Il pizzicotto
Cave, il sottosuolo a cielo aperto di cui nessuno parla
Uno spunto ai candidati sindaco prossimi a venire, per trasformare un'onta in un'opportunità
lunedì 22 maggio 2017
11.57
Ricordo la difficoltà con cui, nel 2014, portai avanti da sola un'inchiesta sulle cave a Bisceglie.
L'occasione mi fu data dalla pubblicazione del secondo Rapporto Cave di Legambiente, associazione con cui mi interfacciai a più riprese per mettere mani ad una delicatissima questione.
Partivo da zero, senza nemmeno una mappatura delle cave attive e di quelle dismesse, eppure qualcosa, percorrendo foro per foro la città, riuscì a capirla.
Quello che il ventre di Bisceglie mi raccontò fu di un totale disinteresse alla materia "suolo" da parte di chi - ma questo accade in tutta la Puglia - dovrebbe preoccuparsi delle conseguenze delle attività estrattive.
Eppure la consapevolezza c'è. Nella valutazione ambientale strategia propedeutica al PUG, i tecnici comunali scrivevano che: «Le attività estrattive hanno apportato e tuttora continuano ad apportare profonde trasformazioni al territorio modificandone la morfologia, l'idrologia e il paesaggio naturale, comportando fenomeni erosivi ed innescando movimenti franosi dei fronti e dei versanti dal prelievo del materiale litico».
Di più, documentavano la consapevolezza che: «Diverse sono le situazioni dove le cave dismesse sono state utilizzate come discariche di ogni genere e costituiscono un ricettacolo di scarichi abusivi, con gravissime conseguenze per le risorse idriche sotterranee». Non veniva, però, azzardata alcuna soluzione.
I punti deboli della questione, ignota ma delicata, sono tanti: il quadro normativo nazionale è fermo al 1927 e non si chiede a chi estrae una valutazione di impatto ambientale se la cava è più piccola di 20 ettari o è possibile ricavarne meno di 500mila metri cubi di materiale estratto. Chiaro che, come accaduto a Bisceglie e non solo, le cave vengano "smezzate", divise in più vasche per aggirare l'ostacolo.
Poi c'è la questione bonifiche, mai diventata obbligatoria. Il Rapporto Cave 2017, pubblicato a febbraio, racconta di una Puglia seconda solo alla Lombardia in quanto a cave dismesse e mai bonificate: 2522, contro 396 attive (415 nel 2014). Fanno paura a chi ha un minimo di coscienza ecologica, più di tutte, le irrisorie cifre delle concessioni: nella regione della Pietra di Trani e di Lecce chi estrae paga lo 0,4% (0,7% nel 2014) del volume di affari che genera. Nel 2015 si sono cavati, di soli inerti, oltre 7 milioni di metri cubi che hanno fruttato 140 milioni di euro di introiti. In compenso i fortunati cavatori hanno reso al territorio appena 561000 euro.
Eppure nessuno, di questo, parla.
Nel 2014 mi presi la briga di percorrere le cave di Bisceglie ad una ad una e di incontrare, in quelle attive, gli operatori. Mi si aprì un mondo.
Delle 17 cave (di cui 8 attive) contate nell'agro più profondo, solo una risultò riqualificata dopo le attività estrattive. In diversi casi, documentati, le cave erano diventate deposito di inerti di altre attività più o meno legali: fiscoli, residui di prodotti agricoli, fertilizzanti e scarti industriali che le normative imporrebbero di smaltire presso ditte specializzate in quanto "rifiuti pericolosi".
Altre cave, che visitai con l'amico Alfredo Logoluso, presentavano segni evidenti di "mud cracks", fanghi pietrificati in cui i dinosauri, che un tempo dovevano aver abitato quelle zone, avevano lasciato impronte di ogni tipo.
Della bellezza di altri "fori" abbandonati dell'agro di Bisceglie, avevano già parlato vari esperti in botanica italiani, osservandone con sorpresa il rapido processo ecologico di ricolonizzazione spontanea da parte della natura. Descrivevano la magia del rapido fenomeno naturale, enumerando esemplari di lentisco e biancospino, arbusti e primi esempi di una macchia mediterranea destinata a trasformare le cave in piccole foreste. Quello che l'attività antropica aveva reso terribilmente brutto, in poco tempo Madre Natura aveva reso unico.
Anche di queste osservazioni fruttuose nessuno ha mai fatto tesoro.
Cosa è cambiato, dunque, da allora ad oggi?
In primo luogo il fatto che la Regione Puglia ha aperto gli occhi. O almeno ne ha aperto uno.
