Religioni
Natale: la speranza costruisce un mondo nuovo
Lettera dal Brasile di Don Mario Pellegrino, sacerdote diocesano, missionario fidei donum in Brasile
Mondo - venerdì 14 dicembre 2018
Ancora una volta è Natale: la festa che rievoca la memoria del Dio che si è fatto uomo, piccolo, alla nostra portata. Il Bambino adagiato nella mangiatoia da Maria e Giuseppe è il Figlio di Dio che ci ama di un amore senza limiti.
Il Natale è la festa della comunità, che ci invita ad accogliere l'altro; è la festa che i cristiani vivono nello stupore sempre rinnovato di accostarsi a un Dio che si è fatto uomo, prossimo a noi, che è venuto a stare in mezzo a noi, a condividere le nostre semplici vite, a soffrire delle nostre fatiche e a gioire delle nostre gioie. Proprio per questo il Natale è anche la festa di quanti desiderano percorrere vie di pace, di riconciliazione, di perdono per vivere insieme nella solidarietà e rendere così questo mondo migliore e più abitabile.
Scrivo questo perché mi viene in mente la frase che un detenuto mi ha detto, proprio in questi giorni, visitando il carcere di Pinheiro: «Padre, che in questo Natale Gesù ci aiuti a sentire il disgusto di una vita egoista e indifferente, e ci doni la gioia di una vita piena di solidarietà e di amore. Perché solo così saremo veramente uomini di buona volontà».
Sì, perché gli "uomini di buona volontà" sono quelli che non si abituano al male della ingiustizia e della violenza, quelli che non accettano di vedere nell'altro, nel diverso un nemico, quelli che non si sottraggono alle esigenze dell'amore e della comunione, quelli che senza ostentazione sanno perdonare e vorrebbero che il perdono non fosse solo una disposizione personale ma diventasse anche una prassi politica.
Per questo motivo il Natale deve diventare il segno concreto affinché ciascuno di noi sia costruttore di un mondo nuovo, animato e sostenuto dalla speranza di un Dio che si fa uomo, che scende in mezzo a noi.
E sperare in Dio certamente non significa incrociare le braccia e aspettare il miracolo che venga dal cielo, perché la speranza non ha niente a che vedere con il semplice ottimismo, con l´ingenuità, il comodismo: la speranza è l´impegno di chi si dispone a correre rischi per qualcosa per cui valga veramente la pena agire: il servizio ai nostri fratelli.
La speranza è il coraggio di coinvolgersi nella realtà, di sporcarsi le mani e saper vedere oltre le apparenze, stando sempre dalla parte della vita per sconfiggere la morte, dalla parte della solidarietà per porre fine alla ingiustizia, dalla parte del bene per debellare il male.
La speranza è "la virtù rivoluzionaria" dei piccoli e dei poveri in Spirito, come Maria, che non contano con il potere economico, con la forza delle armi e con l´uso della violenza, ma solo con la forza del Vangelo e la fermezza delle proprie scelte per rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili. La speranza è la virtù di coloro che non si vendono e non si lasciano corrompere, che non si scoraggiano, non si soddisfano con la mediocrità, ma osano, andando alla ricerca di ciò che vale la pena vivere e testimoniare: il Vangelo di Cristo!
Sì, a Natale stringiamoci attorno a questi uomini e a queste donne di pace: ci scopriremo tutti più vicini tra noi e contempleremo il volto del Dio che si è fatto vicino all'umanità che ama.
Ecco perché il Natale ci chiede di ascoltare il pianto del Bambino che implora aiuto e protezione.
Per questo il Natale non deve essere solo una festa da celebrare in famiglia, ma è l'invito a guardare i volti degli altri, perché solo noi possiamo trasformare questo mondo malato di egoismo, solitudine, razzismo, indifferenza...
Oggi, chi più e chi meno, tutti siamo portati a dare importanza a ciò che è vistoso, appariscente, brillante. Viviamo dentro una civiltà dello spettacolo e dell'immagine.
Imitiamo, invece, l'esempio e la semplicità dei pastori: scoprono che "un bambino è nato per noi" (Is 9,5) e comprendono che tutta questa gioia, tutta questa luce si concentrano in un punto solo, in quel segno che l'angelo ha loro indicato: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo è il segno di sempre per trovare Gesù. Non solo allora, ma anche oggi. Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio.
E con questo segno il Vangelo ci svela un paradosso: parla dell'imperatore, del governatore, dei grandi di quel tempo, ma Dio non si fa presente lì; non appare nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell'apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli.
Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell'effimero per andare all'essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese e ad abbandonare l'insoddisfazione perenne. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità del Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita.
Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia, ma lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall'affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide "mangiatoie di dignità": nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti... Lasciamoci interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi.
E tutto questo perché non continui ad accadere oggi ciò che successe a Giuseppe e Maria, che trovarono le porte chiuse, «perché per loro non c'era posto nell'alloggio» (v. 7). Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell'indifferenza dei più; anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell'ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato.
