Fuorisede
«Caro Meridione...»
L'appassionata lettera d'amore di una giovane che si rivolge alla sua terra
domenica 19 gennaio 2020
12.54
Caro Meridione,
avrei preferito che questo momento non fosse mai arrivato ma purtroppo, come mi hanno insegnato, nella vita accadono cose quando meno te l'aspetti.
È una lettera d'addio, questa. Non una di quelle strappalacrime, come, chi mi conosce sa che son solita fare, anzi; cercherò in poche righe di spiegare quanto mi hai saputo dare e quanto, ad oggi, non riesci a dar più.
Ricordo come fosse ieri quell'ulivo che mi rendeva fiera di essere meridionale, che mi faceva ombra quando leggevo un libro, che rileggevo nelle etichette dei prodotti all'estero, che mi abbracciava quando dormivo sulla mia madre terra. Era un giorno semplice quello, era infatti semplicemente uno di quei giorni che associo ad un banale ricordo. Era, di per sé, un giorno in cui non avrei mai pensato di dover abbandonare quell'ulivo lasciandolo in una terra che, in previsione, sarà una terra per vecchi. Chi ci penserà, poi, a te?
Se l'Italia è un paese per vecchi, sicuramente tu ne hai il primato. O per lo meno è quello che le statistiche cantano come furono cantate le gesta d'Achille dai più grandi oratori. Con veemenza e costanza.
Ricordo anche quelle stazioni, così piene di lacrime e tristezza, che mi hanno sempre intimorita; ora sono il posto che frequento con più assiduità. Mi riconosco nei volti che un giorno mi mettevano malinconia, ora sono uno di quei volti. L'ennesima figurina di un album senza fine. Tento di non incrociare volontariamente alcuno sguardo, specie quello vergine dei bambini, perché vorrei non trasmettere loro ciò che, a quei tempi, quei volti avevano trasmesso a me. È presto capire, per loro, che se ami qualcuno lo lasci andare, il più lontano.
E sì, perché è questo quello che fai. Questo tuo grande amore ti spinge a mandarci via, il più lontano possibile. Il Nord, tuo acerrimo nemico da sempre, beneficia dei frutti che continui a creare, ma che da qui a qualche anno, smetterai di produrre. Quel muro di Berlino senza muro che vi divide dall'era dei tempi, quando ancora il Muro di Berlino non era nei progetti di qualcuno. Quel muro di Berlino che noi Italiani saremo in grado di abbattere con la stessa probabilità che venga costruito un ponte tra l'Italia e la Sicilia. Qui cito in giudizio troppi moralisti. Meglio tacere.
A pensarci, dunque, saranno quei vecchi che saremo costretti ad abbandonare, che mediamente per ognuno di noi hanno investito una vita di stenti e sacrifici, ad occuparsi di quel che resterà di te. Loro che avranno più bisogno di noi, in un paese attorniato da una superficie infinita di aridità; un bisogno pari al nostro bisogno di un lavoro che ci renda giustizia, o che quantomeno la rendi a loro. Ai nostri vecchi.
In un giorno di poco tempo fa ero al McDonald's, mentre affondavo i miei dispiaceri di fronte a un panino con più conservanti che grassi, e la ragazza che mi serviva contemporaneamente risolveva un problema di una ragazza cinese, come se parlare cinese fosse una cosa normalissima per lei. Una cameriera del McDonald's. Solo dopo ho scoperto che è laureata da tre anni in lingue orientali e fa fatica a mantenere in piedi le sue necessità primarie, coi lavori precari che le hanno proposto e con stipendi medi coi quali non riuscirebbe neanche a pagare un posto letto a Milano. E sì, perché ne ho tanti di amici, meridionali e non, che vedo smazzare dietro il bancone di un bar o di una birreria, con in tasca una laurea in giurisprudenza, ingegneria o architettura. Mai usata.
