Buongiorno
Buoni. E zitti
L'Italia ha vinto l'Eurovision Song Contest: è il trionfo di chi ha sempre tenuto vivo l'interesse per la manifestazione negli anni bui
domenica 23 maggio 2021
11.58
È successo per davvero, e qualche inevitabile lacrimuccia ha solcato anche il volto stanco del giornalista che, pur avendone viste tante, non ha potuto trattenere l'emozione. L'Italia ha vinto l'Eurovision Song Contest 2021 col trascinante pezzo "Zitti e buoni" dei Måneskin, centrando il suo terzo successo nella storia della rassegna musicale più seguita al mondo.
Contrariamente a quanto sta già accadendo e a quello che succederà nei prossimi giorni, non farò parte di coloro che assalteranno la diligenza allo scopo di salire a bordo del carro dei vincitori: il brano con cui abbiamo trionfato non incontra in pieno i miei gusti personali e non cambierò idea perché la coerenza è un valore. Ciò non mi impedisce di esprimere, da eurofan, la gioia per un successo meritatissimo e la riconoscenza nei confronti di Damiano David, Victoria De Angelis, Thomas Raggi ed Ethan Torchio.
Vale la pena riflettere, piuttosto, con la mente un po' più sgombra e dopo averci dormito su per qualche ora, sul significato di questa grandissima vittoria. Chi mi conosce da lungo tempo e chi ha avuto la pazienza di seguire il mio lavoro nel corso degli anni sa benissimo che il rapporto personale con la manifestazione affonda radici in tempi lontani: appartengo alla generazione di quei pochissimi che l'Esc lo hanno continuato a seguire con meticolosa ostinazione anche nel vergognoso periodo dell'oblio autoindotto dalla nostra emittente di Stato, che per 13 edizioni consecutive (più altre tre nella fase centrale degli anni '90) ha volutamente evitato di partecipare per il timore di un'affermazione che avrebbe significato doversi accollare le spese di organizzazione del contest successivo.
La notte di Rotterdam, forse, ha riscattato in parte quell'odiosa e ignobile parentesi di protervia, mancanza di lucidità e coraggio, incapacità di cogliere i segnali dei tempi che cambiavano. Per certi versi risulta "catartico" che l'Italia si sia imposta con un genere musicale così distante da quello stereotipo, quella proiezione del nostro popolo e del nostro essere italiani cui probabilmente non crede più nessuno: chissà che non si riesca a trarre un'importante lezione da quanto accaduto.
Siccome la vittoria ha moltissimi padri, i media mainstream del nostro paese hanno subito ingaggiato una battaglia cruenta e serrata nel tessere, improvvisamente, le lodi sperticate di una manifestazione che per interi decenni avevano definito alla stregua di una pagliacciata, di una sagra paesana, di una fiera del kitsch, con valanghe di ironie pesanti, insulti, espressioni discriminatorie specie nei confronti degli artisti dell'Europa orientale, bersagli preferiti delle loro disgustose infamie. Non che non abbia colto, imboscati tra migliaia di commenti di giubilo, battute squallide su francesi e svizzeri, paragoni inappropriati con le vicende calcistiche e altre schifezze assortite.
Nessuno riuscirà, in ogni caso, a rovinare la festa. L'Eurovision Song Contest 2022 si terrà nel nostro paese e non potrà che andar meglio rispetto alla caotica esperienza organizzativa del lontano 1991 a Roma. Se penso alle parabole che ho dovuto orientare per seguire lo show, alle videocassette che mi sono dovuto procurare (e alle volte in cui me le sono fatte lasciare al bar dell'autogrill di Bisceglie da amici di ogni d'angolo d'Europa), alle informazioni che mi sono arrivate quasi clandestinamente, ai soldi spesi per telefonate internazionali, alle lingue in cui ho ascoltato commenti e trasmissioni di approfondimento sulla manifestazione, alle persone che ho conosciuto e incontrato nel lungo "cammino", ai libri (spesso non in italiano) che ho letto, alle storie che mi hanno raccontato, alle testimonianze che ho raccolto per il semplice gusto di saperne di più, a quello che mi è stato detto riguardo alcune vicende irriferibili in pubblico, mi rendo conto di quanta strada sia stata compiuta dai pochi, veri eurofans italiani la cui tenacia è alla base del graduale recupero di interesse verso l'Esc in Italia.
Questa è la vittoria delle persone come Mauro Bertocchini di Radio Incontro Pisa, che nel maggio del 1990 era l'unico inviato italiano (l'unico!) presente a Zagabria nell'edizione vinta da Toto Cutugno. È la vittoria dei componenti del gruppo Ogae (al quale, colpevolmente, non mi sono mai voluto iscrivere per il pudore di non voler sembrare più "ultrà" di altri), di quei pochi "eretici" che non hanno mai spento la fiammella, anche quando tutto avrebbe indotto a farlo. È la vittoria dei pochi colleghi che si occupano con grande professionalità dei siti specializzati coi quali, con altrettanto colpevole pudore e timore di "dare fastidio", non ho mai voluto collaborare pur divorandone i contenuti. Di alcune decine di persone in tutta Italia che per anni sono state ritenute (forse a giusta ragione!) alla stregua di "matti" da amici e familiari per l'insistenza nel dare importanza a qualcosa che alcuni "dirigenti televisivi" ed "esperti musicali" avevano deciso non la dovesse avere. Dovrebbe toccare a loro e soltanto a loro, in momenti come questi, parlare.
