La scrittrice Eleonora Mazzoni con il suo libro su Manzoni a Bisceglie
Due appuntamenti: il 14 febbraio presso la biblioteca "L’Isola Che non c’è" e il 15 al liceo "Leonardo da Vinci"
martedì 13 febbraio 2024
9.55
Con "Il cuore è un guazzabuglio. Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni", uscito per Einaudi nell'aprile del 2023 e già arrivato alla sesta edizione, Eleonora Mazzoni ritorna domani 14 febbraio in Puglia, partendo da due appuntamenti a Bisceglie (ore 17:30, biblioteca l'Isola Che non c'è, Complesso don Uva. Dopodomani, 15 febbraio, alle ore 11 presso il liceo Leonardo da Vinci). Al pomeriggio, invece, alle ore 17:30, si sposterà al Laboratorio Urbano di Fasano, a Corso Vittorio Emanuele 76. Il 16 febbraio, sempre alle 17:30, sarà al Presidio del Libro di Ostuni.
Siamo veramente sicuri che Alessandro Manzoni assomigliasse a quell'uomo perennemente di mezz'età, dallo sguardo grave e mesto, come nel celebre ritratto di Hayez, che lo ha reso inviso a una marea di studenti? Leggendo con attenzione le milleottocento lettere che ci ha lasciato e le testimonianze o i ricordi di familiari e amici, l'impressione è del tutto diversa. Affabile conversatore, all'avanguardia su tutto, brillante, ironico, capace di non prendersi troppo sul serio, anche una volta diventato famoso, da giovane fu ribelle e libertino, rimanendo focoso per tutta la vita. Anche la sua tanto discussa conversione non lo trasformò in un bigotto baciapile. Tutt'altro. La religione, impastandosi con l'illuminismo in cui era cresciuto, slatentizzò le sue crisi di nervi, fu sempre lotta inquieta, mai facile consolazione, e lo spinse all'azione politica.
Sì, perché Manzoni fu un patriota risorgimentale. Il sogno che perseguì con chiarezza fu quello di un'Italia unita, libera dagli oppressori, indipendente. Eppure il "rivoluzionario Manzoni", come giustamente fu definito ai suoi tempi, era anche uno "spauresg", ovvero, in dialetto lombardo, un "pauroso". Uomo dalle passioni fortissime, reso fragile, durante l'infanzia, dall'abbandono materno e dalla mancanza di un padre, era scisso tra desiderio di agire e vocazione letteraria, tra attitudine alla rivolta e poesia, gesto e riflessione. Così, mentre i suoi migliori amici organizzavano la cospirazione contro gli Austriaci, venendo perseguitati senza scrupoli dalla polizia, condannati a morte, incarcerati nella fortezza dello Spielberg, lui cominciò a scrivere I promessi sposi.
In un clima di sorveglianza massima, spionaggio scrupoloso e censura assoluta, tenuto costantemente sott'occhio dalla polizia, Manzoni dentro quel suo romanzo ci buttò tutto: un'Italia succube di una dominazione straniera e il «governo più arbitrario combinato con l'anarchia feudale e l'anarchia popolare»; le prepotenze, i soprusi, la violenza e la corruzione; un matrimonio che non s'ha da fare, come era stato il suo con Enrichetta; l'angoscia per la salute cagionevole di sua moglie e la morte per morbillo della loro figlia Clara, con la «sensazione di un che di ignoto che ci minaccia»; la fede «restituita» e Dio; la sua ossessione per la botanica; la cura e la pazienza, la logica scientifica e il gusto per l'innovazione che utilizzava in agricoltura; la carestia, la fame, le epidemie e le rivolte. Fino a capire che la pagina scritta rappresentava il suo vero campo di battaglia. E che doveva combattere creando una lingua unica, unitaria e nazionale, viva e libera dagli orpelli dell'accademia, condivisa dalla Lombardia alla Sicilia. Una lingua che l'Italia ancora non possedeva.
