Emiliana Spina
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Coronavirus, in trincea fra le corsie ospedaliere nel piacentino. Il racconto di una giovane infermiera biscegliese

Il primo contagio nella vicina Codogno, l'ondata di casi positivi: «Lavoriamo dandoci coraggio»

«Il 21 febbraio? Un giorno come gli altri. Ero sull'ennesimo treno che mi allontanava da casa, da Bisceglie, per riportarmi in Emilia-Romagna, dove lavoro». Il racconto di Emiliana Spina comincia così, sospeso tra la legittima speranza di costruire un futuro adeguato alle proprie ambizioni e l'inconsapevolezza di quello che sarebbe accaduto nel breve volgere di alcune ore.

Infermiera in servizio nell'ospedale di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza: «Da sette mesi: saranno anche pochi, ma sembrano un'eternità quando ti portano via dal tuo nido, dai tuoi cari e dal tuo futuro marito».

Come hai vissuto l'esplosione della crisi?
Quel fatidico 21 febbraio rientravo alla base lavorativa dopo qualche giorno, fugace, trascorso a casa: l'ennesima sfacchinata di 14 ore di treno tra andata e ritorno ma non importa nulla se lo si fa per i propri cari. Ero quasi giunta a destinazione quando ho letto, sul gruppo whatsapp di lavoro, della scoperta dei primi casi di Coronavirus a Codogno, ad appena 30 km di distanza dal luogo in cui vivo.

Sono arrivata in reparto per il turno pomeridiano e ho constatato il timore diffuso tra i miei colleghi. Tra noi c'è gente originaria proprio di Codogno e quel poco che si conosceva delle dinamiche di diffusione del virus era sufficiente a seminare panico e far sì che ci sentissimo tutti in pericolo. Non è stato facile.

Come definiresti la gestione di quei momenti?
Si sono susseguiti giorni frenetici, con le disposizioni generali modificate ogni 12 ore. Le prime mascherine hanno cominciato a circolare a scopo "preventivo" mentre il virus ci accerchiava: Codogno, Pavia, Piacenza... Poi ci ha stretto nella morsa, inglobandoci: nel giro di una settimana circa il mio ospedale è stato completamente messo sottosopra per trasformarsi in un polo dedicato ai pazienti positivi, ormai troppi per essere concentrati solo nella provincia piacentina.

Uno stress fisico inevitabile per il personale...
L'ondata ci ha letteralmente travolti: le giornate, pesantissime, ci hanno portato allo sfinimento perché alla normale mole di lavoro si sono sommate nuove disposizioni di vestizione e svestizione: camici, cuffia, visiera e mascherina diventano difficili da tollerare se gli indossi per otto ore di fila e ti lasciano i segni sul viso. Le mani, poi, si sono completamente screpolate a causa delle innumerevoli volte in cui è necessario disinfettarsi con prodotti a base alcolica e quindi aggressivi per la cute.

Come si trattano i pazienti che giungono in ospedale?
Per fare maggiore chiarezza, i pazienti Covid19 positivi sono principalmente suddivisi in due gruppi in base all'entità dei sintomi:
  • lievi: febbre, mal di gola, tosse (per lo più stizzosa), raffreddore, cefalea, nausea, vomito, diarrea - per cui è previsto isolamento a domicilio per 15 giorni e trattamento della sintomatologia a carico del proprio medico curante.
  • medio-gravi : oltre i sintomi lievi sopraggiungono dispnea (affanno) e difficoltà respiratorie importanti – per cui si opta per ricovero ospedaliero e trattamento con ausil/i per la respirazione e farmaci a seconda della gravità.
Com'è cambiato l'approccio al lavoro?
Posso solo rispondere che fondamentalmente io, come anche i miei colleghi, non abbiamo avuto molto tempo per riflettere su cosa stesse accadendo e su quali conseguenze potesse avere tutto ciò; ci siamo trovati dentro la pandemia e abbiamo continuato a fare il nostro lavoro con la stessa dedizione di sempre, senza sentirci chissà quali eroi, perché purtroppo non c'è solo il Coronavirus ma affrontiamo quotidianamente tante altre malattie.
Lavoriamo dandoci sempre coraggio, rincuorandoci l'un l'altro: la paura c'è e non è tanto quella di essere contagiati, ma di rischiare di trasmettere il virus ai nostri cari.

Che messaggio vorresti mandare ai tuoi concittadini biscegliesi?
Non toccare a me convincere la gente a restare a casa: è un obbligo. I miei concittadini devono agire coscienziosamente, perché non serve a nulla comportarsi da furbetti e sentirsi immuni quando poi ci si fa prendere dal panico al primo colpo di tosse. Fate semplicemente ciò che le regole impongono, in modo tale da poter vivere in maniera tranquilla per quanto possibile.

Glielo dobbiamo, come minimo.
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