Il caffè del filosofo
Parabole: la sapienza dove ci si trova
Spiegare questioni complesse con immagini quotidiane
domenica 26 luglio 2020
Al di là che una persona sia credente o meno, la riflessione filosofica che vogliamo affrontare riguarda un particolare utilizzo del linguaggio da parte di Gesù di Nazaret: le parabole.
Tutti abbiamo sentito almeno una parabola nella nostra vita, sia perché viviamo in un ambiente che ha radici cristiano cattoliche, sia perché abbiamo frequentato le realtà parrocchiali, sia perché siamo andati a messa e, forse anche distrattamente, abbiamo ascoltato un brano del Vangelo in cui era presente una parabola, sia perché le abbiamo imparate a catechismo, sia perché l'arte e la cultura sono piene delle parabole che ha utilizzato Gesù. Basti pensare al Ritorno del Figliol prodigo di Giorgio De Chirico o al Buon samaritano di Vincent van Gogh, solo per citare opere del panorama europeo.
Il genere letterario della parabola si definisce come un racconto breve il cui scopo è quello di spiegare concetti difficili attraverso immagini semplici e alla portata di tutti. Il termine stesso parabolè indica proprio confronto, allegoria. L'utilizzo che ne fa Gesù è quello di spiegare cosa sia il Regno dei cieli, attraverso immagini prese dalla quotidianità. Un'operazione che, agli occhi degli inesperti, sembra banale, se non addirittura una favola. Eppure, se provassimo anche noi a raccontare le questioni complesse con immagini semplici ci accorgeremmo di quanto sia difficile e di come rischiamo di cadere nella banalità della discussione, snaturando anche l'idea che avevamo intenzione di spiegare.
Chi è abituato a parlare o chi si esercita nell'arte oratoria sa quanto sia difficile spiegare questioni complesse con immagini quotidiane, perché da una parte bisogna saper tenere chiara a mente l'idea che si vuole proporre, dall'altra bisogna avere dimestichezza con la quotidianità, essere completamente immersi nella realtà e non guardarla da fuori o dallo schermo del telefono. La genialità dei discorsi in parabole di Gesù consiste proprio nella consapevolezza di annunciare il Regno dei cieli, una condizione completamente nuova dell'essere umano, che non consiste solo nel resuscitare cadaveri, ma di essere come siamo sempre stati pensati e voluti da Dio. In teologia, infatti, si dice che il Regno dei cieli non solo è l'annuncio di una nuova condizione da parte di Gesù, ma che Gesù Risorto è la nuova condizione, è l'annuncio stesso del Regno.
Ma come poter affermare tutto questo? Come poter dire che questa che viene chiamata salvezza è aperta a tutti noi? Attraverso un linguaggio che parta dalla realtà, che sia quotidiano, perché è nel quotidiano che ci giochiamo tutto, come raccontava anche Michel de Certeau nel suo L'invenzione del quotidiano.
Ed ecco che dall'immaginario di Gesù emergono: la rete con i pesci, il seme che germoglia dalla terra, il granello di senapa che diviene un albero gigantesco, un padre che ritrova un figlio, un uomo eretico che aiuta un altro uomo bastonato dai briganti, una pecora che si perde, una donna che spazza la casa per trovare una moneta, la cruna dell'ago, il grano che cresce con la zizzania, la vite e i tralci. Un immaginario che appartiene al mondo in cui Gesù ha vissuto e operato, immagini che tutti conoscevano e che oggi ci sembrano diventate complicate da spiegare dal momento che abbiamo perso molto di quel mondo, della terra, del mare, della casa, dell'artigianato. Eppure, la particolarità delle parabole è proprio in questo discorso che parte da ciò che è evidente per giungere a ciò che è meno evidente e che riguarda tutto l'essere umano e tutti gli esseri umani, ad ogni latitudine.
Tutto questo è ciò che già gli antichi chiamavano saggezza e che consiste in una vera e propria arte di trarre insegnamenti dalla vita quotidiana, cercare di riflettere su ciò che avviene, sulle cose di tutti i giorni, sulle possibilità che l'esistenza stessa mette a portata di mano. Una saggezza che si traduce in immagini, che entra nell'immaginario collettivo più che perdersi in tecnicismi da specialisti. Una saggezza che diviene sapienza nella misura in cui non cede agli stereotipi, in cui l'intelligenza penetra nella profondità di ciò che vivono tutti. Questo è il compito del filosofo, l'intelligenza di chi aiuta gli altri a scoprire se stessi lì, dove ci si trova.
