Il sepolcro vuoto della pandemia, annuncio di una vita che non muore

Messaggio di don Mario Pellegrino in occasione della Santa Pasqua

domenica 28 marzo 2021
Don Mario Pellegrino, sacerdote biscegliese fidei donum in Brasile, ha diffuso una lettera, rivolta alla comunità dell'Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, in occasione dell'imminente ricorrenza della Santa Pasqua. Una riflessione sull'approccio di ciascuno di noi alla festività religiosa e al significato della Resurrezione, specie in questo momento delicato.

Carissime sorelle e fratelli in Cristo,
immagino che tutti noi, in questa quaresima, siamo desiderosi di prepararci bene e vivere la nostra Pasqua da autentici risorti. E pensavo, dopo aver letto su internet alcune interessanti riflessioni, come in realtà è da oltre un anno che siamo in una forzata quaresima, vivendo nel deserto di emozioni, relazioni, contatti ed incontri. E in questo deserto continuiamo a vivere magari guardando i bollettini quotidiani nella speranza di un cambiamento; piangendo amici e famigliari che non ci sono più; sentendoci soli, a volte disperati ed incapaci di gestire il nostro futuro; tentando di riorganizzare la vita sperando in una normalità che ci appare ancora drammaticamente lontana.
E così continuiamo accampati in questo deserto senza aver idea di quando ne potremo uscirne.

Proviamo allora a dare senso a questo deserto, alzando la testa per guardare oltre, liberandoci da paure e angosce, rompendo il ghiaccio che è in noi, volando più in alto di quanto ci siamo rassegnati a fare.
Proviamo, allora, ad immergerci anche noi nella storia che il Vangelo del mattino di Pasqua di quest'anno ci comunica, parlandoci di una tomba vuota, di un andare e venire di donne e di uomini, della ricerca dell'amore perduto: c'è la corsa, le lacrime e il nome pronunciato come soltanto chi ama sa fare.

Sentiamoci protagonisti anche noi di questa vicenda, direttamente coinvolti per trasformare la nostra vita in un gioioso annuncio di speranza e di amore, in una parola, di vita autentica.
E vi invito, insieme a Maria di Magdala, ad uscire anche noi dalla casa della nostra rassegnazione, comodità e pessimismo quando è ancora notte, buio nel cielo e buio nel cuore. Sentiamoci a fianco a Maria di Magdala che non ha niente tra le mani, solo il suo amore che si ribella all'assenza di Gesù, perché, come ci ricorda Gabriel Marcel, amare è dire: tu non morirai!
Proviamo a sperimentare il suo stesso grande coraggio: quell'uomo amato, che aveva spalancato per lei orizzonti infiniti, è ora chiuso in un buco nella roccia. Tutto sembra finito e lei sperimenta la stessa disperazione che molti di noi vivono in questo tempo prolungato di pandemia.
Maria si reca al sepolcro come per dirci che lei apparteneva solo al Signore e dove era Lui, era anche il suo cuore; per questo non aveva paura di muoversi di notte, quando ancora era buio.
Imitiamo, allora, Maria di Magdala: lei non si lascia paralizzare, non cede alle forze oscure del lamento e del rimpianto, non si rinchiude nel pessimismo, non fugge dalla realtà, non rinuncia all'amore: nel buio del cuore accende la misericordia e la speranza. Nella sfida del dolore, confida nel Signore; senza saperlo, preparava nel buio di quel sabato "l'alba del primo giorno della settimana", il giorno che avrebbe cambiato la storia: Gesù, come seme nella terra, stava per far germogliare nel mondo una vita nuova; e lei, Maria di Magdala, con la preghiera e l'amore, stava aiutando la speranza a sbocciare.

Quante persone, in questi giorni tristi della pandemia, hanno fatto e fanno come Maria di Magdala, seminando germogli di speranza, con piccoli gesti di cura, di affetto, di preghiera.
Si, siamo chiamati ad essere come l'angelo che dice: "Non abbiate paura. Non è qui, è risorto", ed essere annunciatori e testimoni di speranza. "Non abbiate paura, non temete" sono le parole che Dio oggi ripete a ciascuno di noi nella notte che stiamo attraversando.
Questo annuncio di speranza nuova, viva, che viene da Dio, non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza. No, la speranza di Gesù è diversa, dona nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita.