Il Natale ha il sapore di speranza perché, nonostante le nostre tenebre, la luce di Dio risplende. La sua luce gentile non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme, che significa "casa del pane". Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Anche noi lasciamoci interpellare e convocare da Gesù, andiamo a Lui con fiducia. Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a assaporare lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la nostra vita. E contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie per tutto...
E così anch'io, approfitto di questo messaggio non solo per comunicarvi che a partire da gennaio sarò trasferito presso la nuova parrocchia del Divino Spirito, nella città di Mirinzal, sempre nella diocesi di Pinheiro, ma anche per ringraziare la nostra arcidiocesi che in questi anni di ministero sacerdotale presso la parrocchia di San Benedetto ha contribuito alla costruzione della canonica e tutti voi che avete reso possibile con le vostre offerte e preghiere varie attività nella missione di San Benedetto, qui nella città di Pinheiro-Brasile, soprattutto in questi ultimi anni che ho ricevuto offerte solo pro manu (ricordo che lo scorso anno tutte le offerte della nostra arcidiocesi sono state finalizzate per l'acquisto di un auto per don Savino).
In particolare voglio condividere con voi alcune attività svolte durante questo ultimo trimestre:
● la festa del bambino, che si celebra il 12 ottobre, realizzata presso il carcere con tutti i bambini dei detenuti, offrendo loro un pranzo e alcuni regali, e anche presso il salone parrocchiale con i bambini dell'Infanzia Missionaria;
● la Giornata nazionale della gioventù, celebrata presso la nostra parrocchia il 21 ottobre con la presenza di circa 400 giovani provenienti da cinque parroccchie del nostro settore;
● una tre giorni di formazione con oltre cento coppie cristiane, impegnate nel cammino denominato "Incontro delle coppie con Cristo";
● celebrazione di messe di quartiere (con la condivisione della cena, dopa la Santa Messa) in preparazione alla festa di San Benedetto celebrata dal 16 al 25 novembre;
● formazione periodica di trenta ministri straordinari della Parola per la celebrazione della Parola nei villaggi;
● conclusione dell'anno del laicato (2018) e apertura dell'anno della gioventù (2019)...
Prima di lasciare questa città, per l'impegno sociale realizzato a Pinheiro, il 13 dicembre riceverò dalla camera municipale il titolo di cittadino pinherense, soprattutto come segno di gratitudine per la testimonianza prestata a servizio della pastorale carceraria e di alcuni minori infrattori.
Vi chiedo sempre di pregare per me, e soprattutto per il mio nuovo servizio pastorale; vi abbraccio di vero cuore in Cristo.
Il Natale è la festa della comunità, che ci invita ad accogliere l'altro; è la festa che i cristiani vivono nello stupore sempre rinnovato di accostarsi a un Dio che si è fatto uomo, prossimo a noi, che è venuto a stare in mezzo a noi, a condividere le nostre semplici vite, a soffrire delle nostre fatiche e a gioire delle nostre gioie. Proprio per questo il Natale è anche la festa di quanti desiderano percorrere vie di pace, di riconciliazione, di perdono per vivere insieme nella solidarietà e rendere così questo mondo migliore e più abitabile.
Scrivo questo perché mi viene in mente la frase che un detenuto mi ha detto, proprio in questi giorni, visitando il carcere di Pinheiro: «Padre, che in questo Natale Gesù ci aiuti a sentire il disgusto di una vita egoista e indifferente, e ci doni la gioia di una vita piena di solidarietà e di amore. Perché solo così saremo veramente uomini di buona volontà».
Sì, perché gli "uomini di buona volontà" sono quelli che non si abituano al male della ingiustizia e della violenza, quelli che non accettano di vedere nell'altro, nel diverso un nemico, quelli che non si sottraggono alle esigenze dell'amore e della comunione, quelli che senza ostentazione sanno perdonare e vorrebbero che il perdono non fosse solo una disposizione personale ma diventasse anche una prassi politica.
Per questo motivo il Natale deve diventare il segno concreto affinché ciascuno di noi sia costruttore di un mondo nuovo, animato e sostenuto dalla speranza di un Dio che si fa uomo, che scende in mezzo a noi.
E sperare in Dio certamente non significa incrociare le braccia e aspettare il miracolo che venga dal cielo, perché la speranza non ha niente a che vedere con il semplice ottimismo, con l´ingenuità, il comodismo: la speranza è l´impegno di chi si dispone a correre rischi per qualcosa per cui valga veramente la pena agire: il servizio ai nostri fratelli.
La speranza è il coraggio di coinvolgersi nella realtà, di sporcarsi le mani e saper vedere oltre le apparenze, stando sempre dalla parte della vita per sconfiggere la morte, dalla parte della solidarietà per porre fine alla ingiustizia, dalla parte del bene per debellare il male.
