Attualità
Coronavirus, le diverse interpretazioni sull'uso del test rapido
Un documento di due aziende universitarie pugliesi li definisce "non validi". Eppure la regione Campania ne avrebbe ordinati un milione
Bisceglie - martedì 24 marzo 2020
13.50
La proposta lanciata da Paco Losapio nella sua rubrica "E guardo il mondo da un oblò" su questo sito sta suscitando riflessioni e dibattiti. In sintesi, il nostro ha sottoposto al sindaco Angelantonio Angarano l'adozione di un test rapido drive-thru (della durata di un minuto ed effettuato a bordo della propria auto davanti ai laboratori analisi) per i cittadini biscegliesi, consistente in un prelievo simile a quello dello stick della glicemia, attraverso il quale sarebbe possibile scremare velocemente dei potenziali casi positivi.
Il test, prodotto da un'azienda barese (ne abbiamo riferito lo scorso 17 marzo), è sul mercato in quanto regolarmente iscritto al registro Farmadati, al punto che è in vendita nelle farmacie.
Una nota congiunta diffusa proprio il 17 marzo da Azienda consorziale Policlinico ospedaliera e Università degli studi "Aldo Moro" di Bari, ma non dalla regione Puglia, si è affrettata a rimarcare che «la diagnosi di Covid-19 dev'essere effettuata solo dai laboratori della rete attraverso la ricerca del genoma virale in campioni respiratori (esempio tamponi faringei) prelevati da casi sospetti attraverso le tecniche molecolari (ricerca diretta) secondo protocolli validati e condivisi a livello internazionale». Il documento è firmato dalla professoressa Maria Chironna, responsabile del laboratorio di epidemiologia molecolare e sanità pubblica del Policlinico di Bari.
L'invito rivolto agli utenti era ad attenersi «a quanto stabilito dal ministero della salute e dall'istituto superiore di sanità per quanto riguarda l'accertamento diagnostico per Covid-19 che, si ribadisce, dev'essere fatta solo dai laboratori della rete». Perentoria la conclusione: «I test sierologici "rapidi" non sono assolutamente validati per la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2 e possono essere utilizzati unicamente a fini di ricerca».
Non è molto chiaro, perciò, quale altra ragione - se non a questo punto la necessità di fare ricerca - abbia spinto, secondo quanto riferito a più riprese da diversi media (l'elenco è lunghissimo), la regione Campania a ordinare ben un milione di questi test rapidi. Evidentemente la percezione dell'utilità di questo strumento è differente tra una zona e l'altra dell'Italia. Non è nostro compito, naturalmente, stabilire quale delle due interpretazioni sia più o meno rispondente alla realtà. Solo è piuttosto strano rilevare che persino l'istituto tumori "Giovanni Paolo II" di Bari avrebbe ordinato tremila test.
Non tocca a un giornale imporre soluzioni, ma indicare una strada. L'auspicio è che, su questo tema, si faccia chiarezza.
L'amico Paco Losapio si è dimostrato ancora una volta risorsa preziosa per la sua città.
Il test, prodotto da un'azienda barese (ne abbiamo riferito lo scorso 17 marzo), è sul mercato in quanto regolarmente iscritto al registro Farmadati, al punto che è in vendita nelle farmacie.
Una nota congiunta diffusa proprio il 17 marzo da Azienda consorziale Policlinico ospedaliera e Università degli studi "Aldo Moro" di Bari, ma non dalla regione Puglia, si è affrettata a rimarcare che «la diagnosi di Covid-19 dev'essere effettuata solo dai laboratori della rete attraverso la ricerca del genoma virale in campioni respiratori (esempio tamponi faringei) prelevati da casi sospetti attraverso le tecniche molecolari (ricerca diretta) secondo protocolli validati e condivisi a livello internazionale». Il documento è firmato dalla professoressa Maria Chironna, responsabile del laboratorio di epidemiologia molecolare e sanità pubblica del Policlinico di Bari.
L'invito rivolto agli utenti era ad attenersi «a quanto stabilito dal ministero della salute e dall'istituto superiore di sanità per quanto riguarda l'accertamento diagnostico per Covid-19 che, si ribadisce, dev'essere fatta solo dai laboratori della rete». Perentoria la conclusione: «I test sierologici "rapidi" non sono assolutamente validati per la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2 e possono essere utilizzati unicamente a fini di ricerca».
Non è molto chiaro, perciò, quale altra ragione - se non a questo punto la necessità di fare ricerca - abbia spinto, secondo quanto riferito a più riprese da diversi media (l'elenco è lunghissimo), la regione Campania a ordinare ben un milione di questi test rapidi. Evidentemente la percezione dell'utilità di questo strumento è differente tra una zona e l'altra dell'Italia. Non è nostro compito, naturalmente, stabilire quale delle due interpretazioni sia più o meno rispondente alla realtà. Solo è piuttosto strano rilevare che persino l'istituto tumori "Giovanni Paolo II" di Bari avrebbe ordinato tremila test.
Non tocca a un giornale imporre soluzioni, ma indicare una strada. L'auspicio è che, su questo tema, si faccia chiarezza.
L'amico Paco Losapio si è dimostrato ancora una volta risorsa preziosa per la sua città.