Si parla di fuga di cervelli e si sostiene che noi meridionali faremmo bene a non laurearci e che piuttosto sarebbe meglio imparare quei mestieri che ora son affidati a gente emigrata da te, scappata da situazioni di fame e guerra del loro paese, che si accontenta di te, il Paese dei Balocchi. Proprio noi, che giorno per giorno, ci rimbocchiamo le maniche per scrivere quella pagina bianca di cui parlava il buon Jova, sulla quale ora ci ritroviamo ad abbozzare un curriculum che non sarà mai abbastanza per le aziende. Certo che scappiamo, abbiamo alternative? Restiamo in attesa di una risposta ad un colloquio tra i tanti che resterà in bilico come un equilibrista.
Ho smesso di mangiare le unghie da tempo, ma è come se lo facessi tutt'ora; mi urta l'idea che per noi meridionali è risaputo, sin dalla nostra nascita, che tanto "prima o poi" dobbiamo andar via da te dopo l'Università. Ma dov'è scritta 'sta condanna? In quale Vangelo?
Perché, d'altronde, so già che in risposta a questo qualsiasi persona potrebbe dire, con aria di sufficienza, che potremmo metter radici dove siamo nati, impegnandoci un po' di più. Sì, e magari metter su famiglia e fare figli che non saremmo mai in grado di crescere e mantenere dignitosamente, figli che lasceremo ai nostri vecchi mentre noi ce la smazziamo tra un ristorante e l'altro mendicando mance.
Nei prossimi dieci anni un ragazzo su tre ti lascerà, cercherà fortuna dove sgomiterà con altri, che sgomiteranno con altri. Perché il mondo è grande quanto una noce di burro necessaria per imburrare una padella e il nostro posto nel mondo non è solo quello dove ci lasci il cuore, ma dove ci sono speranze e dove potremo sfamare la nostra fame di successo. Dove la meritocrazia non è solo un mantra, ma il mantra.
Forse un giorno tornerò da te, piena di vita e piena di sogni, magari quando sarò vecchia abbastanza, rammaricata che invece per te sarà sempre peggio, e triste per il fatto che il mio grande amore per te si sia trasformato col tempo in pietà.
Resto qui dunque sospesa a te, come fosse quel momento prima del volo dell'angelo, col cuore in gola e il fiato corto, ancora ignota di quel che sarà di te e di quel che sarà di me senza di te.
avrei preferito che questo momento non fosse mai arrivato ma purtroppo, come mi hanno insegnato, nella vita accadono cose quando meno te l'aspetti.
È una lettera d'addio, questa. Non una di quelle strappalacrime, come, chi mi conosce sa che son solita fare, anzi; cercherò in poche righe di spiegare quanto mi hai saputo dare e quanto, ad oggi, non riesci a dar più.
Ricordo come fosse ieri quell'ulivo che mi rendeva fiera di essere meridionale, che mi faceva ombra quando leggevo un libro, che rileggevo nelle etichette dei prodotti all'estero, che mi abbracciava quando dormivo sulla mia madre terra. Era un giorno semplice quello, era infatti semplicemente uno di quei giorni che associo ad un banale ricordo. Era, di per sé, un giorno in cui non avrei mai pensato di dover abbandonare quell'ulivo lasciandolo in una terra che, in previsione, sarà una terra per vecchi. Chi ci penserà, poi, a te?
Se l'Italia è un paese per vecchi, sicuramente tu ne hai il primato. O per lo meno è quello che le statistiche cantano come furono cantate le gesta d'Achille dai più grandi oratori. Con veemenza e costanza.
Ricordo anche quelle stazioni, così piene di lacrime e tristezza, che mi hanno sempre intimorita; ora sono il posto che frequento con più assiduità. Mi riconosco nei volti che un giorno mi mettevano malinconia, ora sono uno di quei volti. L'ennesima figurina di un album senza fine. Tento di non incrociare volontariamente alcuno sguardo, specie quello vergine dei bambini, perché vorrei non trasmettere loro ciò che, a quei tempi, quei volti avevano trasmesso a me. È presto capire, per loro, che se ami qualcuno lo lasci andare, il più lontano.
