Il cordoglio per la scomparsa della professoressa Lucia Monopoli
L'insegnante, a lungo in servizio al liceo "da Vinci", si è spenta nei giorni scorsi
Il professor Francesco Papagni, docente del liceo "Leonardo da Vinci", ha affidato i suoi ricordi a uno scritto che rievoca le atmosfere di un tempo, tracciando differenze (e qualche similitudine) col momento attuale.
Il Covid19 ha ridisegnato completamente le scuole d'Italia. Tutte.
II nostro liceo, dopo molte lunghe e dolorose traversie, si è dovuto inventare aule nei laboratori e muri abbattuti.
La biblioteca è (ri)diventata la sala professori. Da qui qualcuno fa didattica a distanza con le classi che a turno stanno a casa, per mancanza di spazi. Qui altri colleghi aspettano, pima di tornare in classe o di cominciare la loro giornata.
Tanti sono nuovi, tanti sono molto giovani. Usano quella stanza e si giovano della suppellettile più evidente al suo interno: un tavolo grande, lungo, lunghissimo. Lo trovano al piano superiore e non sanno della sua antica collocazione sempre tra quegli scaffali, ma in una stanza di un altro edificio, in un corridoio sulla destra, rispetto all'ingresso principale, dopo la porta del bagno riservato alle ragazze del piano terra, prima di accedere ai locali di segreteria e presidenza, giustamente un po' appartati rispetto all'androne delle classi. In una stanza dell'edificio di via XXV aprile, ora lodevolmente dedicato a Don Tonino Bello. Poggiano su quel tavolo i loro libri e le loro agende, questi giovani colleghi. Distrattamente, ma contenti della larghezza dello spazio a disposizione, dell'ampiezza enorme di quel tavolo ancora così liscio, ancora così accogliente.
È triste che gli oggetti abbiano la vita più lunga delle persone. O forse no. Se passo la mano su uno scaffale di una libreria ottocentesca, se, non visto, accarezzo uno stipite del Settecento, posso sentire le vite di chi quella fibra legnosa l'ha usata, di chi l'ha scelta tra tante, di chi l'ha comprata con sforzo per farne la compagna delle sue ore, dei suoi pensieri, dei suoi pianti, forse.
Quando molti di noi, che ora compilano programmazioni e registro elettronico, erano i ragazzi nelle aule che non sapevano ancora dove i giorni degli anni '80, '90, duemila li avrebbero condotti o abbandonati, intorno a quel tavolo sedevano Tonino Papagni, Giovanni Bruni, Nino Pilato, Giovanni Immediato, Rina Fontana, Antonio Masucci, Leonida Spedicato.
Intorno a quel tavolo sedeva, su quel tavolo scriveva Lucia Monopoli, la matematica fatta persona – almeno nell'immaginario di chi la temeva e l'ammirava - che tutti chiamavano "la Valentini", chissà mai perché…
Se n'è andata in punta di piedi, nel grigio incerto di ottobre, carica di anni e delle barbare, ingiuste ingiurie del tempo, poco rispettoso della sua mente lucida, della sua logica stringente e sorridente. Ha accompagnato stuoli di ragazzi, tra la serietà indefettibile dell'impegno nello studio e la capacità di calarlo dentro il sorriso amabile e la condivisione inaspettata. Li ha accompagnati alla crescita delle conoscenze e alla scoperta delle capacità, al trampolino di lancio verso carriere prestigiose e multiformi, alla sicurezza dei propri mezzi e saperi.
Per i giovani colleghi che popolano oggi quella biblioteca, più ancora per i ragazzi che siedono oggi nelle aule del liceo "da Vinci", il nome Lucia Monopoli è diventato solo un nome, null'altro che un nome, persino ordinario nel panorama onomastico biscegliese. È stato così per i suoi illustri colleghi di un tempo, sarà così per noi, gli insegnanti di oggi.
"Stat rosa pristina nomine. Nomina nuda tenemus" ammonisce l'epigrafe di un romanzo meritamente famoso. Talora, nemmeno i nomi tenemus; ma le vite che passano, su questo granello di sabbia che di Terra ha nome, non passano invano. Tutte, nessuna esclusa, spostano il mondo un po' più in là. Talvolta – è vero – lo riportano un po' più in qua.
Di Lucia Monopoli non resterà il nome scolpito nella pietra, come di tanti che sono passati a popolare il mondo, ma Lei resterà, forse inavvertita, nella forma mentis di quelle vite ancora non sbocciate che hanno vissuto con lei 6-7 ore a settimana dentro una stanza, lì, in via XXV aprile. Lei resterà dentro questo flusso che è ciò che davvero siamo, dentro questa comunità che viviamo, anche quando ormai siamo soli, e vecchi e reclusi. Anche quando più non ci siamo.