La speranza è "la virtù rivoluzionaria" dei piccoli e dei poveri in Spirito, come Maria, che non contano con il potere economico, con la forza delle armi e con l´uso della violenza, ma solo con la forza del Vangelo e la fermezza delle proprie scelte per rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili. La speranza è la virtù di coloro che non si vendono e non si lasciano corrompere, che non si scoraggiano, non si soddisfano con la mediocrità, ma osano, andando alla ricerca di ciò che vale la pena vivere e testimoniare: il Vangelo di Cristo!
Sì, a Natale stringiamoci attorno a questi uomini e a queste donne di pace: ci scopriremo tutti più vicini tra noi e contempleremo il volto del Dio che si è fatto vicino all'umanità che ama.
Ecco perché il Natale ci chiede di ascoltare il pianto del Bambino che implora aiuto e protezione.
Per questo il Natale non deve essere solo una festa da celebrare in famiglia, ma è l'invito a guardare i volti degli altri, perché solo noi possiamo trasformare questo mondo malato di egoismo, solitudine, razzismo, indifferenza...
Oggi, chi più e chi meno, tutti siamo portati a dare importanza a ciò che è vistoso, appariscente, brillante. Viviamo dentro una civiltà dello spettacolo e dell'immagine.
Imitiamo, invece, l'esempio e la semplicità dei pastori: scoprono che "un bambino è nato per noi" (Is 9,5) e comprendono che tutta questa gioia, tutta questa luce si concentrano in un punto solo, in quel segno che l'angelo ha loro indicato: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo è il segno di sempre per trovare Gesù. Non solo allora, ma anche oggi. Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio.
E con questo segno il Vangelo ci svela un paradosso: parla dell'imperatore, del governatore, dei grandi di quel tempo, ma Dio non si fa presente lì; non appare nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell'apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli.
Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell'effimero per andare all'essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese e ad abbandonare l'insoddisfazione perenne. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità del Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita.
Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia, ma lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall'affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide "mangiatoie di dignità": nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti... Lasciamoci interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi.
E tutto questo perché non continui ad accadere oggi ciò che successe a Giuseppe e Maria, che trovarono le porte chiuse, «perché per loro non c'era posto nell'alloggio» (v. 7). Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell'indifferenza dei più; anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell'ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato.
Il Natale ha il sapore di speranza perché, nonostante le nostre tenebre, la luce di Dio risplende. La sua luce gentile non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme, che significa "casa del pane". Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Anche noi lasciamoci interpellare e convocare da Gesù, andiamo a Lui con fiducia. Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a assaporare lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la nostra vita. E contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie per tutto...
E così anch'io, approfitto di questo messaggio non solo per comunicarvi che a partire da gennaio sarò trasferito presso la nuova parrocchia del Divino Spirito, nella città di Mirinzal, sempre nella diocesi di Pinheiro, ma anche per ringraziare la nostra arcidiocesi che in questi anni di ministero sacerdotale presso la parrocchia di San Benedetto ha contribuito alla costruzione della canonica e tutti voi che avete reso possibile con le vostre offerte e preghiere varie attività nella missione di San Benedetto, qui nella città di Pinheiro-Brasile, soprattutto in questi ultimi anni che ho ricevuto offerte solo pro manu (ricordo che lo scorso anno tutte le offerte della nostra arcidiocesi sono state finalizzate per l'acquisto di un auto per don Savino).
In particolare voglio condividere con voi alcune attività svolte durante questo ultimo trimestre:
● la festa del bambino, che si celebra il 12 ottobre, realizzata presso il carcere con tutti i bambini dei detenuti, offrendo loro un pranzo e alcuni regali, e anche presso il salone parrocchiale con i bambini dell'Infanzia Missionaria;
● la Giornata nazionale della gioventù, celebrata presso la nostra parrocchia il 21 ottobre con la presenza di circa 400 giovani provenienti da cinque parroccchie del nostro settore;
● una tre giorni di formazione con oltre cento coppie cristiane, impegnate nel cammino denominato "Incontro delle coppie con Cristo";
● celebrazione di messe di quartiere (con la condivisione della cena, dopa la Santa Messa) in preparazione alla festa di San Benedetto celebrata dal 16 al 25 novembre;
● formazione periodica di trenta ministri straordinari della Parola per la celebrazione della Parola nei villaggi;
● conclusione dell'anno del laicato (2018) e apertura dell'anno della gioventù (2019)...
Prima di lasciare questa città, per l'impegno sociale realizzato a Pinheiro, il 13 dicembre riceverò dalla camera municipale il titolo di cittadino pinherense, soprattutto come segno di gratitudine per la testimonianza prestata a servizio della pastorale carceraria e di alcuni minori infrattori.
Vi chiedo sempre di pregare per me, e soprattutto per il mio nuovo servizio pastorale; vi abbraccio di vero cuore in Cristo.