Il pizzicotto
La scoperta degli alloggi studenteschi
In Puglia servono case per 12000 universitari. A Bisceglie nessuno vuol creare posti letto per gli alunni del coreutico
giovedì 20 aprile 2017
08.00
Leggevo da qualche parte che la Puglia ha un fabbisogno teorico di 12000 alloggi per studenti, destinati ai fuorisede che frequentano le Università pugliesi. Adisu gestisce meno di 2000 residenze universitarie, lasciando in balia del pendolarismo o degli affittuari più improbabili un plotone di 10223 promessi dottori.
Con un ritardo trentennale la Regione Puglia ha deciso di darsi un pizzicotto da sola e, svegliandosi, ha capito che serve fare qualcosa. Anche perché la crisi dell'edilizia nei capoluoghi potrebbe essere risolta con la realizzazione di minialloggi, nuclei integrati, alloggi misti, alberghi diffusi per studenti e docenti.
Cose che altrove, nemmeno troppo lontano da qui, sono ormai sui libri di storia.
Dall'unica legge che disciplina ruolo e competenze regionali in materia di diritto allo studio (la legge quadro 390/1991) sono del resto ormai passati 26 anni, 7 legislature e milioni di studenti. Qualcuno, di questo tempo, doveva pur farne tesoro.
La Lombardia, per esempio, con la legge regionale 33/2004, ha fatto quello che si fa nel Regno Unito affidato direttamente alle Università la gestione dei servizi di sostegno agli studenti e mantenendo per sé un ruolo di coordinamento, programmazione e valutazione.
In Puglia, dove sono appena 13 le residenze a disposizione degli studenti svantaggiati, solo oggi si parla di un "programma per l'edilizia universitaria pugliese".
C'è da dire che i programmi di co-finanziamento statali per l'acquisto, la ristrutturazione o la costruzione di immobili da adibire a residenze universitarie sono stati, ad oggi solo due: uno del 1998, l'altro del 2008. Ma a questo va necessariamente aggiunto il dato che da quegli stanziamenti avanzano ancora risorse mai spese.
La coperta è di quelle di Linus, eccessivamente corta. Ma questo non significa che nessuno debba tirarne dalla propria parte almeno un lembo, mentre tutti avanzano il diritto a lamentarsi che gli italiani sono mammoni per natura, lasciano le famiglie d'origine troppo tardi, sbagliano le scelte universitarie, non si realizzano lavorativamente, guardano al di qua del proprio naso. Qualche corresponsabilità esiste.
Ora, il paragone con una situazione più locale viene facile. È quella degli studenti del coreutico "da Vinci", che vivono l'aggravante di essere quasi tutti minorenni e non avere mezzi propri con cui spostarsi. Da quando esiste il corso a Bisceglie non hanno mai potuto usufruire di un servizio di vitto e alloggio a prezzi convenzionati.
Negli anni, causa mancanza di un convitto o di uno straccio di convenzione con hotel, b&b e simili, sono stati rimandati a casa a decine: studenti e studentesse che avrebbero vissuto per un quinquennio a Bisceglie, comprando nei nostri negozi, parlando della nostra città, pagando i nostri imprenditori e consumando nei nostri pub. Calabresi, lucani, campani, molisani, foggiani e così via, hanno dovuto rinunciare al sogno di una maturità felice, per la sola ottusità di un sistema che non è stato pronto ad accettarli.
Le timide promesse di un ostello giovanile nell'area ex Macello si sono smontate nel giro di una campagna elettorale anche perché recuperare oltre cinque milioni di euro per un servizio alla comunità che qualcuno comunque avrebbe poi dovuto gestire negli anni, con fondi pubblici possibilmente, non era impresa semplice. Gli studenti forestieri, del resto, non avrebbero mai fatto rumore né scritto all'amministrazione per battere i pugni o sollevare i forconi. Così l'articolo 34 della Costituzione è stato conservato tra le pagine del Testo Massimo dell'ordinamento nazionale. A tomo chiuso.
Quello dell'edilizia per studenti e docenti, resta un tema da affrontare. Dei 3000 alloggi sfitti che Bisceglie conta e di quelli che si aggiungono di mese in mese agli altri, la popolazione è cosciente. E francamente anche un po' stufa. Se solo si pensasse ad alimentare meno il business della normale edilizia abitativa e si puntasse a questo, non ci sarebbe neanche bisogno di arenare il PUG per oltre 10 anni, per giustificare le nuove costruzioni che il nuovo Piano Generale non vedrebbe di buon occhio. Si potrebbe licenziare il PUG e permettere ai palazzinari di spostare l'attenzione altrove.
