Il caffè del filosofo
In vino veritas
La nuova rubrica di PoliSofia
domenica 12 maggio 2019
Il vino è probabilmente tra le più antiche bevande alcoliche del mondo. Considerato come un caratteristico accompagnamento per i banchetti delle élite, in realtà il vino è da sempre al centro di riti, feste ed eventi di ogni sorta: tutte le grandi tavole rotonde girano attorno al vino, tanto da poter affermare letteralmente "in vino Veritas" (ovvero: nel vino c'è la verità, quella filosofica). Molti sono gli esempi che la storia della filosofia ci ha lasciato.
Iniziamo dal principio: caliamoci nell'antica Grecia, proprio in questo periodo dell'anno, l'inizio della primavera. I greci, i più devoti, hanno appena cominciato il ciclo delle Dionisie, ovvero le celebrazioni in onore del dio Dioniso, il dio del vino e dell'ebbrezza. Durante queste feste, le baccanti (donne che veneravano Dioniso) abbandonavano tutte le imposizioni logiche e morali della società per darsi ad una folle euforia data dal vino (che in quelle giornate si consumava a iosa) fiere del fatto che il dio avesse scelto loro come mezzi tramite cui esprimersi con balli, canti, rapporti sessuali di ogni sorta e sacrifici animali. Come racconta il grande filosofo (e filologo) tedesco Friedrich Nietzsche ne "La nascita della tragedia" (1872), l'elemento dionisiaco rappresenta il mondo oscuro dell'istinto, una forza primitiva in cui ciascuno perde la sua individualità e si lascia trasportare dal flusso incosciente della mera vita, di una volontà irrazionale (e qui Nietzsche ricalca l'ontologia schopenhaueriana). In una cultura dominata dalla razionalità, il dionisiaco è, come direbbe Ernst Jentsch (psicologo con cui Freud si confronta in un famoso saggio), "perturbante":
«Riusciamo allora a gettare uno sguardo nell'essenza del dionisiaco, a cui ci accostiamo di più ancora attraverso l'analogia con l'ebbrezza» (La nascita della tragedia).
Per Nietzsche, per sopportare il peso e l'incertezza del vivere, quindi l'elemento dionisiaco di ogni uomo, i greci hanno "inventato" il pantheon degli dei, il mondo della quiete, della temperanza, della serenità, dell'immobilità, dell'essere statico e perfetto, ovvero hanno dato una forma al vivere confuso e dionisiaco: hanno portato l'apollineo.
Dunque, volendo esagerare, si potrebbe dire che gli dei siano invenzioni di uomini ubriachi!
D'altronde i cosiddetti "oracoli", ovvero sacerdotesse dotate del dono della divinazione e della profezia grazie alla possessione che il Dio attuava nei loro confronti, altro non erano che giovani vergini quasi perennemente ebbre, sicure di essere "invasate dal dio".
La celebrazione di Dioniso non è il solo caso in cui gli antichi greci trovano la loro verità nell'euforia alcolica. Spostiamoci dai bellissimi paesaggi rurali della Grecia, in una delle sue più importanti città: Atene.
In città greche importanti come Atene, tenere dei simposi era un atteggiamento politico: solo uomini adulti di un certo rango vi erano ammessi, e si riunivano per mangiare, discutere dei più svarianti argomenti filosofici e politici, ma soprattutto per bere vino annacquato. Il più famoso dei simposi è racchiuso nel celebre "Simposio" di Platone.
Famosissimo è il momento, nel Simposio di Platone, in cui Alcibiade interrompe bruscamente la conversazione tra i commensali della casa del poeta Agatone (commensali del calibro di Socrate e Aristofane), perché completamente ubriaco, ma perfettamente in grado di dare il suo contributo alla conversazione sull'eros (tra l'altro, secondo il filologo K.J. Dover, Agatone sta tenendo quel simposio per celebrare la sua vittoria nella gara tra agoni tragici durante le Grandi Dionisie del 416 a.C.). Il vino era importantissimo durante il simposio: il suo utilizzo era controllato tramite regole che ne prescrivevano una certa miscelazione ed una certa dose per ciascuno dei commensali. Probabilmente sarà stato il vino a far raccontare ad Aristofane, fra i singhiozzi, il celebre mito dell'androgino, per cui in origine gli uomini erano mostruose creature con quattro braccia e quattro gambe, e solo dopo che Zeus li ebbe tagliati a metà, essi hanno assunto la forma che noi oggi vediamo.