Nel 2016, non a caso, dieci persone furono denunciate per reati in materia ambientale e paesaggistica connessi all'esercizio delle attività estrattive tra Bisceglie e Trani. Due siti dell'area di Lama Paterno furono posti sotto sequestro dopo i controlli del Noe di Bari nell'ambito della "campagna cave", per esercizio di estrattiva abusiva in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
A marzo 2017 la Regione ha scelto di fare di più ed ha concesso a Bisceglie, a Fasano, Gallipoli, Mottola e Trani, delega e relativo contributo per la redazione "piani particolareggiati per la regolamentazione e la razionalizzazione delle attività estrattive", previsti dalle norme tecniche del Piano Regionale per le Attività Estrattive. Obiettivo: pianificare un percorso di monitoraggio dei siti estrattivi con relazioni periodiche sullo stato dei luoghi e delle attività.
Cosa ne verrà fuori, è tutto da vedere. Frattanto l'intenzione è buona, ma non basta.
Non bastano i controlli a rendere possibile il miracolo.
Se, come suggerì al direttore del GAL Ponte Lama Gianni Porcelli, almeno una di queste cave, a titolo di esempio, potesse essere recuperata con fondi europei attraverso il GAL, tutti ne trarremmo vantaggio: l'immagine della città, il turismo, le future generazioni, il microclima e la biodiversità, l'economia che un utilizzo a fini ricreativi della cava potrebbe generale.
La Regione Puglia ha già finanziato nel 2010, per un importo di 10 milioni di euro, interventi di recupero ambientale di cave dismesse, per destinarle a prevalente uso agricolo (1.135 ha), industriale (156 ha), o ad ospitare discariche di residui di cava (558 ha). L'uso ricreativo o sportivo e per servizi è stato contemplato, ma in piccolissima percentuale.
Alcune delle cave bonificate (vedi Fantiano, nel tarantino, trasformata da discarica in teatro), tuttavia, sono già oggi interessanti ed accorsate mete turistiche.
Bisceglie ha tutte le carte in regola per poterci provare, oltre che una responsabilità morale nei confronti delle generazioni future.
Gli esempi a cui ispirarsi, a poche decine di chilometri, e un GAL che ha tutte le probabilità di rifinanziamento, ci sono pure (nel Comune di Montechiarugolo, a Perugia, hanno installato addirittura un parco fotovoltaico che funziona molto bene). I fondi quelli li si trova, la Regione è già ben disposta.
Ai candidati sindaci che si affacciano ad ideare un programma elettorale da qui a qualche mese, consiglio di pensarci bene: trasformare un'onta in una opportunità è più di quello che in media l'elettorato chiede ad un primo cittadino. Dimostrare subito di saperlo fare è quindi avere tra le mani già la vittoria morale.
L'occasione mi fu data dalla pubblicazione del secondo Rapporto Cave di Legambiente, associazione con cui mi interfacciai a più riprese per mettere mani ad una delicatissima questione.
Partivo da zero, senza nemmeno una mappatura delle cave attive e di quelle dismesse, eppure qualcosa, percorrendo foro per foro la città, riuscì a capirla.
Quello che il ventre di Bisceglie mi raccontò fu di un totale disinteresse alla materia "suolo" da parte di chi - ma questo accade in tutta la Puglia - dovrebbe preoccuparsi delle conseguenze delle attività estrattive.
Eppure la consapevolezza c'è. Nella valutazione ambientale strategia propedeutica al PUG, i tecnici comunali scrivevano che: «Le attività estrattive hanno apportato e tuttora continuano ad apportare profonde trasformazioni al territorio modificandone la morfologia, l'idrologia e il paesaggio naturale, comportando fenomeni erosivi ed innescando movimenti franosi dei fronti e dei versanti dal prelievo del materiale litico».
Di più, documentavano la consapevolezza che: «Diverse sono le situazioni dove le cave dismesse sono state utilizzate come discariche di ogni genere e costituiscono un ricettacolo di scarichi abusivi, con gravissime conseguenze per le risorse idriche sotterranee». Non veniva, però, azzardata alcuna soluzione.
I punti deboli della questione, ignota ma delicata, sono tanti: il quadro normativo nazionale è fermo al 1927 e non si chiede a chi estrae una valutazione di impatto ambientale se la cava è più piccola di 20 ettari o è possibile ricavarne meno di 500mila metri cubi di materiale estratto. Chiaro che, come accaduto a Bisceglie e non solo, le cave vengano "smezzate", divise in più vasche per aggirare l'ostacolo.
Poi c'è la questione bonifiche, mai diventata obbligatoria. Il Rapporto Cave 2017, pubblicato a febbraio, racconta di una Puglia seconda solo alla Lombardia in quanto a cave dismesse e mai bonificate: 2522, contro 396 attive (415 nel 2014). Fanno paura a chi ha un minimo di coscienza ecologica, più di tutte, le irrisorie cifre delle concessioni: nella regione della Pietra di Trani e di Lecce chi estrae paga lo 0,4% (0,7% nel 2014) del volume di affari che genera. Nel 2015 si sono cavati, di soli inerti, oltre 7 milioni di metri cubi che hanno fruttato 140 milioni di euro di introiti. In compenso i fortunati cavatori hanno reso al territorio appena 561000 euro.
