Cultura
Quarantennale della strage di via Fani: un silenzio nel ricordo
«Singolare paese il nostro: ospitiamo gli assassini sui mass media»
Bisceglie - martedì 20 marzo 2018
8.57
Singolare Paese il nostro. Celebriamo il quarantennale dell'eccidio di via Fani ed il rapimento del Professore e Statista Aldo Moro ed ospitiamo sui mass media quelli che furono anche gli assassini, con le loro improbabili giustificazioni a quanto compiuto sulla pelle dei caduti e della nazione intera.
Esiste un limite a tutto, quello del buon senso. L'Italia dovrebbe avere maggiore consapevolezza ed invece ne siamo lontani, forse per superficialità.
Un vero e proprio oltraggio verso lo sconfinato oceano di gratuito dolore delle famiglie coinvolte nella vicenda Moro, ma anche verso l'Italia delle persone oneste ed umili.
Sono trascorsi 40 anni dall'eccidio di via Fani, in Roma, quando è trucidata la scorta del Presidente Moro che è rapito e tenuto prigioniero per 55 giorni. La verità, all'epoca nascosta, cambia la storia dell'Italia, ma non muta il ricordo di chi la persegue e l'importanza della vita strappata dalle pallottole di 40 anni fa.
Il 9 maggio del 1978, nella Renault 4 in via Caetani a Roma, è ritrovato il corpo dello Statista esamine.
«Moro vive». Lo sostiene il deputato Gero Grassi, esponente di primo piano della Commissione d'Inchiesta sul rapimento e morte di Aldo Moro da lui voluta e fatta nascere per amore dell'Italia e per il forte desiderio di fare giustizia.
La risposta è nelle parole di Moro: "La verità è più grande di qualsiasi tornaconto. La verità è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi".
Moro vive nel cuore degli italiani onesti, in quello delle persone umili, in quello di chi aspira alla verità.
Moro vive nella verità, in quella verità alla quale non possiamo rinunciare se vogliamo essere uomini e se la vogliamo perseguire è necessario tantissimo coraggio.
Grassi intraprende il viaggio della verità sul "Caso Moro" in un tour interminabile e realizzando un'iniziativa dal tema "Chi e perché ha ucciso Aldo Moro". In occasione del quarantennale, rilascia interviste e registrazioni sui mass media sulla morte e sul rapimento di Aldo Moro e racconta il martirio ed il sacrificio di un uomo mite, buono e generoso, di uno statista assassinato per il suo ruolo e le sue idee e dimostrando con atti, documenti e prove le vere ragioni che conducono a quel delitto di Stato, talmente orrido da lasciare nel guado l'intera nazione.
Il suo è un percorso non privo di ostacoli finalizzato a mettere a fuoco il motivo, la ragione di Stato, le menzogne, le differenti versioni dei fatti, le dimenticanze di dati concreti ed evidenti che si celano dietro il "delitto di abbandono" di Aldo Moro.
Il giovedì del 16 marzo 1978 alle ore 8:00 l'onorevole Aldo Moro esce di casa, via del Trionfale a Roma ed è diretto in chiesa per la Santa Messa. Con lui il maresciallo Oreste Leonardi, l'appuntato dei carabinieri Domenico Ricci. I tre poliziotti, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi lo aspettano fuori dalla chiesa.
Moro è diretto in Parlamento per votare la fiducia al nuovo governo, presieduto da Andreotti.
In via Fani dalle ore 9:02 alle ore 9:05 si consuma la tragedia con un'azione dei brigatisti che soprannominano "Fritz" con riferimento al ciuffo bianco di Moro.
La Commissione d'Inchiesta ha dimostrato che in via Fani sono sparati in totale 93 colpi e che la motivazione del colpo di grazia agli uomini della scorta sta nel fatto che non devono poter riferire quanto visto. L'unico a non ricevere il colpo di grazia è il pugliese Francesco Zizzi che muore dopo in ospedale; è il suo primo giorno di lavoro.
«Il 16 marzo 1978, subito dopo l'eccidio di via Fani e prima della rivendicazione delle Brigate rosse, il governo Andreotti decide di non trattare per la liberazione di Aldo Moro. Leonardo Sciascia chiede ad Andreotti quando e dove si è deciso di non trattare. Il presidente del consiglio risponde che lo Stato non tratta con nessuno al di fuori della legge. La decisione non è mai stata assunta in consiglio dei ministri. I verbali lo dimostrano».
