«Mio zio, Vincenzo Calace». La riflessione di Carlo Bruni sul 25 aprile

«No, non c'è un merito particolare nell'essere nipoti di un antifascista, ma c'è un "appartenenza" che avverto necessario condividere»

domenica 26 aprile 2020 12.52
A cura di Carlo Bruni

Cara mamma, ho letto la vostra del 3 corr.m. e vi ringrazio per tutte le notizie che mi date. Che volete che vi dica? Il dolore, la preoccupazione, le ansie di sapervi colpita e accasciata a causa della mia condizione, non mi danno tregua; ne sono oppresso ma non ho rimorsi, non avendo rimproveri da muovere alla mia coscienza; e della mia attuale condizione non sono proprio io che debbo arrossirne. Sono turbatissimo di intravvedere nelle vostre parole come una tacita riprovazione del mio pensiero e dell'opera mia, per le quali oggi sono un prigioniero di Stato.

Mamma mia benedetta, con tutto l'amore, con tutto il rispetto che vi debbo…. consentitemi di rivendicare altamente e fieramente il mio pensiero, la mia azione, il mio ideale… Ho lottato sempre onestamente e disinteressatamente… Se voi, mamma benedetta, mi movete rimprovero per questa mia attitudine ideale, ne sono profondamente ferito al cuore, ne sento l'anima lacerata, ma per rispetto verso me stesso non posso e non devo ripiegare un lembo solo della mia bandiera! Voi mamma adorata siete cristiana e cattolica: in nome del vostro cristianesimo, vi rammento lo strazio di Maria per il suo figliuolo Gesù.... Baci dal cuore a voi, al papà e a tutti i cari"

Vincenzo – Carcere di Imperia - 10 settembre 1931


Zio Vincenzo Calace era fratello di mia nonna paterna e se ne faccio vanto, in qualche modo enfatizzando il titolo di nipote, non è solo per orgoglio, ma perché pertiene quel ramo famigliare che custodì buona parte della mia infanzia. Arrestato a Milano dall'Ovra nel 1930, molto prima che maturasse in Italia una vera opposizione alla dittatura, tra i fondatori di "Giustizia e Libertà" con i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer ed altri, ha trascorso in carcere e al confino tredici anni della sua vita, con compagni come Umberto Ceva, Altiero Spinelli, Sandro Pertini, Ferruccio Parri.

La memoria è importante ma anche assai labile e si ravviva solo se si esercita nel pensiero, si comunica nel racconto e si pratica nell'azione. Il venticinque aprile del '45 non si concludeva una guerra civile fra italiani, come qualcuno oggi vuol farci credere. Il venticinque aprile si festeggia la liberazione dal nazifascismo, da una dittatura assassina, da un regime fondato sull'ignoranza di un intero popolo.

No, non c'è un merito particolare nell'essere nipoti di un antifascista, ma c'è un "appartenenza" che avverto necessario condividere in questo 25 aprile, perché l'esempio di quanti, molto prima che scoppiasse la catastrofe decisero di opporsi e promuovere una direzione diversa, possa soccorrerci e proteggerci dall'errore.

Tanti sostengono che questo virus lascerà il suo segno, ma i più, concentrati sulle sue drammatiche conseguenze economiche, assolto il compito del cordoglio verso le vittime, stentano a maturare l'esigenza di un cambiamento che possa sventarne conseguenze ben più letali. Mai come in questo momento sarebbe invece preziosa la lungimiranza dei "Calace" e la loro capacità di tradurla in azione coraggiosa, disposta al carcere, al confino, pur di promuovere un'idea differente di mondo. Eppure non meno drammatiche di una dittatura si mostrano già oggi le conseguenze di questo "modello" di sviluppo.

È sorprendente la banalità del male e quanto si possano ignorare le stragi in mare, i campi profughi gestiti come lager, i raccolti mandati al macero, i disastri ambientali e l'enorme divario che alimenta la povertà dei più in favore delle smisurate ricchezze dei pochi.
È incredibile quanto, piuttosto che promuovere e finanziare sfide coraggiose, equità, cultura, salute, una nuova concezione del lavoro e i sacrifici necessari, indispensabili a un vero cambio di paradigma, la politica gareggi nell'assicurarci un debito senza oneri, un ritorno al passato, un benessere fasullo e incongruo, fondato sul consumo di beni superflui e sulla distruzione del pianeta.

Ignorare produce ignoranza e l'ignoranza induce a ignorare. Se non riuscirà questo virus a rompere il circolo vizioso, quale cataclisma ci vorrà per animare una nuova Resistenza? Si provi invece tutti a sostituire allo slogan "io resto a casa", un invito a cogliere da questa crisi l'occasione per promuovere soluzioni nuove, dando spazio e credito a quella straordinaria creatività che ci caratterizza e che così chiaramente ha mostrato le sue potenzialità in questo tempo difficile.
Si provi, piuttosto che a ridimensionare grandi ideali in miti consigli, a promuovere nella mente, nel corpo e nei cuori quel prezioso interrogativo che Primo Levi, così poco ascoltato, ci pose: se non ora quando?