Buongiorno
Come avremmo potuto non volerti bene?
Il blog di Vito Troilo
venerdì 29 maggio 2020
12.00
Sono qui, al bar della benza. In fondo, dove altro potrei essere a mezzogiorno, se non in "ufficio"?
Ti sto aspettando. Confido nel tuo arrivo impetuoso, dissacrante, col sorriso sulle labbra.
Non mi farò mai una ragione della tua assenza, anche e soprattutto perché ci sarai sempre.
Ci sei adesso, nei ricordi degli amici che leggo sui social.
Ci sarai ancora, negli aneddoti che continueremo a ricordare e nelle storie che racconteremo a chi non ha goduto del privilegio di conoscerti.
Ti rivedrò spesso negli occhi delle persone che ora provano un dolore inestimabile: penso a Valerio, a Ornella, a Ciccio, a Eugenio, a Onofrio. Al tuo caro papà. E agli altri tuoi amici più stretti, di una vita.
Oggi, per la prima volta, il giornalista lascia spazio all'uomo. Non riuscirei a scrivere di te col distacco necessario. Non potrei evitare di definirti il fratello maggiore che ciascuno di noi, ragazzi biscegliesi tra i 30 e i 40 anni, avrebbe desiderato avere.
Come avremmo potuto non volerti bene? Come avremmo potuto non imparare da te, ogni giorno di più, quale sia il vero significato del termine "vita"?
Quello che sei stato in grado di lasciare in dote a migliaia di persone con le quali hai incrociato la strada lo leggiamo solo in minima parte, ora che il tuo viaggio su questa terra si è concluso. Perché gran parte del tesoro d'amore, d'affetto, di conoscenze, di insegnamenti che ci hai affidato la porteremo e custodiremo nei nostri cuori.
Sono qui, al bar della benza.
Sorrido pensando alla frase che un bel giorno, improvvisamente, pronunciasti in vernacolo, trasformandola in un mantra: «Èmma vedà ci l'òve achiude chèra cazze de pórte!». Perentorio, divertente, irresistibile. Unico.
Pablo, amico mio, come avremmo potuto non volerti bene?
Ti sto aspettando. Confido nel tuo arrivo impetuoso, dissacrante, col sorriso sulle labbra.
Non mi farò mai una ragione della tua assenza, anche e soprattutto perché ci sarai sempre.
Ci sei adesso, nei ricordi degli amici che leggo sui social.
Ci sarai ancora, negli aneddoti che continueremo a ricordare e nelle storie che racconteremo a chi non ha goduto del privilegio di conoscerti.
Ti rivedrò spesso negli occhi delle persone che ora provano un dolore inestimabile: penso a Valerio, a Ornella, a Ciccio, a Eugenio, a Onofrio. Al tuo caro papà. E agli altri tuoi amici più stretti, di una vita.
Oggi, per la prima volta, il giornalista lascia spazio all'uomo. Non riuscirei a scrivere di te col distacco necessario. Non potrei evitare di definirti il fratello maggiore che ciascuno di noi, ragazzi biscegliesi tra i 30 e i 40 anni, avrebbe desiderato avere.
Come avremmo potuto non volerti bene? Come avremmo potuto non imparare da te, ogni giorno di più, quale sia il vero significato del termine "vita"?
Quello che sei stato in grado di lasciare in dote a migliaia di persone con le quali hai incrociato la strada lo leggiamo solo in minima parte, ora che il tuo viaggio su questa terra si è concluso. Perché gran parte del tesoro d'amore, d'affetto, di conoscenze, di insegnamenti che ci hai affidato la porteremo e custodiremo nei nostri cuori.
Sono qui, al bar della benza.
Sorrido pensando alla frase che un bel giorno, improvvisamente, pronunciasti in vernacolo, trasformandola in un mantra: «Èmma vedà ci l'òve achiude chèra cazze de pórte!». Perentorio, divertente, irresistibile. Unico.
Pablo, amico mio, come avremmo potuto non volerti bene?