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«Dobbiamo accettarlo: qui la mafia c'è»
Riflessioni su un evento che potrebbe aver finalmente smosso le coscienze dei biscegliesi
lunedì 28 giugno 2021
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L'incontro organizzato venerdì 25 giugno negli accoglienti spazi dello Sporting Club da Gianni Casella, volitivo presidente del consiglio comunale di Bisceglie, potrebbe aver contribuito in modo determinante a definire, al netto di dannose banalizzazioni e toni stucchevoli da "professionisti dell'antimafia", la necessità di aprire (e mantenere viva) una riflessione seria sulla presenza della criminalità organizzata a Bisceglie e nel territorio della Bat. Esiste una via di mezzo tra il silenzio quasi connivente e autoassolutorio di chi per troppo tempo ha ritenuto queste terre "al sicuro" e l'esagerazione opposta di chi, a suon di forzature, ha finito per caricaturizzare un allarme vero. L'auspicio, perciò, è che le coscienze dei presenti siano state finalmente smosse da quanto ascoltato.
«Dobbiamo accettarlo: qui la mafia c'è» ha detto Giuseppe Gatti, Procuratore della Repubblica presso la Direzione nazionale antimafia, e sarebbe sufficiente avviare questo percorso, con una chiara presa d'atto di comunità, per ritenere l'evento biscegliese quello spartiacque necessario a «non fare passi indietro» come ha sottolineato lo stesso Gianni Casella introducendo gli interventi.
L'assoluta franchezza con cui Renato Nitti, capo della Procura di Trani, ha diffuso e analizzato alcuni dati oltre ad ammettere il bisogno, da parte del suo ufficio, di riconquistare una credibilità minata dalle vicende dei mesi scorsi è il miglior segnale possibile di discontinuità: come spesso accade, al peso specifico delle parole si somma la rivelanza della sede, del momento e degli interlocutori al cospetto dei quali esse sono pronunciate.
«L'indice di organizzazione criminale nel circondario di Trani è pari a 41, sui livelli di quello di Bari, mentre la media nazionale è 29: eppure mi sono reso contro del fatto che il territorio non avrebbe avuto diritto ad alcun incremento dei contingenti delle forze di polizia» ha spiegato Nitti. «Ragionare attraverso le statistiche giudiziarie ha impedito di valutare la drammaticità della situazione: secondo l'indice di criminalità 2020 la Bat è la prima provincia italiana per furti d'auto, la terza per numero di omicidi commessi, nella top 10 per le rapine in abitazione e le estersioni. Ogni notte dalle nostre città partono batterie di ladri d'auto che colpiscono altrove, soprattutto a Bari» ha evidenziato, aggiungendo che una tale capacità di mobilitazione sottende ai metodi tipici della criminalità organizzata di stampo mafioso. La Bat è fra le prime 10 province d'Italia guardando all'indice di permeabilità criminale elaborato dall'Eurispes e al contempo nelle posizioni di coda negli indicatori della qualità della vita. Statistiche ingenerose che hanno dato lo spunto a Monsignor Leonardo D'Ascenzo, Arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, per un intervento che si è inserito nel solco delle parole, forse persino inaspettate, affidate a una significativa nota diffusa a seguito dell'allarme lanciato da Nitti a metà aprile (clic per saperne di più): «Parte della realtà di questo territorio desta preoccupazione. Quella nota, è vero, mi ha lasciato spiazzato. La comunità umana sa esprimere bellezza e solo ragionando con la logica del "noi", camminando insieme, in sintonia tra tutti i soggetti, potremo costruire contesti - anche attraverso l'educazione e la formazione - in cui le mafie non abbiano terreno per attecchire. La povertà educativa genera povertà sociale ed economica, ecco perché va contrastata» ha detto il Vescovo.
Gatti ha tracciato le coordinate di un fenomeno criminale che viene da lontano: «Abbiamo bisogno di fare memoria, perché la mafia qui c'è da tanto tempo, con una presenza costante e i suoi "miti". Il binomio vincente delle organizzazioni pugliesi è il mix fra tradizione e continuità, sulla scia di una genesi imitativa delle altre mafie favorita dai contatti derivanti dalle deportazioni dei detenuti nelle nostre carceri e dai soggiorni riabilitativi».
Comprendere le origini e i meccanismi delle mafie pugliesi, per il Procuratore della Direzione nazionale antimafia, è essenziale: «Il criminale pugliese ha assorbito la cultura e la pedagogia mafiosa, specie sul finire degli anni '70 quando il modello di Raffaele Cutolo - coi suoi riti affiliatori e le pratiche "liturgiche" - ha portato alla nascita dalla Nuova camorra pugliese» ha rimarcato. «Cutolo aveva visto nell'Adriatico un canale di comunicazione e proiezione futura dei traffici illeciti: mafie votate all'affare, moderne, piene di iniziativa si sono affermate sul territorio» ha aggiunto, riferendosi in particolare all'escalation del clan Annacondia a cavallo fra gli anni '80 e '90.