Ma andiamo più avanti nella storia: sin dall'inizio il vino per i cristiani rimanda al sangue che Cristo ha versato per redimere il mondo; poi i razionalisti del '500 e del '600 come Cartesio, Spinoza, Bacone, Galilei analizzarono attentamente le sue proprietà benefiche; si dice che Kant bevesse una bottiglia di vino renano al giorno, sempre alla stessa ora, e che Marx fosse un grande bevitore di rossi.
Il vino si pone dunque, nella storia e tutt'oggi, come epicentro di una metafisica della condivisione e della ricerca, un elemento che riunisce nel percorso che accomuna tutti verso lo svelamento della verità. Noi tutti, bevendo ci sentiamo più liberi, e forse in un certo qual modo quasi "giustificati" ad esprimerci senza troppa paura del giudizio altrui. Sotto l'effetto dell'alcol, abbandoniamo le inibizioni e diciamo tutto quello che ci passa per la mente senza filtri.
Forse, per vivere più autenticamente dovremmo far quasi finta di essere perennemente ebbri, e tentare di costruire relazioni sincere, scevre dal diffuso e mediocre attaccamento ai formalismi e alle superficialità che caratterizza la società di oggi. Forse, proprio nell'estasi alcolica siamo più propriamente noi stessi. Entriamo nella nostra dimensione più autentica, guardando in faccia il nostro essere più proprio da cui sempre fuggiamo (come direbbe Heidegger). "In vino Veritas", appunto.
Il vino, insomma, "riflette l'essenza stessa del nostro originario costituirci come animali dotati di logos", come dice il professore Massimo Donà (cattedra di Filosofia Teoretica al San Raffaele di Milano), o, ancor più concretamente, «C'è più filosofia in una bottiglia di vino che in tutti i libri del mondo» (Ernest Hemingway).
Iniziamo dal principio: caliamoci nell'antica Grecia, proprio in questo periodo dell'anno, l'inizio della primavera. I greci, i più devoti, hanno appena cominciato il ciclo delle Dionisie, ovvero le celebrazioni in onore del dio Dioniso, il dio del vino e dell'ebbrezza. Durante queste feste, le baccanti (donne che veneravano Dioniso) abbandonavano tutte le imposizioni logiche e morali della società per darsi ad una folle euforia data dal vino (che in quelle giornate si consumava a iosa) fiere del fatto che il dio avesse scelto loro come mezzi tramite cui esprimersi con balli, canti, rapporti sessuali di ogni sorta e sacrifici animali. Come racconta il grande filosofo (e filologo) tedesco Friedrich Nietzsche ne "La nascita della tragedia" (1872), l'elemento dionisiaco rappresenta il mondo oscuro dell'istinto, una forza primitiva in cui ciascuno perde la sua individualità e si lascia trasportare dal flusso incosciente della mera vita, di una volontà irrazionale (e qui Nietzsche ricalca l'ontologia schopenhaueriana). In una cultura dominata dalla razionalità, il dionisiaco è, come direbbe Ernst Jentsch (psicologo con cui Freud si confronta in un famoso saggio), "perturbante":
«Riusciamo allora a gettare uno sguardo nell'essenza del dionisiaco, a cui ci accostiamo di più ancora attraverso l'analogia con l'ebbrezza» (La nascita della tragedia).