Tutti abbiamo sentito almeno una parabola nella nostra vita, sia perché viviamo in un ambiente che ha radici cristiano cattoliche, sia perché abbiamo frequentato le realtà parrocchiali, sia perché siamo andati a messa e, forse anche distrattamente, abbiamo ascoltato un brano del Vangelo in cui era presente una parabola, sia perché le abbiamo imparate a catechismo, sia perché l'arte e la cultura sono piene delle parabole che ha utilizzato Gesù. Basti pensare al Ritorno del Figliol prodigo di Giorgio De Chirico o al Buon samaritano di Vincent van Gogh, solo per citare opere del panorama europeo.
Il genere letterario della parabola si definisce come un racconto breve il cui scopo è quello di spiegare concetti difficili attraverso immagini semplici e alla portata di tutti. Il termine stesso parabolè indica proprio confronto, allegoria. L'utilizzo che ne fa Gesù è quello di spiegare cosa sia il Regno dei cieli, attraverso immagini prese dalla quotidianità. Un'operazione che, agli occhi degli inesperti, sembra banale, se non addirittura una favola. Eppure, se provassimo anche noi a raccontare le questioni complesse con immagini semplici ci accorgeremmo di quanto sia difficile e di come rischiamo di cadere nella banalità della discussione, snaturando anche l'idea che avevamo intenzione di spiegare.
Chi è abituato a parlare o chi si esercita nell'arte oratoria sa quanto sia difficile spiegare questioni complesse con immagini quotidiane, perché da una parte bisogna saper tenere chiara a mente l'idea che si vuole proporre, dall'altra bisogna avere dimestichezza con la quotidianità, essere completamente immersi nella realtà e non guardarla da fuori o dallo schermo del telefono. La genialità dei discorsi in parabole di Gesù consiste proprio nella consapevolezza di annunciare il Regno dei cieli, una condizione completamente nuova dell'essere umano, che non consiste solo nel resuscitare cadaveri, ma di essere come siamo sempre stati pensati e voluti da Dio. In teologia, infatti, si dice che il Regno dei cieli non solo è l'annuncio di una nuova condizione da parte di Gesù, ma che Gesù Risorto è la nuova condizione, è l'annuncio stesso del Regno.
Ma come poter affermare tutto questo? Come poter dire che questa che viene chiamata salvezza è aperta a tutti noi? Attraverso un linguaggio che parta dalla realtà, che sia quotidiano, perché è nel quotidiano che ci giochiamo tutto, come raccontava anche Michel de Certeau nel suo L'invenzione del quotidiano.
Ed ecco che dall'immaginario di Gesù emergono: la rete con i pesci, il seme che germoglia dalla terra, il granello di senapa che diviene un albero gigantesco, un padre che ritrova un figlio, un uomo eretico che aiuta un altro uomo bastonato dai briganti, una pecora che si perde, una donna che spazza la casa per trovare una moneta, la cruna dell'ago, il grano che cresce con la zizzania, la vite e i tralci. Un immaginario che appartiene al mondo in cui Gesù ha vissuto e operato, immagini che tutti conoscevano e che oggi ci sembrano diventate complicate da spiegare dal momento che abbiamo perso molto di quel mondo, della terra, del mare, della casa, dell'artigianato. Eppure, la particolarità delle parabole è proprio in questo discorso che parte da ciò che è evidente per giungere a ciò che è meno evidente e che riguarda tutto l'essere umano e tutti gli esseri umani, ad ogni latitudine.
Tutto questo è ciò che già gli antichi chiamavano saggezza e che consiste in una vera e propria arte di trarre insegnamenti dalla vita quotidiana, cercare di riflettere su ciò che avviene, sulle cose di tutti i giorni, sulle possibilità che l'esistenza stessa mette a portata di mano. Una saggezza che si traduce in immagini, che entra nell'immaginario collettivo più che perdersi in tecnicismi da specialisti. Una saggezza che diviene sapienza nella misura in cui non cede agli stereotipi, in cui l'intelligenza penetra nella profondità di ciò che vivono tutti. Questo è il compito del filosofo, l'intelligenza di chi aiuta gli altri a scoprire se stessi lì, dove ci si trova.