«Le relazioni tra i clan locali si sono sviluppate nel tempo: lo provano i collegamenti scoperti in diverse occasioni come nel 2018 quando a Catanzaro, nell'operazione Keleos, furono coinvolti un cerignolano e un andriese» ha osservato il Procuratore Gatti. Quindi, un passaggio corposo e preoccupante sulla situazione a Bisceglie: «Sappiamo della presenza di esponenti affiliati al clan Capriati. Il giro di droga, nelle piazze di spaccio biscegliesi, ha coinvolto e coinvolge un numero incredibile di minori nelle consegne per strada e a domicilio, come dimostrato dall'esito di alcune indagini. La marijuana proveniente specie dall'Albania transita per Bisceglie, con le organizzazioni criminali che fanno da "front office": le mafie pugliesi, attraverso il dialogo diretto coi cartelli albanesi e colombiani (in quest'ultimo caso soprattutto per l'approvvigionamento di cocaina), hanno ridotto il loro grado di subalternità alle 'ndrine e alla camorra e puntano a recitare un ruolo di primo piano nel traffico internazionale di stupefacenti».
Il ricambio generazionale è avvenuto in modo cruento: «Diversi vecchi boss sono stati uccisi. La guerra per il controllo del territorio è praticamente conclusa e ora prevale un modello "consorziale" con le nuove classi dirigenti mafiose intenzionate a fare affari in alcuni settori legali, come il turismo, sfruttando purtroppo alcune complicità per fare il loro ingresso in quella zona grigia, o area di mezzo, che ne consente l'infiltrazione» ha chiarito. «Il codice operativo principale non è più la violenza fine a se stessa: è una mafia che agisce molto in silenzio» ha osservato, facendo riferimento a quanto emerso nelle operazioni "Illiria" del 2016, "Gargano" del 2018 e "Blue box" del novembre 2020 (clic per saperne di più), quest'ultima effettuata proprio a Bisceglie.
Da qui, la necessità di un percorso di consapevolezza: «Rendiamoci conto che il problema è cresciuto, ha assunto nuovi volti e dimensioni. Servono senso di responsabilità e impegno». La partecipazione all'incontro dello Sporting Club di quasi tutti i principali esponenti politici della città e del territorio, oltre che di numerosi referenti degli ordini professionali e delle associazioni è un segnale molto confortante cui però bisognerà dare seguito, aprendo ulteriormente il dibattito sul tema.
Troppo poco è stato fatto finora sui media, quasi nulla si è rivelata la capacità di coinvolgimento e utilizzo delle prerogative di disintermediazione che i giornali esercitano, nel concreto, tutte le volte che si occupano di mafie con l'unico obiettivo di informare decine di migliaia di lettori. La lotta alla criminalità organizzata non può ridursi a un vessillo da sventolare secondo convenienza o alla soddisfazione di evanescenti personalismi: il fronte da opporre alla malavita comprende anche e soprattutto chi, attraverso i mezzi di comunicazione più seguiti, popolari e affidabili, può contribuire ad allargare il campo della conoscenza e della coscienza di una comunità.
«Dobbiamo accettarlo: qui la mafia c'è» ha detto Giuseppe Gatti, Procuratore della Repubblica presso la Direzione nazionale antimafia, e sarebbe sufficiente avviare questo percorso, con una chiara presa d'atto di comunità, per ritenere l'evento biscegliese quello spartiacque necessario a «non fare passi indietro» come ha sottolineato lo stesso Gianni Casella introducendo gli interventi.
L'assoluta franchezza con cui Renato Nitti, capo della Procura di Trani, ha diffuso e analizzato alcuni dati oltre ad ammettere il bisogno, da parte del suo ufficio, di riconquistare una credibilità minata dalle vicende dei mesi scorsi è il miglior segnale possibile di discontinuità: come spesso accade, al peso specifico delle parole si somma la rivelanza della sede, del momento e degli interlocutori al cospetto dei quali esse sono pronunciate.
«L'indice di organizzazione criminale nel circondario di Trani è pari a 41, sui livelli di quello di Bari, mentre la media nazionale è 29: eppure mi sono reso contro del fatto che il territorio non avrebbe avuto diritto ad alcun incremento dei contingenti delle forze di polizia» ha spiegato Nitti. «Ragionare attraverso le statistiche giudiziarie ha impedito di valutare la drammaticità della situazione: secondo l'indice di criminalità 2020 la Bat è la prima provincia italiana per furti d'auto, la terza per numero di omicidi commessi, nella top 10 per le rapine in abitazione e le estersioni. Ogni notte dalle nostre città partono batterie di ladri d'auto che colpiscono altrove, soprattutto a Bari» ha evidenziato, aggiungendo che una tale capacità di mobilitazione sottende ai metodi tipici della criminalità organizzata di stampo mafioso. La Bat è fra le prime 10 province d'Italia guardando all'indice di permeabilità criminale elaborato dall'Eurispes e al contempo nelle posizioni di coda negli indicatori della qualità della vita. Statistiche ingenerose che hanno dato lo spunto a Monsignor Leonardo D'Ascenzo, Arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, per un intervento che si è inserito nel solco delle parole, forse persino inaspettate, affidate a una significativa nota diffusa a seguito dell'allarme lanciato da Nitti a metà aprile (clic per saperne di più): «Parte della realtà di questo territorio desta preoccupazione. Quella nota, è vero, mi ha lasciato spiazzato. La comunità umana sa esprimere bellezza e solo ragionando con la logica del "noi", camminando insieme, in sintonia tra tutti i soggetti, potremo costruire contesti - anche attraverso l'educazione e la formazione - in cui le mafie non abbiano terreno per attecchire. La povertà educativa genera povertà sociale ed economica, ecco perché va contrastata» ha detto il Vescovo.