Gesù è risorto per noi, per portare vita dove c'è morte, per avviare una storia nuova dove era stata messa una pietra sopra.
Lui, il Signore della Vita, che ha ribaltato il masso all'ingresso della tomba, può rimuovere i macigni che sigillano il nostro cuore; perciò non cediamo alla rassegnazione, non mettiamo una pietra sopra la speranza. Dobbiamo sperare, perché Dio è fedele, non ci lascia soli, ci visita in ogni nostra situazione, perfino nel dolore, nell'angoscia, nella morte. La sua luce illumina sempre l'oscurità del sepolcro e raggiunge gli angoli più bui della nostra vita. Il buio e la morte non hanno l'ultima parola. Gridiamo con la nostra vita: "Coraggio, perché con Dio niente è perduto!".
È Lui, il Risorto, che rialza noi bisognosi. Se ci sentiamo deboli e fragili nel cammino, se cadiamo, non temiamo, perché Dio ci tende la mano e sussurra al nostro cuore: "Coraggio!".
Invochiamo il Signore e preghiamolo: "Vieni, Gesù, entra nelle mie paure e di' anche a me: Coraggio! Con Te, Signore, saremo provati, ma non turbati, perché con Te la croce sfocia in risurrezione, perché Tu sei con noi nel buio delle nostre notti: sei certezza nelle nostre incertezze, Parola nei nostri silenzi, e niente potrà mai rubarci l'amore che nutri per noi".
Solo così avremo la forza di camminare con Maria di Magdala, arrivare al sepolcro e vedere che la pietra era stata tolta: davanti ai nostri occhi il sepolcro è spalancato, vuoto e risplendente, nel fresco dell'alba.
E, sentendo i primi respiri della primavera, con Maria di Magdala corriamo anche noi da Simon Pietro e dall'altro discepolo. E come lei, la donna forte accanto alla croce, stordita in faccia al sepolcro vuoto, sempre nominata per prima negli elenchi delle donne che seguono Gesù, rimettiamo in moto il racconto della fede: il Signore è risorto!

Come Maria di Magdala, che si è trovata davanti ad una sorpresa, anche noi oggi siamo inviati a cogliere gli annunci di Dio per noi come sorprese, perché il nostro Dio è il Dio delle sorprese. È così fin dall'inizio della storia della salvezza, da Abramo, Dio sempre ci sorprende, sempre c'è una sorpresa dietro l'altra. Dio non sa fare un annuncio senza sorprenderci senza commuovere il nostro cuore, senza toccarci proprio dove non ce lo aspettiamo.
Maria di Magdala corre, va in fretta dagli apostoli: le sorprese di Dio ci mettono in cammino, subito, senza aspettare. E così anche Pietro e Giovanni corrono per vedere; come i pastori la notte di Natale corrono: "Andiamo a Betlemme a vedere questo che ci hanno detto gli angeli"; come la Samaritana, corre per dire alla sua gente: "Ascoltate questa novità: ho trovato un uomo che mi ha detto tutto quello che io ho fatto"; anche noi corriamo, lasciamo quello che stiamo facendo: importante è andare, correre, per vedere quella sorpresa, quell'annuncio. Infatti, quante volte ancora oggi quando succede qualcosa di straordinario nei nostri quartieri, o nei villaggi, la gente corre a vedere, va in fretta.
E Maria di Magdala trova gli apostoli nascosti: su di loro era piombato un macigno, un dolore straziante era presente nel loro cuore, e tentavano di lenire quel vuoto nel cuore proprio stando insieme e così superare la paura di essere anche loro catturati e uccisi. Sicuramente Maria di Magdala troverà anche noi così; anche noi possiamo specchiarci negli stessi sentimenti di paura degli apostoli, perché anche noi tocchiamo con gli occhi il dramma della sofferenza, sperimentiamo nel cuore una tragedia inattesa accaduta troppo in fretta: abbiamo visto la morte e sentiamo la morte nel cuore.

