Il pizzicotto
Il 25 aprile che non c'è
Buona Liberazione a chi?
martedì 25 aprile 2017
7.53
Ogni volta che è 25 aprile vivo l'imbarazzo di festeggiare una festa non mia. Ho 33 anni e, diciamoci la verità, la Resistenza non so cosa sia, se non per averne letto da romanzi e libri di scuola.
Mi è piombato sotto gli occhi un manifesto della sezione di Bisceglie del Partito Comunista Italiano. Colorato, accattivante, ridondante. E puntuale, più di ogni altra azione del minuscolo sodalizio che sopravvive nella sua immobilità alle intemperie della politica locale e nazionale.
È arrivato, via posta elettronica, alla vigilia di una festa che pare che i "compagni" siano gli unici a sentire.
Mi sono sempre chiesta come facciano e perché, se tanto grande è per loro lo slancio della festa, si limitino a dei 70x100 affissi a caso e girati ad una mailing list che li cestina. Sarei curiosa di capire come quel "resistenza ora e sempre" si declini nella loro vita quotidiana e cosa significhi esattamente. Perché, dalle stanze di via Cialdini, non ce lo hanno mai spiegato.
Leggo, ad ogni modo, la lettera del condannato a morte Giordano Cavestro (nome di battaglia "Mirko") che la storica sezione del PCI con FGCI porta a testimonianza di questo sentimento della resistenza che terrei a provare almeno una volta nella vita. Ne cerco le fattezze sul web e leggo la sua breve biografia.
Poi le sue parole, le ultime di un 18enne con le palle e la maturità di 70enne d'oggi. Dicono molto, più che sulla resistenza, su chi l'ha uccisa: noi, un po' tutti quanti.
Le trascrivo.
«Cari compagni, ora tocca a noi. Andiamo a raggiungere altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d'Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l'idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà».
Poco da commentare.
Quanti passi indietro ha fatto l'Italia da quando "Mirko" se l'è lasciata alle spalle per salvarla? Quanta libertà ha perduto dopo la liberazione da una guerra che mentre distruggeva in fondo univa e rendeva gli sconosciuti fratelli? Ai tempi della guerra degli individualismi, che rende i fratelli di sangue sconosciuti sotto un comune tetto, in nome di una crisi che non si misura e di un terrorismo amorfo, sento la festa del 25 più che un atto dovuto un insulto.
Rido, quando l'amico Pasquale Caprioli e qualcuno come lui mi ripetono: "ci vorrebbe un'altra guerra. Un altro '45. Tabula rasa per ricominciare". Faccio finta che scherzi e in cuor mio piango per quanto ha ragione.
Mi è piombato sotto gli occhi un manifesto della sezione di Bisceglie del Partito Comunista Italiano. Colorato, accattivante, ridondante. E puntuale, più di ogni altra azione del minuscolo sodalizio che sopravvive nella sua immobilità alle intemperie della politica locale e nazionale.
È arrivato, via posta elettronica, alla vigilia di una festa che pare che i "compagni" siano gli unici a sentire.
Mi sono sempre chiesta come facciano e perché, se tanto grande è per loro lo slancio della festa, si limitino a dei 70x100 affissi a caso e girati ad una mailing list che li cestina. Sarei curiosa di capire come quel "resistenza ora e sempre" si declini nella loro vita quotidiana e cosa significhi esattamente. Perché, dalle stanze di via Cialdini, non ce lo hanno mai spiegato.
Leggo, ad ogni modo, la lettera del condannato a morte Giordano Cavestro (nome di battaglia "Mirko") che la storica sezione del PCI con FGCI porta a testimonianza di questo sentimento della resistenza che terrei a provare almeno una volta nella vita. Ne cerco le fattezze sul web e leggo la sua breve biografia.
Poi le sue parole, le ultime di un 18enne con le palle e la maturità di 70enne d'oggi. Dicono molto, più che sulla resistenza, su chi l'ha uccisa: noi, un po' tutti quanti.
Le trascrivo.
«Cari compagni, ora tocca a noi. Andiamo a raggiungere altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d'Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l'idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà».
Poco da commentare.
Quanti passi indietro ha fatto l'Italia da quando "Mirko" se l'è lasciata alle spalle per salvarla? Quanta libertà ha perduto dopo la liberazione da una guerra che mentre distruggeva in fondo univa e rendeva gli sconosciuti fratelli? Ai tempi della guerra degli individualismi, che rende i fratelli di sangue sconosciuti sotto un comune tetto, in nome di una crisi che non si misura e di un terrorismo amorfo, sento la festa del 25 più che un atto dovuto un insulto.
Rido, quando l'amico Pasquale Caprioli e qualcuno come lui mi ripetono: "ci vorrebbe un'altra guerra. Un altro '45. Tabula rasa per ricominciare". Faccio finta che scherzi e in cuor mio piango per quanto ha ragione.