Gatti ha tracciato le coordinate di un fenomeno criminale che viene da lontano: «Abbiamo bisogno di fare memoria, perché la mafia qui c'è da tanto tempo, con una presenza costante e i suoi "miti". Il binomio vincente delle organizzazioni pugliesi è il mix fra tradizione e continuità, sulla scia di una genesi imitativa delle altre mafie favorita dai contatti derivanti dalle deportazioni dei detenuti nelle nostre carceri e dai soggiorni riabilitativi».
Comprendere le origini e i meccanismi delle mafie pugliesi, per il Procuratore della Direzione nazionale antimafia, è essenziale: «Il criminale pugliese ha assorbito la cultura e la pedagogia mafiosa, specie sul finire degli anni '70 quando il modello di Raffaele Cutolo - coi suoi riti affiliatori e le pratiche "liturgiche" - ha portato alla nascita dalla Nuova camorra pugliese» ha rimarcato. «Cutolo aveva visto nell'Adriatico un canale di comunicazione e proiezione futura dei traffici illeciti: mafie votate all'affare, moderne, piene di iniziativa si sono affermate sul territorio» ha aggiunto, riferendosi in particolare all'escalation del clan Annacondia a cavallo fra gli anni '80 e '90.
«Le relazioni tra i clan locali si sono sviluppate nel tempo: lo provano i collegamenti scoperti in diverse occasioni come nel 2018 quando a Catanzaro, nell'operazione Keleos, furono coinvolti un cerignolano e un andriese» ha osservato il Procuratore Gatti. Quindi, un passaggio corposo e preoccupante sulla situazione a Bisceglie: «Sappiamo della presenza di esponenti affiliati al clan Capriati. Il giro di droga, nelle piazze di spaccio biscegliesi, ha coinvolto e coinvolge un numero incredibile di minori nelle consegne per strada e a domicilio, come dimostrato dall'esito di alcune indagini. La marijuana proveniente specie dall'Albania transita per Bisceglie, con le organizzazioni criminali che fanno da "front office": le mafie pugliesi, attraverso il dialogo diretto coi cartelli albanesi e colombiani (in quest'ultimo caso soprattutto per l'approvvigionamento di cocaina), hanno ridotto il loro grado di subalternità alle 'ndrine e alla camorra e puntano a recitare un ruolo di primo piano nel traffico internazionale di stupefacenti».
Il ricambio generazionale è avvenuto in modo cruento: «Diversi vecchi boss sono stati uccisi. La guerra per il controllo del territorio è praticamente conclusa e ora prevale un modello "consorziale" con le nuove classi dirigenti mafiose intenzionate a fare affari in alcuni settori legali, come il turismo, sfruttando purtroppo alcune complicità per fare il loro ingresso in quella zona grigia, o area di mezzo, che ne consente l'infiltrazione» ha chiarito. «Il codice operativo principale non è più la violenza fine a se stessa: è una mafia che agisce molto in silenzio» ha osservato, facendo riferimento a quanto emerso nelle operazioni "Illiria" del 2016, "Gargano" del 2018 e "Blue box" del novembre 2020 (clic per saperne di più), quest'ultima effettuata proprio a Bisceglie.
Da qui, la necessità di un percorso di consapevolezza: «Rendiamoci conto che il problema è cresciuto, ha assunto nuovi volti e dimensioni. Servono senso di responsabilità e impegno». La partecipazione all'incontro dello Sporting Club di quasi tutti i principali esponenti politici della città e del territorio, oltre che di numerosi referenti degli ordini professionali e delle associazioni è un segnale molto confortante cui però bisognerà dare seguito, aprendo ulteriormente il dibattito sul tema.
Troppo poco è stato fatto finora sui media, quasi nulla si è rivelata la capacità di coinvolgimento e utilizzo delle prerogative di disintermediazione che i giornali esercitano, nel concreto, tutte le volte che si occupano di mafie con l'unico obiettivo di informare decine di migliaia di lettori. La lotta alla criminalità organizzata non può ridursi a un vessillo da sventolare secondo convenienza o alla soddisfazione di evanescenti personalismi: il fronte da opporre alla malavita comprende anche e soprattutto chi, attraverso i mezzi di comunicazione più seguiti, popolari e affidabili, può contribuire ad allargare il campo della conoscenza e della coscienza di una comunità.