Attualità
Nicola Amoroso alla guida del team che ha scoperto l'algoritmo che diagnostica l'Alzheimer
Lo studio condotto dal dipartimento di Fisica dell'Università Aldo Moro di Bari inaugura una nuova stagione di lotta alle malattie neurodegnerative
Bisceglie - venerdì 22 settembre 2017
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Diagnosticare l'insorgere dell' Alzheimer grazie ad un algoritmo.
Ora è possibile. A questo ha portato lo studio condotto da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Fisica dell'Università degli studi di Bari, in collaborazione con la sezione locale dell'Istituto nazionale di Fisica nucleare, che da qualche giorno ha aperto le porte ad un nuovo metodo di prevenzione della tristemente nota malattia neurodegenerativa.
Ora è possibile. A questo ha portato lo studio condotto da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Fisica dell'Università degli studi di Bari, in collaborazione con la sezione locale dell'Istituto nazionale di Fisica nucleare, che da qualche giorno ha aperto le porte ad un nuovo metodo di prevenzione della tristemente nota malattia neurodegenerativa.
Il sistema permetterebbe di prevenire l'arrivo della patologia con un margine di dieci anni grazie all'utilizzo di un computer che, configurato con l'algoritmo studiato dai ricercatori, riuscirebbe a distinguere risonanze magnetiche eseguite su cervelli sani e su quelli con rischio Alzheimer.
Grazie allo studio, pubblicato anche da testate internazionali come l'inglese 'The Sun', «siamo riusciti a distinguere un cervello sano da uno con l'Alzheimer con un'accuratezza dell'86% - dichiarano i ricercatori - e siamo stati in grado di stabilire la differenza tra cervelli sani e quelli con disabilità lieve con un'accuratezza dell'84%».
Il team di esperti che ha contribuito alla scoperta è stato guidato dalla dottoressa Marianna La Rocca e dal biscegliese Nicola Amoroso, che già nel 2014 era stato premiato dalla Medical School di Harvard per le scoperte nella lotta alle malattie neurodegenerative.
Il metodo ideato, qualora dovesse essere messo in pratica, non solo faciliterà il sostegno psicologico verso i soggetti più a rischio, ma aprirà le porte allo studio di nuovi medicinali che possano contrastare una malattia da cui non si può ad oggi guarire.