Cultura
Francesco Caringella, un giudice in tasca
Vizi e difetti della giustizia italiana spiegati al cittadino comune
Bisceglie - lunedì 22 gennaio 2018
Il problema più grosso della giustizia italiana è quello di totalmente incomprensibile alla popolazione, che nella maggior parte dei casi ritiene perciò di non essere adeguatamente protetta e difesa. I processi mediatici - dove l'unica regola che vige è l'assenza di regole - contribuiscono ogni giorno ad aumentare la confusione ed il senso di ingiustizia diffuso.
Il giudice Francesco Caringella ha voluto dare il suo contributo alla causa della chiarezza, con un libro, quasi tascabile, che apre la mente dell'italiano medio in materia di giustizia.
Delle "10 lezioni sul tema della giustizia" si è parlato anche a Bisceglie, nell'appuntamento fuori cartellone di Libri nel Borgo Antico organizzato presso il Mondadori Bookstore alle Vecchie Segherie Mastrototaro, con la conduzione del giornalista Rai Fulvio Totaro.
Ad aprire il dibattito sulla giustizia, il paragone fra l'Italia - dove sono attualmente pendenti circa 10 milioni di processi - e la Germania - dove i processi in corso sono solo 800.000 e durano mediamente 8 mesi a differenza. Dieci volte in meno che da noi.
Lo scrittore riflette su un fatto: come mai i giudici in Italia, pur avendo la stessa preparazione, pure avendo superato gli stessi esami e gli stessi concorsi, sono spesso in disaccordo su determinate sentenze?
Caringella non ha dubbi: molto dipende dalle leggi, scritte in modo da dare adito a interpretazioni differenti: «Sembra che usiamo la lingua del diritto più per nascondere che per spiegare».
L'autore paragona il giudice ad uno storico. Infatti al pari di uno storico il giudice non ha vissuto i fatti, non era sul luogo di un delitto nel momento dell'accaduto, quindi deve valutare tutto in base alle prove che gli vengono presentate e solo in funzione di queste può emettere una sentenza, oltre ogni ragionevole dubbio, né su convinzioni personali né sull'onda di emozioni particolari. Non essendovi altro che le prove per stabilire la verità processuale, capita che questa sia in contrasto con la verità dei fatti, come in quel caso in cui l'imputato di omicidio fu assolto in virtù delle prove esibite dalla difesa e non fu possibile - perché la prova era stata raccolta senza autorizzazione del giudice, quindi era illegale - acquisire la registrazione telefonica nel corso della quale si dichiarava colpevole del fatto.
Altro tema caldo, quello relativo alla durata dei processi: «Le lungaggini - spiega Caringella - si trasformano in vantaggi per chi ha torto e rendono quasi inefficaci le pene. Per questo è indispensabile una revisione di tutto il sistema processuale», riforma che non può prescindere dalla riforma carceraria, dato che l'Italia vanta un record di sovraffollamento dei penitenziari tale da rendere inefficace o inesistente la riabilitazione dei reclusi.
«Un detenuto maltrattato, che può fare solo una telefonata di 10 minuti a settimana, uscirà dal carcere ancor più incattivito ed ostile verso la società, quindi pronto a delinquere ancora».
In Italia da fare c'è molto. Innanzitutto c'è da fare prevenzione e quindi educazione. Per Caringella bisogna parlare di giustizia nelle scuole, bisogna insegnare ai ragazzi il rispetto delle regole se si vuole che il numero di reati commessi diminuisca.
«Oggi un docente che rimprovera l'alunno è passibile di denuncia. Ai miei tempi di scolaro un rimprovero dai prof. poteva generare un solo ricorso da mio padre: quello al pronto soccorso».
E poi c'è da modernizzare la giustizia, a maggior ragione se si parla di lotta alle mafie: «Oggi la mafia non è più quella della lupara, ma quella dei colletti bianchi, che invece dei pallettoni usano le corruzioni. La giustizia italiana questo lo deve ancora capire».
Il giudice Francesco Caringella ha voluto dare il suo contributo alla causa della chiarezza, con un libro, quasi tascabile, che apre la mente dell'italiano medio in materia di giustizia.
Delle "10 lezioni sul tema della giustizia" si è parlato anche a Bisceglie, nell'appuntamento fuori cartellone di Libri nel Borgo Antico organizzato presso il Mondadori Bookstore alle Vecchie Segherie Mastrototaro, con la conduzione del giornalista Rai Fulvio Totaro.
Ad aprire il dibattito sulla giustizia, il paragone fra l'Italia - dove sono attualmente pendenti circa 10 milioni di processi - e la Germania - dove i processi in corso sono solo 800.000 e durano mediamente 8 mesi a differenza. Dieci volte in meno che da noi.
Lo scrittore riflette su un fatto: come mai i giudici in Italia, pur avendo la stessa preparazione, pure avendo superato gli stessi esami e gli stessi concorsi, sono spesso in disaccordo su determinate sentenze?
Caringella non ha dubbi: molto dipende dalle leggi, scritte in modo da dare adito a interpretazioni differenti: «Sembra che usiamo la lingua del diritto più per nascondere che per spiegare».
L'autore paragona il giudice ad uno storico. Infatti al pari di uno storico il giudice non ha vissuto i fatti, non era sul luogo di un delitto nel momento dell'accaduto, quindi deve valutare tutto in base alle prove che gli vengono presentate e solo in funzione di queste può emettere una sentenza, oltre ogni ragionevole dubbio, né su convinzioni personali né sull'onda di emozioni particolari. Non essendovi altro che le prove per stabilire la verità processuale, capita che questa sia in contrasto con la verità dei fatti, come in quel caso in cui l'imputato di omicidio fu assolto in virtù delle prove esibite dalla difesa e non fu possibile - perché la prova era stata raccolta senza autorizzazione del giudice, quindi era illegale - acquisire la registrazione telefonica nel corso della quale si dichiarava colpevole del fatto.
Altro tema caldo, quello relativo alla durata dei processi: «Le lungaggini - spiega Caringella - si trasformano in vantaggi per chi ha torto e rendono quasi inefficaci le pene. Per questo è indispensabile una revisione di tutto il sistema processuale», riforma che non può prescindere dalla riforma carceraria, dato che l'Italia vanta un record di sovraffollamento dei penitenziari tale da rendere inefficace o inesistente la riabilitazione dei reclusi.
«Un detenuto maltrattato, che può fare solo una telefonata di 10 minuti a settimana, uscirà dal carcere ancor più incattivito ed ostile verso la società, quindi pronto a delinquere ancora».
In Italia da fare c'è molto. Innanzitutto c'è da fare prevenzione e quindi educazione. Per Caringella bisogna parlare di giustizia nelle scuole, bisogna insegnare ai ragazzi il rispetto delle regole se si vuole che il numero di reati commessi diminuisca.
«Oggi un docente che rimprovera l'alunno è passibile di denuncia. Ai miei tempi di scolaro un rimprovero dai prof. poteva generare un solo ricorso da mio padre: quello al pronto soccorso».
E poi c'è da modernizzare la giustizia, a maggior ragione se si parla di lotta alle mafie: «Oggi la mafia non è più quella della lupara, ma quella dei colletti bianchi, che invece dei pallettoni usano le corruzioni. La giustizia italiana questo lo deve ancora capire».