«Monsignore, mi perdoni ma Papa Francesco sulla guerra non la pensa come lei»
Lettera aperta dell'ex assessore alla pace Mauro Papagni a Monsignor Mauro Cozzoli, biscegliese, cappellano di Sua Santità
Monsignore, ho avuto modo di leggere la Sua intervista sulla guerra in Ucraina rilasciata al quotidiano "Avvenire" del 2 marzo scorso.
Le confesso, come cattolico sono rimasto sorpreso, incredulo, perplesso. A dir poco.
Pensavo che il messaggio che Papa Francesco ha diffuso il 25 febbraio scorso in lingua russa, riprendendo un passaggio dell'Enciclica "Fratelli tutti", fosse da tempo patrimonio di tutta la Chiesa militante: "Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell'umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male". E pensavo, anche, che patrimonio di tutta la Chiesa fosse il richiamo lanciato all'Angelus nella domenica successiva: "La logica diabolica e perversa delle armi è la più lontana dalla volontà di Dio"; richiamo che riecheggiava l'appello accorato del Pontefice del 2 novembre precedente al cimitero militare francese di Roma: "Fermatevi fabbricatori di armi, queste tombe gridano pace!".
Invece, proprio all'indomani delle vibranti esternazioni di Papa Francesco, Lei ha avvertito la necessità di affermare il diritto alla "violenza difensiva" e il "dovere morale" di armare l'aggredito; conseguentemente, non ha avuto remore a definire "guerra giusta" l'attuale conflitto.
L'asserzione sulla diplomazia che "non va mai abbandonata", senza dire però su quali basi essa deve muoversi per mirare alla pace, e il riferimento ai "mezzi non violenti" da utilizzare in primis, senza indicarne alcuno, non sbiadiscono la puntuale indicazione che si ricava dell'intera Sua intervista: necessità di una difesa armata, "proporzionata all'attacco subito, in termini di quantità e di tipo di armi". Ergo: è bene che gli Stati si armino in maniera sufficiente ed adeguata ad ogni evenienza, propria e dei Paesi abbisognevoli di aiuto (armato).
Per chiarire il concetto Lei fa l'esempio, a mo' di parabola evangelica, del "cecchino che uccide chi fa la coda per un po' di pane", sostenendo il dovere morale che questi vada fermato (con le armi). Monsignore, non ha pensato che il cecchino odierno, per maggiore efficacia, può colpire dall'alto? Fermarlo significherebbe, in applicazione del regolamento Nato, avviare una terza guerra mondiale, con la prospettiva di un'apocalisse nucleare: 85 milioni di morti nei primi 45 minuti di conflitto (secondo una recente simulazione).
Mi ha notevolmente sorpreso come Lei, membro qualificato della Chiesa cattolica del XXI secolo, faccia derivare le Sue affermazioni dalla "tradizione teologico - morale della Chiesa e del Catechismo". Le chiedo: la tradizione di cui parla sino a che periodo si spinge? Se il discrimine è il Concilio Vaticano II (1962-1965), sugli orientamenti della Chiesa nei circa due mila anni precedenti si potrebbe anche convenire. Ma dal Vaticano II, cui sono seguite la Pacem in Terris di Giovanni XXIII e la Populorum Progressio di Paolo VI, sino all'attuale Pontefice, la Chiesa cattolica ha preso, sul tema, un indirizzo diverso, se non opposto, a quello che Lei ha esposto. Sono in errore?
A chiusura dell'intervista Lei cita il Papa, quasi a suggellare con un imprimatur del Pontefice le Sue affermazioni. Monsignore, mi perdoni, codesto metodo non è corretto. Papa Francesco non è sulla Sua stessa lunghezza d'onda in tema di armamenti, di guerra e di pace. Papa Francesco si è recato a pregare sulle tombe di don Lorenzo Milani e don Tonino Bello. Se ne faccia una ragione.
Con umiltà».