Anche noi, come per gli apostoli, al dolore ci accompagna la paura di fare la stessa fine del Maestro e morire; per non parlare dei timori per il futuro: tutto è da ricostruire. Per loro era l'ora più buia, come per noi. Ma, improvvisamente, quella stessa paura che li ha spinti a nascondersi come dei topi ora svanisce.
Usciamo, allora, con Simon Pietro e l'altro discepolo e corriamo insieme ai due: lo stupore per quella notizia inattesa li ha spinti a correre; superano il calvario con ancora i segni del sangue dei crocefissi, segni di quella atroce vendemmia dell'odio e della violenza, e arrivano al piccolo promontorio di roccia, dove Giuseppe di Arimatea aveva fatto costruire la sua tomba, servita ora per accogliere il corpo straziato di Gesù. La pesante pietra che ne bloccava l'accesso, per impedire agli animali selvatici di fare scempio dei cadaveri, è ribaltata.
E così è bastata la parola di Maria di Magdala, anche lei col fiatone, quel grido: "Lo hanno portato via!" per correre. L'amore mette le ali e fa volare, lasciando alle nostre spalle tutte le paure e le incongruenze, i limiti e i peccati.
Sicuramente anche nella nostra corsa, arriverà per primo il discepolo che Gesù ama. È più giovane, certo, ma è anche un modo delicato per dirci che l'amore corre e arriva sempre prima, che l'amore si fida e crede; arriva prima di Pietro, dell'autorità, dell'istituzione.

C'è sempre questo duplice aspetto nella vita di fede: intuizione e istituzione, carisma e magistero, Giovanni e Pietro. Ma è sempre l'amore che precede. Nessuno si converte al risorto solo attraverso il ragionamento: l'amore creativo intuisce, arriva per primo alla conclusione.
Contempliamo, però, come Giovanni si ferma e lascia passare Pietro, lo rispetta; sa che entrambe le dimensioni sono essenziali: il carisma brucia, l'esperienza pondera; l'amore è folle, la prudenza lo incarna.
E quando arriva Pietro, tutti e due vedono che manca un corpo alla contabilità della morte, manca un ucciso ai conti della violenza. Quell'assenza richiede che la nostra vista si affini per vedere in profondità.
E cosa vedono se non appena semplici e piccoli segni: il lenzuolo, le bende, il sudario. Sono segni poveri che indicano la verità della resurrezione: nessun segno eclatante, o porte ribaltate, o luci abbaglianti. Niente. Perché la resurrezione è così: spinge a credere, ma senza obbligare.
Anche noi, se vogliamo, possiamo imitare Giovanni: vedere i semplici segni della presenza di Dio in mezzo a noi e credere. Si, perché la fede non è statica, non è inchiodata, ma è una corsa a perdifiato per verificare, per misurare la verità delle parole che altri testimoni ci hanno comunicato, per amare.
Chiediamoci, allora: ed io ho il cuore aperto alle sorprese di Dio, sono capace di andare in fretta, o sempre lascio tutto al domani, aspetto che siano gli altri ad agire per primi?

Giovanni e Pietro sono andati di corsa al sepolcro, videro e credettero: e io, oggi, in questa Pasqua 2021, cosa faccio? Tu, cosa fai? Noi cosa facciamo?
Corriamo, allora, nel nostro cammino di Pasqua, per convertirci alla gioia, per passare dalla visione crocefissa della fede ad una luminosa e gioiosa.
Gridiamo anche noi quel "Non è qui": Lui è dovunque, eccetto che fra le cose morte; lui è, ma va cercato fuori, altrove; è in giro per le strade, è in mezzo ai viventi; è Colui che vive, è un Dio che sempre ci sorprende nella vita.
E questo annuncio di speranza non può essere confinato appena nei nostri recinti sacri, ma va portato a tutti, perché tutti hanno bisogno di essere rincuorati e, se non lo facciamo noi, che abbiamo toccato con mano il Verbo della vita, chi lo farà?
Che bello essere cristiani che consolano, che portano i pesi degli altri, che portano il canto della vita, che incoraggiano: annunciatori di vita in tempo di morte!

E come papa Francesco ci esorta, mettiamo a tacere le grida di morte, silenziamo le guerre, fermiamo la produzione e il commercio delle armi, perché abbiamo bisogno di pane e di amore, non di fucili. Diciamo no agli aborti e a ogni forma di violenza che uccide sempre la vita, apriamo i nostri cuori per riempire le mani vuote di chi è privo del necessario. Facciamo risorgere i sogni di un mondo più umano in ogni scelta di amore, nei gesti di pace, negli abbracci, nella fame di giustizia. E allora si, celebreremo la Pasqua».