Si chiude il primo Bisceglie Jazz Festival. E già ci manca
Intervista al curatore artistico Mimmo Campanale
martedì 8 agosto 2017
8.33
Dall'isolotto del porto, dritti al Teatro del Mare, tra note, onde, ritmi da ogni angolo del cuore e del mondo.
La prima edizione del Bisceglie Jazz Festival si è conclusa all'insegna dell'orgoglio. Quello di avere un città che sa accogliere e rispondere ad un evento che nasce già importante e quello di sapere che a questo evento si vuole dare già un futuro.
Lo racconta Mimmo Campanale, ai microfoni di BisceglieViva durante l'intervista di Mario Lamanuzzi, che precede il fragoroso finale di lunedì 7 agosto con l'ospite di punta: Stanley Jordan, il primo chitarrista ad avere portato al limite la tecnica del tapping sulla chitarra, in particolare elettrica. Il funambolico virtuoso di Chicago suona la chitarra suonata come un pianoforte o come due o tre chitarre insieme. Chi non lo ha visto potrebbe crederla una operazione non umana, eppure Magic – così lo chiamano i fan dal 1985, quando raggiunse le vette con l'album Magic Touch - sa farsi musicista uno e trino: mentre canta con matura intensità espressiva fa il chitarrista con una mano e il pianista con l'altra, non risparmiandosi in virtuosismi con nessuna delle due.
Jordan, che sceglie per accompagnarsi Campanale e un altro talento pugliese giovane ma interessantissimo (il contrabbassista salentino Luca Alemanno, unico italiano accolto al Monk Institute di Los Angeles), non è l'unico gigante del festival (Vedi Israel Varela con il suo supergruppo nella seconda serata e Fabrizio Bosso nella prima), che tanta Puglia eccellente del jazz ha messo in bella vista al pubblico della tre giorni.
Nella sola serata di chiusura, come nelle precedenti, il ventaglio di artisti apprezzati si è colorato di una dozzina di nomi tutti diversi: prima la Pocket Orchestra (Mike Rubini al sax alto, Francesco Lomangino al sax tenore e flauto, Alberto Di Leone alla tromba, Vito Andrea Morra al trombone, Gianluca Fraccalvieri al basso, Fabio Delle Foglie alla batteria, Enzo Falco alle percussioni, Francesca Leone alla voce) e la chitarra morbida di Guido Di Leone, poi ha dato spettacolo in piano solo Nico Morelli, il virtuoso della tecnica tarantino che la Francia ha rubato a questa terra. Morelli sogna il rimpatrio, un rientro "come si deve", all'insegna di tanti BJF.
Ad un ritorno, con le stesse aspirazioni di bis, puntano anche gli organizzatori del festival, l'evento artistico più evoluto delle ultime estati biscegliesi. Se nel 2018 non dovesse ripetersi, davvero ci mancherà.
La prima edizione del Bisceglie Jazz Festival si è conclusa all'insegna dell'orgoglio. Quello di avere un città che sa accogliere e rispondere ad un evento che nasce già importante e quello di sapere che a questo evento si vuole dare già un futuro.
Lo racconta Mimmo Campanale, ai microfoni di BisceglieViva durante l'intervista di Mario Lamanuzzi, che precede il fragoroso finale di lunedì 7 agosto con l'ospite di punta: Stanley Jordan, il primo chitarrista ad avere portato al limite la tecnica del tapping sulla chitarra, in particolare elettrica. Il funambolico virtuoso di Chicago suona la chitarra suonata come un pianoforte o come due o tre chitarre insieme. Chi non lo ha visto potrebbe crederla una operazione non umana, eppure Magic – così lo chiamano i fan dal 1985, quando raggiunse le vette con l'album Magic Touch - sa farsi musicista uno e trino: mentre canta con matura intensità espressiva fa il chitarrista con una mano e il pianista con l'altra, non risparmiandosi in virtuosismi con nessuna delle due.
Jordan, che sceglie per accompagnarsi Campanale e un altro talento pugliese giovane ma interessantissimo (il contrabbassista salentino Luca Alemanno, unico italiano accolto al Monk Institute di Los Angeles), non è l'unico gigante del festival (Vedi Israel Varela con il suo supergruppo nella seconda serata e Fabrizio Bosso nella prima), che tanta Puglia eccellente del jazz ha messo in bella vista al pubblico della tre giorni.
Nella sola serata di chiusura, come nelle precedenti, il ventaglio di artisti apprezzati si è colorato di una dozzina di nomi tutti diversi: prima la Pocket Orchestra (Mike Rubini al sax alto, Francesco Lomangino al sax tenore e flauto, Alberto Di Leone alla tromba, Vito Andrea Morra al trombone, Gianluca Fraccalvieri al basso, Fabio Delle Foglie alla batteria, Enzo Falco alle percussioni, Francesca Leone alla voce) e la chitarra morbida di Guido Di Leone, poi ha dato spettacolo in piano solo Nico Morelli, il virtuoso della tecnica tarantino che la Francia ha rubato a questa terra. Morelli sogna il rimpatrio, un rientro "come si deve", all'insegna di tanti BJF.
Ad un ritorno, con le stesse aspirazioni di bis, puntano anche gli organizzatori del festival, l'evento artistico più evoluto delle ultime estati biscegliesi. Se nel 2018 non dovesse ripetersi, davvero ci mancherà.