Al centro storico, solo per fare un esempio.
Con un ritardo trentennale la Regione Puglia ha deciso di darsi un pizzicotto da sola e, svegliandosi, ha capito che serve fare qualcosa. Anche perché la crisi dell'edilizia nei capoluoghi potrebbe essere risolta con la realizzazione di minialloggi, nuclei integrati, alloggi misti, alberghi diffusi per studenti e docenti.
Cose che altrove, nemmeno troppo lontano da qui, sono ormai sui libri di storia.
Dall'unica legge che disciplina ruolo e competenze regionali in materia di diritto allo studio (la legge quadro 390/1991) sono del resto ormai passati 26 anni, 7 legislature e milioni di studenti. Qualcuno, di questo tempo, doveva pur farne tesoro.
La Lombardia, per esempio, con la legge regionale 33/2004, ha fatto quello che si fa nel Regno Unito affidato direttamente alle Università la gestione dei servizi di sostegno agli studenti e mantenendo per sé un ruolo di coordinamento, programmazione e valutazione.
In Puglia, dove sono appena 13 le residenze a disposizione degli studenti svantaggiati, solo oggi si parla di un "programma per l'edilizia universitaria pugliese".
C'è da dire che i programmi di co-finanziamento statali per l'acquisto, la ristrutturazione o la costruzione di immobili da adibire a residenze universitarie sono stati, ad oggi solo due: uno del 1998, l'altro del 2008. Ma a questo va necessariamente aggiunto il dato che da quegli stanziamenti avanzano ancora risorse mai spese.
La coperta è di quelle di Linus, eccessivamente corta. Ma questo non significa che nessuno debba tirarne dalla propria parte almeno un lembo, mentre tutti avanzano il diritto a lamentarsi che gli italiani sono mammoni per natura, lasciano le famiglie d'origine troppo tardi, sbagliano le scelte universitarie, non si realizzano lavorativamente, guardano al di qua del proprio naso. Qualche corresponsabilità esiste.
Ora, il paragone con una situazione più locale viene facile. È quella degli studenti del coreutico "da Vinci", che vivono l'aggravante di essere quasi tutti minorenni e non avere mezzi propri con cui spostarsi. Da quando esiste il corso a Bisceglie non hanno mai potuto usufruire di un servizio di vitto e alloggio a prezzi convenzionati.
Negli anni, causa mancanza di un convitto o di uno straccio di convenzione con hotel, b&b e simili, sono stati rimandati a casa a decine: studenti e studentesse che avrebbero vissuto per un quinquennio a Bisceglie, comprando nei nostri negozi, parlando della nostra città, pagando i nostri imprenditori e consumando nei nostri pub. Calabresi, lucani, campani, molisani, foggiani e così via, hanno dovuto rinunciare al sogno di una maturità felice, per la sola ottusità di un sistema che non è stato pronto ad accettarli.
Le timide promesse di un ostello giovanile nell'area ex Macello si sono smontate nel giro di una campagna elettorale anche perché recuperare oltre cinque milioni di euro per un servizio alla comunità che qualcuno comunque avrebbe poi dovuto gestire negli anni, con fondi pubblici possibilmente, non era impresa semplice. Gli studenti forestieri, del resto, non avrebbero mai fatto rumore né scritto all'amministrazione per battere i pugni o sollevare i forconi. Così l'articolo 34 della Costituzione è stato conservato tra le pagine del Testo Massimo dell'ordinamento nazionale. A tomo chiuso.
Quello dell'edilizia per studenti e docenti, resta un tema da affrontare. Dei 3000 alloggi sfitti che Bisceglie conta e di quelli che si aggiungono di mese in mese agli altri, la popolazione è cosciente. E francamente anche un po' stufa. Se solo si pensasse ad alimentare meno il business della normale edilizia abitativa e si puntasse a questo, non ci sarebbe neanche bisogno di arenare il PUG per oltre 10 anni, per giustificare le nuove costruzioni che il nuovo Piano Generale non vedrebbe di buon occhio. Si potrebbe licenziare il PUG e permettere ai palazzinari di spostare l'attenzione altrove.
Al centro storico, solo per fare un esempio.