Un Manzoni prima uomo e poi scrittore, trasgressivo, inedito, lontano mille miglia dalla figura impolverata e un po' bigotta che, purtroppo, ci è stata tramandata, che Eleonora Mazzoni ci racconta magnificamente, scavando nella sua vita e nel suo libro più famoso, intrecciandoli e lasciando che si mescolino; perché, se è vero che le biografie non spiegano gli artisti, è altrettanto vero che ne contaminano il corpo caldo della scrittura, e gettano esili ponti tra chi scrive e chi legge. E attraversando questi esili ponti possiamo riavvicinarci con occhi nuovi a uno scrittore di cui è difficile invece non innamorarsi, soprattutto quando si è giovani; uno scrittore che conosce gli esseri umani e il loro cuore, e ancora oggi non smette di parlarci e comprenderci.
Siamo veramente sicuri che Alessandro Manzoni assomigliasse a quell'uomo perennemente di mezz'età, dallo sguardo grave e mesto, come nel celebre ritratto di Hayez, che lo ha reso inviso a una marea di studenti? Leggendo con attenzione le milleottocento lettere che ci ha lasciato e le testimonianze o i ricordi di familiari e amici, l'impressione è del tutto diversa. Affabile conversatore, all'avanguardia su tutto, brillante, ironico, capace di non prendersi troppo sul serio, anche una volta diventato famoso, da giovane fu ribelle e libertino, rimanendo focoso per tutta la vita. Anche la sua tanto discussa conversione non lo trasformò in un bigotto baciapile. Tutt'altro. La religione, impastandosi con l'illuminismo in cui era cresciuto, slatentizzò le sue crisi di nervi, fu sempre lotta inquieta, mai facile consolazione, e lo spinse all'azione politica.
Sì, perché Manzoni fu un patriota risorgimentale. Il sogno che perseguì con chiarezza fu quello di un'Italia unita, libera dagli oppressori, indipendente. Eppure il "rivoluzionario Manzoni", come giustamente fu definito ai suoi tempi, era anche uno "spauresg", ovvero, in dialetto lombardo, un "pauroso". Uomo dalle passioni fortissime, reso fragile, durante l'infanzia, dall'abbandono materno e dalla mancanza di un padre, era scisso tra desiderio di agire e vocazione letteraria, tra attitudine alla rivolta e poesia, gesto e riflessione. Così, mentre i suoi migliori amici organizzavano la cospirazione contro gli Austriaci, venendo perseguitati senza scrupoli dalla polizia, condannati a morte, incarcerati nella fortezza dello Spielberg, lui cominciò a scrivere I promessi sposi.
In un clima di sorveglianza massima, spionaggio scrupoloso e censura assoluta, tenuto costantemente sott'occhio dalla polizia, Manzoni dentro quel suo romanzo ci buttò tutto: un'Italia succube di una dominazione straniera e il «governo più arbitrario combinato con l'anarchia feudale e l'anarchia popolare»; le prepotenze, i soprusi, la violenza e la corruzione; un matrimonio che non s'ha da fare, come era stato il suo con Enrichetta; l'angoscia per la salute cagionevole di sua moglie e la morte per morbillo della loro figlia Clara, con la «sensazione di un che di ignoto che ci minaccia»; la fede «restituita» e Dio; la sua ossessione per la botanica; la cura e la pazienza, la logica scientifica e il gusto per l'innovazione che utilizzava in agricoltura; la carestia, la fame, le epidemie e le rivolte. Fino a capire che la pagina scritta rappresentava il suo vero campo di battaglia. E che doveva combattere creando una lingua unica, unitaria e nazionale, viva e libera dagli orpelli dell'accademia, condivisa dalla Lombardia alla Sicilia. Una lingua che l'Italia ancora non possedeva.
Un Manzoni prima uomo e poi scrittore, trasgressivo, inedito, lontano mille miglia dalla figura impolverata e un po' bigotta che, purtroppo, ci è stata tramandata, che Eleonora Mazzoni ci racconta magnificamente, scavando nella sua vita e nel suo libro più famoso, intrecciandoli e lasciando che si mescolino; perché, se è vero che le biografie non spiegano gli artisti, è altrettanto vero che ne contaminano il corpo caldo della scrittura, e gettano esili ponti tra chi scrive e chi legge. E attraversando questi esili ponti possiamo riavvicinarci con occhi nuovi a uno scrittore di cui è difficile invece non innamorarsi, soprattutto quando si è giovani; uno scrittore che conosce gli esseri umani e il loro cuore, e ancora oggi non smette di parlarci e comprenderci.