Attualità
Biagio Lorusso ricorda Vincenzo Calace nell'anniversario della morte
L'omaggio a un grande testimone di libertà e civiltà del nostro territorio
Bisceglie - giovedì 11 novembre 2021
10.37
«L' 11 novembre del 1965 moriva a molfetta Vincenzo Calace, cittadino onorario di Bisceglie, dove i suoi genitori si erano trasferiti sin dai primi anni del '900 in abitazione con affaccio su piazza Regina Margherita di Savoia, stessa piazza in cui la madre Felicita (Felicetta) Di Benedetto gestì un'oreficeria». Questo il ricordo di Biagio Lorusso, già Sindaco di Bisceglie tra il 1993 e il 1995, in occasione dell'anniversario del decesso di uno dei più grandi testimoni della libertà del nostro territorio.
«Ho avuto la fortuna di conoscere l'ingegnere. Nitido è in me il suo primo ricordo: seduto non alla presidenza ma su di una panca tra i "musi duri del sud", mi chiamò a sè durante una riunione di iscritti all'autonoma sezione socialista "Giustizia e libertà", ubicata in via La marina di fronte al torrione aragonese dell'abisso popolarmente indicato come "U trione tunne" , eretto nel 1490...
Conservo come reliquie due lettere autografe di Calace inviate da roma il 29 giugno e il 7 luglio 1957 a mio padre, ebanista, e a Giuseppe La Franceschina, contadino. ("Nomino voi due per riferirmi a tutti i nostri contadini e artigiani ché delle persone cosiddette istruite è caritatevole non parlarne affatto", così l'incipit di una delle due).
Calace, negli ultimi mesi di vita, fu ospitato "in una linda stanzetta con ingresso autonomo della clinica Villa Giustina di molfetta, dove accompagnandomi con i fratelli Leonardo e Francesco Martucci, l'ho rivisto mesi prima della morte, seduto sulla sponda del letto col suo pigiama. Chiese di mio padre e si interessò ai miei studi universitari...
La notizia della morte fu appresa dai suoi compagni di Bisceglie con sgomento e con il triste presagio che l'era delle grandi idealità, senza più quel protagonista ed uomo civile, stesse scomparendo. Mi inchino ancora una volta dinanzi alla sua tomba nel cimitero di Bisceglie».
«Ho avuto la fortuna di conoscere l'ingegnere. Nitido è in me il suo primo ricordo: seduto non alla presidenza ma su di una panca tra i "musi duri del sud", mi chiamò a sè durante una riunione di iscritti all'autonoma sezione socialista "Giustizia e libertà", ubicata in via La marina di fronte al torrione aragonese dell'abisso popolarmente indicato come "U trione tunne" , eretto nel 1490...
Conservo come reliquie due lettere autografe di Calace inviate da roma il 29 giugno e il 7 luglio 1957 a mio padre, ebanista, e a Giuseppe La Franceschina, contadino. ("Nomino voi due per riferirmi a tutti i nostri contadini e artigiani ché delle persone cosiddette istruite è caritatevole non parlarne affatto", così l'incipit di una delle due).
Calace, negli ultimi mesi di vita, fu ospitato "in una linda stanzetta con ingresso autonomo della clinica Villa Giustina di molfetta, dove accompagnandomi con i fratelli Leonardo e Francesco Martucci, l'ho rivisto mesi prima della morte, seduto sulla sponda del letto col suo pigiama. Chiese di mio padre e si interessò ai miei studi universitari...
La notizia della morte fu appresa dai suoi compagni di Bisceglie con sgomento e con il triste presagio che l'era delle grandi idealità, senza più quel protagonista ed uomo civile, stesse scomparendo. Mi inchino ancora una volta dinanzi alla sua tomba nel cimitero di Bisceglie».