Eppure nessuno, di questo, parla.
Nel 2014 mi presi la briga di percorrere le cave di Bisceglie ad una ad una e di incontrare, in quelle attive, gli operatori. Mi si aprì un mondo.
Delle 17 cave (di cui 8 attive) contate nell'agro più profondo, solo una risultò riqualificata dopo le attività estrattive. In diversi casi, documentati, le cave erano diventate deposito di inerti di altre attività più o meno legali: fiscoli, residui di prodotti agricoli, fertilizzanti e scarti industriali che le normative imporrebbero di smaltire presso ditte specializzate in quanto "rifiuti pericolosi".
Altre cave, che visitai con l'amico Alfredo Logoluso, presentavano segni evidenti di "mud cracks", fanghi pietrificati in cui i dinosauri, che un tempo dovevano aver abitato quelle zone, avevano lasciato impronte di ogni tipo.
Della bellezza di altri "fori" abbandonati dell'agro di Bisceglie, avevano già parlato vari esperti in botanica italiani, osservandone con sorpresa il rapido processo ecologico di ricolonizzazione spontanea da parte della natura. Descrivevano la magia del rapido fenomeno naturale, enumerando esemplari di lentisco e biancospino, arbusti e primi esempi di una macchia mediterranea destinata a trasformare le cave in piccole foreste. Quello che l'attività antropica aveva reso terribilmente brutto, in poco tempo Madre Natura aveva reso unico.
Anche di queste osservazioni fruttuose nessuno ha mai fatto tesoro.
Cosa è cambiato, dunque, da allora ad oggi?
In primo luogo il fatto che la Regione Puglia ha aperto gli occhi. O almeno ne ha aperto uno.
Nel 2016, non a caso, dieci persone furono denunciate per reati in materia ambientale e paesaggistica connessi all'esercizio delle attività estrattive tra Bisceglie e Trani. Due siti dell'area di Lama Paterno furono posti sotto sequestro dopo i controlli del Noe di Bari nell'ambito della "campagna cave", per esercizio di estrattiva abusiva in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
A marzo 2017 la Regione ha scelto di fare di più ed ha concesso a Bisceglie, a Fasano, Gallipoli, Mottola e Trani, delega e relativo contributo per la redazione "piani particolareggiati per la regolamentazione e la razionalizzazione delle attività estrattive", previsti dalle norme tecniche del Piano Regionale per le Attività Estrattive. Obiettivo: pianificare un percorso di monitoraggio dei siti estrattivi con relazioni periodiche sullo stato dei luoghi e delle attività.
Cosa ne verrà fuori, è tutto da vedere. Frattanto l'intenzione è buona, ma non basta.
Non bastano i controlli a rendere possibile il miracolo.
Se, come suggerì al direttore del GAL Ponte Lama Gianni Porcelli, almeno una di queste cave, a titolo di esempio, potesse essere recuperata con fondi europei attraverso il GAL, tutti ne trarremmo vantaggio: l'immagine della città, il turismo, le future generazioni, il microclima e la biodiversità, l'economia che un utilizzo a fini ricreativi della cava potrebbe generale.
La Regione Puglia ha già finanziato nel 2010, per un importo di 10 milioni di euro, interventi di recupero ambientale di cave dismesse, per destinarle a prevalente uso agricolo (1.135 ha), industriale (156 ha), o ad ospitare discariche di residui di cava (558 ha). L'uso ricreativo o sportivo e per servizi è stato contemplato, ma in piccolissima percentuale.
Alcune delle cave bonificate (vedi Fantiano, nel tarantino, trasformata da discarica in teatro), tuttavia, sono già oggi interessanti ed accorsate mete turistiche.
Bisceglie ha tutte le carte in regola per poterci provare, oltre che una responsabilità morale nei confronti delle generazioni future.
Gli esempi a cui ispirarsi, a poche decine di chilometri, e un GAL che ha tutte le probabilità di rifinanziamento, ci sono pure (nel Comune di Montechiarugolo, a Perugia, hanno installato addirittura un parco fotovoltaico che funziona molto bene). I fondi quelli li si trova, la Regione è già ben disposta.
Ai candidati sindaci che si affacciano ad ideare un programma elettorale da qui a qualche mese, consiglio di pensarci bene: trasformare un'onta in una opportunità è più di quello che in media l'elettorato chiede ad un primo cittadino. Dimostrare subito di saperlo fare è quindi avere tra le mani già la vittoria morale.