Per Nietzsche, per sopportare il peso e l'incertezza del vivere, quindi l'elemento dionisiaco di ogni uomo, i greci hanno "inventato" il pantheon degli dei, il mondo della quiete, della temperanza, della serenità, dell'immobilità, dell'essere statico e perfetto, ovvero hanno dato una forma al vivere confuso e dionisiaco: hanno portato l'apollineo.
Dunque, volendo esagerare, si potrebbe dire che gli dei siano invenzioni di uomini ubriachi!
D'altronde i cosiddetti "oracoli", ovvero sacerdotesse dotate del dono della divinazione e della profezia grazie alla possessione che il Dio attuava nei loro confronti, altro non erano che giovani vergini quasi perennemente ebbre, sicure di essere "invasate dal dio".
La celebrazione di Dioniso non è il solo caso in cui gli antichi greci trovano la loro verità nell'euforia alcolica. Spostiamoci dai bellissimi paesaggi rurali della Grecia, in una delle sue più importanti città: Atene.
In città greche importanti come Atene, tenere dei simposi era un atteggiamento politico: solo uomini adulti di un certo rango vi erano ammessi, e si riunivano per mangiare, discutere dei più svarianti argomenti filosofici e politici, ma soprattutto per bere vino annacquato. Il più famoso dei simposi è racchiuso nel celebre "Simposio" di Platone.
Famosissimo è il momento, nel Simposio di Platone, in cui Alcibiade interrompe bruscamente la conversazione tra i commensali della casa del poeta Agatone (commensali del calibro di Socrate e Aristofane), perché completamente ubriaco, ma perfettamente in grado di dare il suo contributo alla conversazione sull'eros (tra l'altro, secondo il filologo K.J. Dover, Agatone sta tenendo quel simposio per celebrare la sua vittoria nella gara tra agoni tragici durante le Grandi Dionisie del 416 a.C.). Il vino era importantissimo durante il simposio: il suo utilizzo era controllato tramite regole che ne prescrivevano una certa miscelazione ed una certa dose per ciascuno dei commensali. Probabilmente sarà stato il vino a far raccontare ad Aristofane, fra i singhiozzi, il celebre mito dell'androgino, per cui in origine gli uomini erano mostruose creature con quattro braccia e quattro gambe, e solo dopo che Zeus li ebbe tagliati a metà, essi hanno assunto la forma che noi oggi vediamo.
Ma andiamo più avanti nella storia: sin dall'inizio il vino per i cristiani rimanda al sangue che Cristo ha versato per redimere il mondo; poi i razionalisti del '500 e del '600 come Cartesio, Spinoza, Bacone, Galilei analizzarono attentamente le sue proprietà benefiche; si dice che Kant bevesse una bottiglia di vino renano al giorno, sempre alla stessa ora, e che Marx fosse un grande bevitore di rossi.
Il vino si pone dunque, nella storia e tutt'oggi, come epicentro di una metafisica della condivisione e della ricerca, un elemento che riunisce nel percorso che accomuna tutti verso lo svelamento della verità. Noi tutti, bevendo ci sentiamo più liberi, e forse in un certo qual modo quasi "giustificati" ad esprimerci senza troppa paura del giudizio altrui. Sotto l'effetto dell'alcol, abbandoniamo le inibizioni e diciamo tutto quello che ci passa per la mente senza filtri.
Forse, per vivere più autenticamente dovremmo far quasi finta di essere perennemente ebbri, e tentare di costruire relazioni sincere, scevre dal diffuso e mediocre attaccamento ai formalismi e alle superficialità che caratterizza la società di oggi. Forse, proprio nell'estasi alcolica siamo più propriamente noi stessi. Entriamo nella nostra dimensione più autentica, guardando in faccia il nostro essere più proprio da cui sempre fuggiamo (come direbbe Heidegger). "In vino Veritas", appunto.
Il vino, insomma, "riflette l'essenza stessa del nostro originario costituirci come animali dotati di logos", come dice il professore Massimo Donà (cattedra di Filosofia Teoretica al San Raffaele di Milano), o, ancor più concretamente, «C'è più filosofia in una bottiglia di vino che in tutti i libri del mondo»