Alle porte dell'est
Che succede in Albania?
Le proteste di piazza contro il governo intrecciano il disagio della popolazione, la sete di potere delle opposizioni e i legami tra politica e criminalità
mercoledì 20 febbraio 2019
12.25
Il governo socialista guidato da Edi Rama, già sindaco della capitale e da giovanissimo giocatore di basket, sarebbe colluso coi narcotrafficanti. È questo, in sintesi, l'atto d'accusa dell'opposizione di centrodestra albanese, trascinata dal Partito Democratico del leader Lulzim Basha (che gli successe nel 2011 al timone del comune di Tirana), fondato nei primi anni '90 dal discusso Sali Berisha, presidente della repubblica, premier e protagonista indiscusso dell'epoca post-comunista nel paese delle Aquile.
Sono giorni molto convulsi a Tirana e in tutta l'Albania. Le manifestazioni antigovernative convocate dalle minoranze parlamentari hanno riscosso una sensibile partecipazione popolare.
L'esito delle elezioni politiche del 25 giugno 2017 per il rinnovo dell'unica camera (140 seggi) fu netto: il Partito Socialista di Rama s'impose col 48.3% e conquistò la maggioranza assoluta in parlamento con 74 seggi. Il Partito Democratico (con diversi candidati di altre forze minori all'interno delle sue liste) si fermò al 28.8% eleggendo 43 deputati. Oggi la forza politica di centrodestra, d'intesa col Movimento Socialista per l'integrazione (che giunse terzo col 14.2% dei voti esprimendo 19 seggi) e la sua principale esponente, Monika Kryemadhi, moglie dell'attuale presidente della repubblica Ilir Meta, è al comando delle proteste di piazza.
Un quadro decisamente complesso, anche in considerazione del fatto che Meta fu eletto alla carica più alta dello stato coi voti dei parlamentari del Partito Socialista e del Movimento Socialista per l'integrazione mentre il Partito Democratico boicottò l'elezione (che in Albania è di secondo livello: il presidente della repubblica è scelto dai componenti dell'assemblea). Uno scenario da telenovela sudamericana piuttosto che da evoluzione politica di uno stato dell'Europa orientale, condito dagli scambi reciproci di insinuazioni a proposito di contiguità con gli ambienti criminali.
Sabato 16 febbraio qualcuno è passato dagli slogan ai fatti: un gruppo di manifestanti è entrato in contatto con la polizia nei pressi del palazzo del governo. Sono seguiti momenti di tensione con lanci di bombe molotov e oggetti: 19 i feriti. L'accaduto non ha certo frenato le intenzioni degli oppositori del governo, pronti a scendere nelle piazze anche giovedì 21 febbraio.
Rama, intervistato dal giornalista pugliese del Tg2 Leonardo Zellino, ha respinto - in un italiano perfetto - tutte le accuse di connivenza coi trafficanti di droga, compravendita di voti e corruzione riguardo la costruzione di alcune strade.
Sullo sfondo, un tasso di disoccupazione ancora troppo alto, specie fra i giovani, costretti a emigrare innanzitutto in Italia per cercare di realizzare i loro desideri. La protesta contro l'esecutivo guidato da Edi Rama non è necessariamente un'apertura di credito nei confronti delle altre forze politiche e sembra rispondere più all'espressione di un disagio generalizzato. L'ingresso dell'Albania - il cui primo partner commerciale è l'Italia - nell'Unione Europea pare ancora lontano.
Sono giorni molto convulsi a Tirana e in tutta l'Albania. Le manifestazioni antigovernative convocate dalle minoranze parlamentari hanno riscosso una sensibile partecipazione popolare.
L'esito delle elezioni politiche del 25 giugno 2017 per il rinnovo dell'unica camera (140 seggi) fu netto: il Partito Socialista di Rama s'impose col 48.3% e conquistò la maggioranza assoluta in parlamento con 74 seggi. Il Partito Democratico (con diversi candidati di altre forze minori all'interno delle sue liste) si fermò al 28.8% eleggendo 43 deputati. Oggi la forza politica di centrodestra, d'intesa col Movimento Socialista per l'integrazione (che giunse terzo col 14.2% dei voti esprimendo 19 seggi) e la sua principale esponente, Monika Kryemadhi, moglie dell'attuale presidente della repubblica Ilir Meta, è al comando delle proteste di piazza.
Un quadro decisamente complesso, anche in considerazione del fatto che Meta fu eletto alla carica più alta dello stato coi voti dei parlamentari del Partito Socialista e del Movimento Socialista per l'integrazione mentre il Partito Democratico boicottò l'elezione (che in Albania è di secondo livello: il presidente della repubblica è scelto dai componenti dell'assemblea). Uno scenario da telenovela sudamericana piuttosto che da evoluzione politica di uno stato dell'Europa orientale, condito dagli scambi reciproci di insinuazioni a proposito di contiguità con gli ambienti criminali.
Sabato 16 febbraio qualcuno è passato dagli slogan ai fatti: un gruppo di manifestanti è entrato in contatto con la polizia nei pressi del palazzo del governo. Sono seguiti momenti di tensione con lanci di bombe molotov e oggetti: 19 i feriti. L'accaduto non ha certo frenato le intenzioni degli oppositori del governo, pronti a scendere nelle piazze anche giovedì 21 febbraio.
Rama, intervistato dal giornalista pugliese del Tg2 Leonardo Zellino, ha respinto - in un italiano perfetto - tutte le accuse di connivenza coi trafficanti di droga, compravendita di voti e corruzione riguardo la costruzione di alcune strade.
Sullo sfondo, un tasso di disoccupazione ancora troppo alto, specie fra i giovani, costretti a emigrare innanzitutto in Italia per cercare di realizzare i loro desideri. La protesta contro l'esecutivo guidato da Edi Rama non è necessariamente un'apertura di credito nei confronti delle altre forze politiche e sembra rispondere più all'espressione di un disagio generalizzato. L'ingresso dell'Albania - il cui primo partner commerciale è l'Italia - nell'Unione Europea pare ancora lontano.