Utilizzando le parole di Grassi, «una persona come Aldo Moro è presa e martirizzata fisicamente e psicologicamente all'interno di un quadro politico internazionale». Moro subisce un vero e proprio "martirio laico".
È necessario impedire alla coscienza collettiva di far cadere nell'oblio l'intera vicenda Moro, o peggio ancora di mistificare i fatti ed impedire di uscire dal labirinto.
Mi fanno riflettere le parole di Maria Fida Moro: «Il quarantennale mi dà dolore… Il dolore chi lo conosce non si permette mai di crearne di aggiuntivo ad altri. Io credo che la loro parte sia stata fatta e che un sano silenzio sarebbe la cosa migliore per loro, per noi, per questo ex Paese, per tutto».
Rispettare la memoria di Moro e della sua scorta è dire parole sincere e chiare su una pagina nera della storia italiana e non mitizzare personaggi che pur sempre rimangono assassini e che gettano ancora dolore su ferite ancora aperte. Chi su questa tragedia dà lezioni di comportamento o di etica non ha vaga idea di cosa sia il dolore, l'ingiustizia, la violenza, l'odio. Moro non è una "cosa", un oggetto dimenticato in un portabagagli di una macchina rossa, ma è una persona, un uomo indimenticabile, insostituibile e che ha diritto al rispetto ed alla dignità che sono, peraltro dovuti in quanto uomo, immagine di Dio.
Sono in treno, rientro da Bari nella mia città. Sto sottolineando il libro di Gero Grassi, Aldo Moro: la verità negata. Seduta di fronte a me c'è una ragazza, una studente dell'Università di Bari della facoltà di giurisprudenza. Alzo lo sguardo e mi accorgo che mi sta osservando mentre sottolineo il libro. Il treno è fermo nella stazione di Molfetta; chiudo il libro. La studente legge il nome di Gero Grassi e mi dice: «Che bravo Gero Grassi, è stato alla facoltà di giurisprudenza di Bari nelle ore di diritto costituzionale a parlarci dello Statista e Professore Aldo Moro. Ricordo bene quando ci ha spiegato che il suo lavoro serve a fare giustizia, per consegnare a noi più giovani un'Italia più civile, più libera, più democratica, più sicura».
Mi colpiscono gli occhi radiosi di quella ragazza mentre mi parla. E ricordo che quel giorno in facoltà c'ero anche io.
Aldo Moro è vivo e vive nel cuore delle persone che gli vogliono bene e che lo rispettano.
Esiste un limite a tutto, quello del buon senso. L'Italia dovrebbe avere maggiore consapevolezza ed invece ne siamo lontani, forse per superficialità.
Un vero e proprio oltraggio verso lo sconfinato oceano di gratuito dolore delle famiglie coinvolte nella vicenda Moro, ma anche verso l'Italia delle persone oneste ed umili.
Sono trascorsi 40 anni dall'eccidio di via Fani, in Roma, quando è trucidata la scorta del Presidente Moro che è rapito e tenuto prigioniero per 55 giorni. La verità, all'epoca nascosta, cambia la storia dell'Italia, ma non muta il ricordo di chi la persegue e l'importanza della vita strappata dalle pallottole di 40 anni fa.
Il 9 maggio del 1978, nella Renault 4 in via Caetani a Roma, è ritrovato il corpo dello Statista esamine.
«Moro vive». Lo sostiene il deputato Gero Grassi, esponente di primo piano della Commissione d'Inchiesta sul rapimento e morte di Aldo Moro da lui voluta e fatta nascere per amore dell'Italia e per il forte desiderio di fare giustizia.
La risposta è nelle parole di Moro: "La verità è più grande di qualsiasi tornaconto. La verità è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi".
Moro vive nel cuore degli italiani onesti, in quello delle persone umili, in quello di chi aspira alla verità.
Moro vive nella verità, in quella verità alla quale non possiamo rinunciare se vogliamo essere uomini e se la vogliamo perseguire è necessario tantissimo coraggio.
Grassi intraprende il viaggio della verità sul "Caso Moro" in un tour interminabile e realizzando un'iniziativa dal tema "Chi e perché ha ucciso Aldo Moro". In occasione del quarantennale, rilascia interviste e registrazioni sui mass media sulla morte e sul rapimento di Aldo Moro e racconta il martirio ed il sacrificio di un uomo mite, buono e generoso, di uno statista assassinato per il suo ruolo e le sue idee e dimostrando con atti, documenti e prove le vere ragioni che conducono a quel delitto di Stato, talmente orrido da lasciare nel guado l'intera nazione.