E sì, perché è questo quello che fai. Questo tuo grande amore ti spinge a mandarci via, il più lontano possibile. Il Nord, tuo acerrimo nemico da sempre, beneficia dei frutti che continui a creare, ma che da qui a qualche anno, smetterai di produrre. Quel muro di Berlino senza muro che vi divide dall'era dei tempi, quando ancora il Muro di Berlino non era nei progetti di qualcuno. Quel muro di Berlino che noi Italiani saremo in grado di abbattere con la stessa probabilità che venga costruito un ponte tra l'Italia e la Sicilia. Qui cito in giudizio troppi moralisti. Meglio tacere.
A pensarci, dunque, saranno quei vecchi che saremo costretti ad abbandonare, che mediamente per ognuno di noi hanno investito una vita di stenti e sacrifici, ad occuparsi di quel che resterà di te. Loro che avranno più bisogno di noi, in un paese attorniato da una superficie infinita di aridità; un bisogno pari al nostro bisogno di un lavoro che ci renda giustizia, o che quantomeno la rendi a loro. Ai nostri vecchi.
In un giorno di poco tempo fa ero al McDonald's, mentre affondavo i miei dispiaceri di fronte a un panino con più conservanti che grassi, e la ragazza che mi serviva contemporaneamente risolveva un problema di una ragazza cinese, come se parlare cinese fosse una cosa normalissima per lei. Una cameriera del McDonald's. Solo dopo ho scoperto che è laureata da tre anni in lingue orientali e fa fatica a mantenere in piedi le sue necessità primarie, coi lavori precari che le hanno proposto e con stipendi medi coi quali non riuscirebbe neanche a pagare un posto letto a Milano. E sì, perché ne ho tanti di amici, meridionali e non, che vedo smazzare dietro il bancone di un bar o di una birreria, con in tasca una laurea in giurisprudenza, ingegneria o architettura. Mai usata.
Si parla di fuga di cervelli e si sostiene che noi meridionali faremmo bene a non laurearci e che piuttosto sarebbe meglio imparare quei mestieri che ora son affidati a gente emigrata da te, scappata da situazioni di fame e guerra del loro paese, che si accontenta di te, il Paese dei Balocchi. Proprio noi, che giorno per giorno, ci rimbocchiamo le maniche per scrivere quella pagina bianca di cui parlava il buon Jova, sulla quale ora ci ritroviamo ad abbozzare un curriculum che non sarà mai abbastanza per le aziende. Certo che scappiamo, abbiamo alternative? Restiamo in attesa di una risposta ad un colloquio tra i tanti che resterà in bilico come un equilibrista.
Ho smesso di mangiare le unghie da tempo, ma è come se lo facessi tutt'ora; mi urta l'idea che per noi meridionali è risaputo, sin dalla nostra nascita, che tanto "prima o poi" dobbiamo andar via da te dopo l'Università. Ma dov'è scritta 'sta condanna? In quale Vangelo?
Perché, d'altronde, so già che in risposta a questo qualsiasi persona potrebbe dire, con aria di sufficienza, che potremmo metter radici dove siamo nati, impegnandoci un po' di più. Sì, e magari metter su famiglia e fare figli che non saremmo mai in grado di crescere e mantenere dignitosamente, figli che lasceremo ai nostri vecchi mentre noi ce la smazziamo tra un ristorante e l'altro mendicando mance.
Nei prossimi dieci anni un ragazzo su tre ti lascerà, cercherà fortuna dove sgomiterà con altri, che sgomiteranno con altri. Perché il mondo è grande quanto una noce di burro necessaria per imburrare una padella e il nostro posto nel mondo non è solo quello dove ci lasci il cuore, ma dove ci sono speranze e dove potremo sfamare la nostra fame di successo. Dove la meritocrazia non è solo un mantra, ma il mantra.
Forse un giorno tornerò da te, piena di vita e piena di sogni, magari quando sarò vecchia abbastanza, rammaricata che invece per te sarà sempre peggio, e triste per il fatto che il mio grande amore per te si sia trasformato col tempo in pietà.
Resto qui dunque sospesa a te, come fosse quel momento prima del volo dell'angelo, col cuore in gola e il fiato corto, ancora ignota di quel che sarà di te e di quel che sarà di me senza di te.