Speciale
Nicola Uva, un piccolo grande chef si racconta
Emozioni da gustare in ogni piatto al ristorante Happy Days di Bisceglie
Bisceglie - sabato 15 aprile 2017
13.41
Nicola Uva, chef insieme al padre Pantaleo Uva del ristorante Happy Days di Bisceglie, classe '91, crea emozioni da gustare in ogni suo piatto.
Dopo aver frequentato l'Istituto Alberghiero di Molfetta e l'Etoile Academy e dopo alcuni periodi di gavetta, decide di affiancare il padre e inizia a lavorare a Bisceglie, nell'azienda di famiglia.
Per il giovane chef "«Studiare è l'unico modo per conoscere nuove tecniche, per dare stimolo a nuove sperimentazioni, per elaborare abbinamenti innovativi». Lo chef non si ferma mai: «In cucina non bisogna porsi limiti! Un piatto è fatto di diversi elementi ognuno dei quali necessita di molta cura, dal food design fino al gioco delle consistenze, passando per odore e sapore. Un piatto riuscito in ognuno di questi aspetti nasce dopo tanto lavoro, tanti tentativi e moltissimo approfondimento. Ognuno poi trova e personalizza il proprio modo di lavorare e di creare».
Si avvicina sin dalla giovane età ai fornelli, grazie anche al papà chef che assieme a tutta la famiglia continua, con oltre 34 anni di attività, la sua mission all'Happy Days, fondato nel 1983.
Dopo i cambiamenti di menu, ai due fratelli Sergio e Pantaleo, si affiancano nel 2011, i figli Pietro e Nicola. Da una forte tradizione marinara, l'Happy Days diventa un ottimo ristorante di pesce, dove la qualità e il saper fare sono alla base di ogni piatto con la giusta innovazione.
Entrando in questo ristorante, i clienti sempre più attenti ritrovano il gusto del lavoro a regola d'arte e grazie a tutta la brigata che affianca Nicola Uva, tutto ciò che creano per mangiare è fatto con tanta passione.
I Romani hanno cambiato il pensiero gastronomico con la frase "Noi viviamo per mangiare", conclude Nicola Uva. «Questa è la chiave della cucina contemporanea e naturalmente lo è guardare sempre al futuro. Negli anni ho viaggiato, osservato e assorbito esperienze gastronomiche e culturali, questo mi permette di continuare a guardare oltre e sognare. Se smettessi di sognare, smetterei anche di cucinare».