Il 2 giugno sia sempre festa
Una riflessione dell'ex assessore Pierino La Rossa
Il 2 giugno è la Festa della Repubblica. Qualcuno penserà che si tratta di una festa inutile, ormai superata, obsoleta. Si sbaglia. Coloro che hanno percorso la lunga strada verso la libertà non sarebbero d'accordo.
Il 2 giugno va festeggiato per ricordarlo ai giovani, alle nuove generazioni. Per far capire loro come è nata e da che cosa. Per spiegare cosa è stata la storia d'Italia e quanto sangue è costata, quanti milioni di vittime ci sono state nella lunga guerra di liberazione dall'oppressore nazifascista per la conquista della libertà e democrazia in tutta Europa.
La Repubblica, nata dalla Resistenza, fu voluta a maggioranza di popolo dopo un referendum costituzionale, in cui gli italiani furono chiamati a scegliere liberamente da chi volevano essere governati tra Monarchia e governo del popolo.
Vinse la Repubblica e il re fu mandato in esilio.
Si dette subito inizio alla ricostruzione del Paese sul piano politico, civile, economico, sociale e giudiziario mediante un clima di pacificazione nazionale.
Le forze politiche democratiche ed antifasciste, cattoliche, liberali, di centro e di sinistra, si misero insieme, mettendo da parte ostilità ed interessi di partito, e dettero vita alla redazione di un lucido ed impareggiabile documento che stabilì i principi democratici, le norme, le regole, le garanzie dei diritti inviolabili dell'uomo e dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, un nuovo sistema politico di governo del Paese, libero e democratico, basato su libere elezioni e libera scelta dei rappresentanti del popolo.
Fu affermata la sovranità del popolo nelle scelte da fare e la parità di tutti cittadini di fronte alla legge, con pari dignità e senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di credo ed opinione politica e di condizione sociale.
Quindi, non più un uomo solo al comando, non più costrizioni ed imposizioni con la forza, non più la privazione di libertà e di democrazia, non più l'aberrazione e l'orrore delle leggi razziali, non più l'arroganza e la tracotanza del padrone che umilia e discrimina i propri dipendenti. Tutto ciò ha fatto parte di un sistema di potere autoritario e repressivo del regime fascista, salvo prove contrarie.
A questo modo di essere i padri costituenti proposero una visione diversa ed alternativa della società basata sull'applicazione delle leggi, sulla libertà e la giustizia (non sui Tribunali speciali), su una cultura pluralista, sulla giusta causa per quanto riguarda i licenziamenti, la cui competenza spetta al giudice, e non all'arbitrio prepotente ed unilaterale del capo, sul cittadino che sceglie in piena autonomia e libertà i propri governanti, sulla parità di genere, su cui c'è ancora molto da fare, sulla capacità e sul ruolo delle donne, con la loro dignità e personalità, non più sottomesse alla violenza dell'uomo e ad una cultura maschilista, contro la lotta all'omofobia, oltre a tante libere prerogative. Questi ed altri fondamentali diritti furono statuiti nella più grande ed importante legge di riforma che prese il nome di Carta Costituzionale, che pose al centro di tutto le libertà. Infatti, quando Sandro Pertini, il presidente più amato dagli italiani, fu eletto al Quirinale, nel suo discorso di insediamento dichiarò: «Se mi offrissero la più radicale delle riforme al prezzo della libertà, io la rifiuterei».
Per la conquista della libertà si sono battuti tutti i popoli del mondo e tanti sono stati i martiri. "Libertà vo' cercando, ch'è si cara, chi per essa vita rinunzia", affermò Lorenzo dei Medici, detto il Magnifico. Non dimentichiamo pertanto, questo valore sostanziale, assoluto ed universale.
Penso che sia ormai maturo il tempo di studiare e spiegare la grandezza e l'eccezionalità di detta legge nelle scuole, di tornare allo studio dell'educazione civica per consentire ai ragazzi di crescere di pari passo con la realizzazione della nostra Costituzione che in alcune sue parti è ancora incompiuta.
Qualcuno può ironizzare quanto vuole, può insultare senza ritegno quanti si sono sacrificati e hanno sofferto per farci dono di un patrimonio insostituibile di valori essenziali e basilari, ma la festa del 2 giugno rappresenta una tappa fondante dell'identità nazionale.
Repubblica, come ha scritto l'attuale ministro della giustizia Marta Cartabia, «è un termine carico di storia e dotato di una grande ricchezza semantica. La stessa Costituzione lo usa in una pluralità di significati». È il nostro faro e la bussola che ci guida quotidianamente nella valutazione dei poliedrici aspetti istituzionali che si presentano.
E pensare che il 5 marzo 1977 il Parlamento italiano decise di abolire la festa della Repubblica "per esigenze di risparmio". Una decisione incomprensibile e poco saggia che mortifica l'amor di patria.
Per fortuna ci pensò il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che nel 2001 ripristinò la Festa con successo.
Per vivere in pace e custodire la bellezza e l'unità della nostra Italia, tanto faticosamente raggiunta, penso si debba seguire l'esempio dei suddetti padri repubblicani che, di fronte all'interesse per la ricostruzione del Paese, misero da parte gli interessi di bottega e lavorarono sodo per offrirci un futuro di serenità e di convivenza civile.
Non siamo nati per vivere sulla terra dell'odio, come afferma Nelson Mandela, ma per vivere in pace, nell'amore e nella libertà e senza discriminare chi è diverso da noi. Dobbiamo sentirci orgogliosi di essere italiani, avere la sensazione, provare la stessa forte emozione che proviamo quando ascoltiamo l'inno di Mameli o vediamo il nostro tricolore che sale verso l'alto, verso il cielo, quando in gare sportive c'è la vittoria dei colori italiani, dei nostri atleti.
Peccato che la festa per il 75º compleanno della Repubblica, a cui formulo i miei più convinti e sentiti auguri di vita eterna, sia stata macchiata dalla notizia della scarcerazione del mafioso più sanguinario che la storia ricordi, Giovanni Brusca, che ha pesantemente scosso e turbato la coscienza dell'opinione pubblica italiana.
Tutto ciò, purtroppo, è stato possibile grazie alla legge sui pentiti di mafia, voluta dallo stesso giudice Falcone, che ha rimesso in libertà un soggetto pericoloso ed inaffidabile, che si è autoaccusato di ben 150 omicidi tra magistrati, poliziotti, carabinieri, uomini, donne e il piccolo Di Matteo sciolto nell'acido. Storia abominevole e raccapricciante. Speriamo che abbia almeno rivelato chi sono stati i mandanti della strage di Capaci. Che il buon Dio abbia pietà di noi.