Tutti gli altri abbiano l'accortezza di stare buoni. E zitti.
Contrariamente a quanto sta già accadendo e a quello che succederà nei prossimi giorni, non farò parte di coloro che assalteranno la diligenza allo scopo di salire a bordo del carro dei vincitori: il brano con cui abbiamo trionfato non incontra in pieno i miei gusti personali e non cambierò idea perché la coerenza è un valore. Ciò non mi impedisce di esprimere, da eurofan, la gioia per un successo meritatissimo e la riconoscenza nei confronti di Damiano David, Victoria De Angelis, Thomas Raggi ed Ethan Torchio.
Vale la pena riflettere, piuttosto, con la mente un po' più sgombra e dopo averci dormito su per qualche ora, sul significato di questa grandissima vittoria. Chi mi conosce da lungo tempo e chi ha avuto la pazienza di seguire il mio lavoro nel corso degli anni sa benissimo che il rapporto personale con la manifestazione affonda radici in tempi lontani: appartengo alla generazione di quei pochissimi che l'Esc lo hanno continuato a seguire con meticolosa ostinazione anche nel vergognoso periodo dell'oblio autoindotto dalla nostra emittente di Stato, che per 13 edizioni consecutive (più altre tre nella fase centrale degli anni '90) ha volutamente evitato di partecipare per il timore di un'affermazione che avrebbe significato doversi accollare le spese di organizzazione del contest successivo.
La notte di Rotterdam, forse, ha riscattato in parte quell'odiosa e ignobile parentesi di protervia, mancanza di lucidità e coraggio, incapacità di cogliere i segnali dei tempi che cambiavano. Per certi versi risulta "catartico" che l'Italia si sia imposta con un genere musicale così distante da quello stereotipo, quella proiezione del nostro popolo e del nostro essere italiani cui probabilmente non crede più nessuno: chissà che non si riesca a trarre un'importante lezione da quanto accaduto.
Siccome la vittoria ha moltissimi padri, i media mainstream del nostro paese hanno subito ingaggiato una battaglia cruenta e serrata nel tessere, improvvisamente, le lodi sperticate di una manifestazione che per interi decenni avevano definito alla stregua di una pagliacciata, di una sagra paesana, di una fiera del kitsch, con valanghe di ironie pesanti, insulti, espressioni discriminatorie specie nei confronti degli artisti dell'Europa orientale, bersagli preferiti delle loro disgustose infamie. Non che non abbia colto, imboscati tra migliaia di commenti di giubilo, battute squallide su francesi e svizzeri, paragoni inappropriati con le vicende calcistiche e altre schifezze assortite.
Nessuno riuscirà, in ogni caso, a rovinare la festa. L'Eurovision Song Contest 2022 si terrà nel nostro paese e non potrà che andar meglio rispetto alla caotica esperienza organizzativa del lontano 1991 a Roma. Se penso alle parabole che ho dovuto orientare per seguire lo show, alle videocassette che mi sono dovuto procurare (e alle volte in cui me le sono fatte lasciare al bar dell'autogrill di Bisceglie da amici di ogni d'angolo d'Europa), alle informazioni che mi sono arrivate quasi clandestinamente, ai soldi spesi per telefonate internazionali, alle lingue in cui ho ascoltato commenti e trasmissioni di approfondimento sulla manifestazione, alle persone che ho conosciuto e incontrato nel lungo "cammino", ai libri (spesso non in italiano) che ho letto, alle storie che mi hanno raccontato, alle testimonianze che ho raccolto per il semplice gusto di saperne di più, a quello che mi è stato detto riguardo alcune vicende irriferibili in pubblico, mi rendo conto di quanta strada sia stata compiuta dai pochi, veri eurofans italiani la cui tenacia è alla base del graduale recupero di interesse verso l'Esc in Italia.
Questa è la vittoria delle persone come Mauro Bertocchini di Radio Incontro Pisa, che nel maggio del 1990 era l'unico inviato italiano (l'unico!) presente a Zagabria nell'edizione vinta da Toto Cutugno. È la vittoria dei componenti del gruppo Ogae (al quale, colpevolmente, non mi sono mai voluto iscrivere per il pudore di non voler sembrare più "ultrà" di altri), di quei pochi "eretici" che non hanno mai spento la fiammella, anche quando tutto avrebbe indotto a farlo. È la vittoria dei pochi colleghi che si occupano con grande professionalità dei siti specializzati coi quali, con altrettanto colpevole pudore e timore di "dare fastidio", non ho mai voluto collaborare pur divorandone i contenuti. Di alcune decine di persone in tutta Italia che per anni sono state ritenute (forse a giusta ragione!) alla stregua di "matti" da amici e familiari per l'insistenza nel dare importanza a qualcosa che alcuni "dirigenti televisivi" ed "esperti musicali" avevano deciso non la dovesse avere. Dovrebbe toccare a loro e soltanto a loro, in momenti come questi, parlare.
Tutti gli altri abbiano l'accortezza di stare buoni. E zitti.