccioli a spaccarsi la schiena sui campi, dopo viaggi infernali a bordo di furgoni scassati.
Proprio quei furgoni della morte diventeranno l'emblema del bracciantato femminile: un tragico e quotidiano copione di lutti, fra chi in un incidente perde la vita e chi – come Titti, una delle protagoniste di questo romanzo – resta invalida.
Un giorno, però, le Fimmene decidono di ribellarsi al caporalato e all'ipoteca che questo sistema minaccia di gettare sul loro futuro, dopo aver già segnato il destino delle loro madri e delle loro nonne. La sede della Camera del Lavoro, che per lungo tempo aveva ospitato solo partite di briscola fra anziani, torna così a essere il luogo in cui progettare il sogno della libertà. Un sogno che vedrà combattere al fianco di Titti e delle altre fimmene anche l'ex caporale Vincenzino, che si ribella al caporalato e si unisce al gruppo delle lavoratrici e al giovane sindacalista Michele.
«Un sogno acerbo e denso di coraggio, che dovrà però fare i conti con la durezza di una realtà che pare immutabile» ha concluso l'autore dinanzi ad una platea che è rimasta affascinata dai difficili temi affrontati.
La lunga esperienza da giornalista d'inchiesta, svolta per le testate "Bergamo Oggi", "Il manifesto", "Liberazione", "la Repubblica" e il "Corriere del Mezzogiorno", ha contribuito notevolmente ad arricchire il già ampio bagaglio culturale dell'autore, che con dovizia di particolari ha affrontato argomenti tanto cari alla sua formazione intellettuale e politica, temi delicati di attualità, quali l'immigrazione, la clandestinità, i disastri ambientali nonché la condizione femminile nel modo del lavoro contraddistinta da sfruttamento e violenza e il dramma del caporalato.
Temi di etica e di portata sociale, che secondo l'autore, sono ormai assenti nel mondo della letteratura del XXI secolo, sempre più piegato alle logiche di mercato, che propone soltanto romanzi di tipo sentimentale. «Non è più richiesta la qualità: stiamo assistendo ad un vuoto narrativo, di contenuti, una totale mancanza di letteratura con funzione etica» ha affermato Di Luzio.
L'assenza di opere di denuncia nella letteratura è un vero e fondato cruccio per lo scrittore biscegliese che durante la presentazione del libro più volte ha citato il Calvino, con la sua ostinata voglia di scrivere temi di attualità, raccontando con precisione la realtà, analizzando gli aspetti rimossi, nascosti o addirittura censurati relativi a questioni che attanagliano la società odierna.
«Questo sforzo (il romanzo) è stato un tentativo di invertire questa tendenza, la narrativa deve affrontare questi temi e solo la narrativa può farlo grazie alla sua forza, guai se la narrativa si occupasse solo di storie di sentimentalismo di provincia» ha aggiunto. Di qui l'invito ad allargare gli orizzonti e a porsi degli obiettivi più ambiziosi, poiché la letteratura pone il lettore dinanzi alla cruda realtà dei fatti, con le spalle al muro, lo interroga e lo ferisce affinché questo rifletta, si ponga dei quesiti e indaghi sugli angoli più oscuri della società, affrontando le difficoltà dell'uomo. È questo il compito della letteratura.
Nel suo secondo romanzo "Fimmene, storie di donne e caporali" scopriamo delle pagine straordinarie di denuncia delle condizioni del lavoro delle Fimmene nelle campagne pugliesi costrette a sottostare alle rigide regole del caporalato.
Già dal titolo dell'opera si intuisce la ricerca dei termini svolta dallo scrittore. Le parole usate sono frutto di un'accurata ricerca.
Non è un caso se si parla di "Fimmene" e mai di "Donne".
La parola "Fimmene" è un termine dispregiativo che evoca una individuo di rango inferiore, un vocabolo che meglio di ogni altro vuole rappresentare la considerazione della donna nel mondo del lavoro agricolo, con la sua poca consapevolezza dei propri diritti.
Diritti calpestati da un sistema che gestisce schiere di braccianti costretti dalla miseria e per pochi spiccioli a spaccarsi la schiena sui campi, dopo viaggi infernali a bordo di furgoni scassati.
Proprio quei furgoni della morte diventeranno l'emblema del bracciantato femminile: un tragico e quotidiano copione di lutti, fra chi in un incidente perde la vita e chi – come Titti, una delle protagoniste di questo romanzo – resta invalida.
Un giorno, però, le Fimmene decidono di ribellarsi al caporalato e all'ipoteca che questo sistema minaccia di gettare sul loro futuro, dopo aver già segnato il destino delle loro madri e delle loro nonne. La sede della Camera del Lavoro, che per lungo tempo aveva ospitato solo partite di briscola fra anziani, torna così a essere il luogo in cui progettare il sogno della libertà. Un sogno che vedrà combattere al fianco di Titti e delle altre fimmene anche l'ex caporale Vincenzino, che si ribella al caporalato e si unisce al gruppo delle lavoratrici e al giovane sindacalista Michele.
«Un sogno acerbo e denso di coraggio, che dovrà però fare i conti con la durezza di una realtà che pare immutabile» ha concluso l'autore dinanzi ad una platea che è rimasta affascinata dai difficili temi affrontati.