Il suo è un percorso non privo di ostacoli finalizzato a mettere a fuoco il motivo, la ragione di Stato, le menzogne, le differenti versioni dei fatti, le dimenticanze di dati concreti ed evidenti che si celano dietro il "delitto di abbandono" di Aldo Moro.
Il giovedì del 16 marzo 1978 alle ore 8:00 l'onorevole Aldo Moro esce di casa, via del Trionfale a Roma ed è diretto in chiesa per la Santa Messa. Con lui il maresciallo Oreste Leonardi, l'appuntato dei carabinieri Domenico Ricci. I tre poliziotti, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi lo aspettano fuori dalla chiesa.
Moro è diretto in Parlamento per votare la fiducia al nuovo governo, presieduto da Andreotti.
In via Fani dalle ore 9:02 alle ore 9:05 si consuma la tragedia con un'azione dei brigatisti che soprannominano "Fritz" con riferimento al ciuffo bianco di Moro.
La Commissione d'Inchiesta ha dimostrato che in via Fani sono sparati in totale 93 colpi e che la motivazione del colpo di grazia agli uomini della scorta sta nel fatto che non devono poter riferire quanto visto. L'unico a non ricevere il colpo di grazia è il pugliese Francesco Zizzi che muore dopo in ospedale; è il suo primo giorno di lavoro.
«Il 16 marzo 1978, subito dopo l'eccidio di via Fani e prima della rivendicazione delle Brigate rosse, il governo Andreotti decide di non trattare per la liberazione di Aldo Moro. Leonardo Sciascia chiede ad Andreotti quando e dove si è deciso di non trattare. Il presidente del consiglio risponde che lo Stato non tratta con nessuno al di fuori della legge. La decisione non è mai stata assunta in consiglio dei ministri. I verbali lo dimostrano».
Utilizzando le parole di Grassi, «una persona come Aldo Moro è presa e martirizzata fisicamente e psicologicamente all'interno di un quadro politico internazionale». Moro subisce un vero e proprio "martirio laico".
È necessario impedire alla coscienza collettiva di far cadere nell'oblio l'intera vicenda Moro, o peggio ancora di mistificare i fatti ed impedire di uscire dal labirinto.
Mi fanno riflettere le parole di Maria Fida Moro: «Il quarantennale mi dà dolore… Il dolore chi lo conosce non si permette mai di crearne di aggiuntivo ad altri. Io credo che la loro parte sia stata fatta e che un sano silenzio sarebbe la cosa migliore per loro, per noi, per questo ex Paese, per tutto».
Rispettare la memoria di Moro e della sua scorta è dire parole sincere e chiare su una pagina nera della storia italiana e non mitizzare personaggi che pur sempre rimangono assassini e che gettano ancora dolore su ferite ancora aperte. Chi su questa tragedia dà lezioni di comportamento o di etica non ha vaga idea di cosa sia il dolore, l'ingiustizia, la violenza, l'odio. Moro non è una "cosa", un oggetto dimenticato in un portabagagli di una macchina rossa, ma è una persona, un uomo indimenticabile, insostituibile e che ha diritto al rispetto ed alla dignità che sono, peraltro dovuti in quanto uomo, immagine di Dio.
Sono in treno, rientro da Bari nella mia città. Sto sottolineando il libro di Gero Grassi, Aldo Moro: la verità negata. Seduta di fronte a me c'è una ragazza, una studente dell'Università di Bari della facoltà di giurisprudenza. Alzo lo sguardo e mi accorgo che mi sta osservando mentre sottolineo il libro. Il treno è fermo nella stazione di Molfetta; chiudo il libro. La studente legge il nome di Gero Grassi e mi dice: «Che bravo Gero Grassi, è stato alla facoltà di giurisprudenza di Bari nelle ore di diritto costituzionale a parlarci dello Statista e Professore Aldo Moro. Ricordo bene quando ci ha spiegato che il suo lavoro serve a fare giustizia, per consegnare a noi più giovani un'Italia più civile, più libera, più democratica, più sicura».
Mi colpiscono gli occhi radiosi di quella ragazza mentre mi parla. E ricordo che quel giorno in facoltà c'ero anche io.
Aldo Moro è vivo e vive nel cuore delle persone che gli vogliono bene e che lo rispettano.