La dama dalla gerbera gialla
Rubrica a cura di Liliana Salerno
C'era una volta… una notte misteriosa; notte di lampi, tuoni, di acqua perduta dal cielo, notte in cui le barche sbattono a riva, ed, anche ancorate, non riescono a stare ferme.Che il viaggio abbia inizio... Liliana Salerno è pronta ad accompagnare i lettori di BisceglieViva in questa nuova esperienza, dall'arte poetica alla prosa, con la finalità di emozionare e far riflettere delle sue opere. Ad aprire magnificamente la rubrica la favola "La dama dalla gerbera gialla": la storia di una ragazza con una gerbera gialla infilata sul fianco, la cui «dolcezza inquieta penetrava l'animo», che veniva corteggiata da signori e cavalieri, rimanendo però impassibile a ogni gesto di cortesia. Tutti tentarono di conquistare il suo cuore, ma lei rifiutava qualsiasi uomo, svelando alla fine il suo "segreto".
Il testo, molto profondo, descrive perfettamente le caratteristiche della protagonista, permettendo al pubblico di immedesimarsi in lei.
a cura di Luca Ferrante
Ululava un vento furibondo, come se qualcuno, con la forza, gli avesse impedito di raccontare un segreto, e ruggisse ostinato, nella pioggia, incapace di tacere.
Parlavano anche i rami degli alberi, tormentati da furibondo rumore, e le bestie domestiche, atterrite, cercavano riparo più vicino ai casolari.
Lei giunse in una notte come questa: giunse nel buio, livida di pioggia, fradicia e indifesa, infreddolita, nella sua carrozza scura che faceva stridere le ruote sulla ghiaia bagnata.
Non più che l'accenno di un volto diafano, intravisto dal finestrino; non più che il discreto frusciare delle vesti; non più che una caviglia intravista e subito smarrita in un lontano chissà dove.
Le corsero incontro lacchè e cavalieri, cerimonieri e dame anziane incuriosite.
Anche i servitori restarono a guardarla, ed erano lenti nel compiere le loro mansioni.
Che fosse bella? Certo, ma nessun ornamento ne accentuava i lineamenti.
Che fosse trascurata? No, ma la sua eleganza non gridava nulla.
Anche spettinata, una dolcezza inquieta penetrava l'animo.
…E la corte si animò d'incanto della sua presenza: non vi era tavola che non fosse finemente apparecchiata per lei; non c'era ballo che non la vedesse conduttrice; non vi era caccia che non la vedesse amazzone.
I musici facevano a gara per eseguire le loro melodie, e le insegnarono a suonare l'arpa e il liuto; i cuochi alternavano pesce d'acqua dolce a selvaggina o cacciagione, speziando i piatti senza alcun risparmio, né mai pranzo o cena prevedeva che mancasse un dolce in suo onore; il poeta di corte scriveva sonetti per gli innamorati.
Ma non cambiavano colore i suoi abiti, né il suo volto pallido assumeva la pienezza di un riso spensierato.
Faceva contrasto a questo vestire austero ed al pallore del suo sembiante il solo ornamento che si era concesso: una solare gerbera gialla, inseparabile da lei, infilata sul fianco, nella cintura, con la sobria eleganza del fioretto di uno spadaccino, che ne esaltava la bellezza.
Invano le dame del palazzo tentarono di scrutarle il cuore; invano le pettinatrici, a sera, le raccontarono storie d'amore avvincenti, liete o tristi, reali o fantastiche… lei ascoltava tutte con gentilezza, poi le licenziava con un sorriso triste e pieno di dolcezza, e le salutava nuovamente al risveglio, con lo stesso sorriso, quando le portavano la colazione.
Pensò allora, il Principe del palazzo, che alla sua felicità occorresse un marito, affinché l'amore di un uomo le ridonasse il sorriso spensierato, ed invitò signori e cavalieri a corteggiare la bella dama. Ma questi si guardarono in faccia evidentemente imbarazzati, e quando il Principe li invitò ad esternare le loro perplessità, un visconte, rosso di vergogna per quanto doveva dire, confessò il suo personale insuccesso; per cavalleria l'ufficiale delle guardie, che gli era accanto, affermò la stessa cosa, e poi ancora visconti, principi, conti, marchesi e cavalieri, tutti, affermarono di aver dichiarato il proprio amore alla Signora, di averle proposto un felice matrimonio, ma tutti dovettero ammettere di aver ricevuto un dolce rifiuto, di aver insistito, come dovere di un gentiluomo, e di essere incorso, ripetendo l'invito, in qualche spiacevole incidente che gli fosse stato di impedimento.
Sorpreso il Principe si fece raccontare episodi e dettagli di simile disfatta della sua corte, e, innervosito, decise di risolvere l'enigma: ma come? Fare troppe domande ad una signora non sarebbe stato né onesto, né delicato; decise di ricorrere ad un vecchio espediente: fece chiamare all'istante il suo musico di corte, un esperto giullare, di rara arguzia e perspicacia, e gli raccontò l'accaduto.
Il giullare ascoltò i cortigiani uno ad uno, ma ai loro racconti non aggiunse nulla; poi si impegnò, con il suo signore, a risolvere l'enigma.
Raro ingegno, destrezza, fantasia e delicatezza gli occorsero per entrare nel cuore della donna, ma dove avevano fallito la bellezza e la prestanza fisica giunse l'arte raffinata dell'ingegno, per cui, infine, il giullare poté chiederle: «Come fate, signora, solo sfiorando la gerbera sempre in fiore che portate al fianco, a far inciampare, sbrodolare a cena un gentiluomo che vi importuna? Qualcuno è anche caduto da cavallo, ha contratto febbri che i cerusici non hanno saputo né guarire, né spiegare, alcuni hanno perso la strada seguendo un percorso che conoscevano dall'infanzia: siete una strega, una maga….la gerbera è fatata o che altro?
La signora lo guardò a lungo, come da una distanza incomprensibile, poi sorrise di sé e di lui, infine disse: «No, giullare, nessun sortilegio e nessuna opera del diavolo mi lega a questo fiore solare, ma una forza più grande di noi, che a noi persiste, e mai da noi si separa, perché mai la si può dimenticare...».
Il giullare la pregò di continuare e di svelare il suo segreto: il volto della donna si illuminò di luce nuova, la voce le si fece tremante, ed ella prese a raccontare:
«C'era una volta... un cavaliere, sin da giovane mio compagno di giochi e d'avventure; aveva negli occhi caldi le parole di un bene così grande che raccontarlo sarebbe stato sminuirlo.
Accadde invece che il suo rivale invocasse il male e trasformasse ingenui occhi verde mare in livide stregate lastre di gelo, capaci di produrre la malia.
Mi chiedete come, saltimbanco?… Eravamo un giorno in riva al lago, era già quasi estate e al mio compagno venne voglia di tuffarsi.
Io rimasi a riva, a guardare; e ridevamo insieme, come sempre avevamo fatto.
Poi lui prese ad esplorare il fondo, ed io lo pregai di non allontanarsi da me, ma lui schizzava l'acqua e rideva, rideva felice, e con poche bracciate andò lontano, lontano, ad immergersi lontano. - Nascosti nella boscaglia, verdi occhi di ghiaccio, perfidi guardavano, e quando videro che lui si immergeva, concepirono il loro maleficio. - ...E il fondale si fece misterioso, attraente e profondo, profondo, profondo… più degli abissi del mare oceano.
Sicché quando il mio compagno volle risalire, la luce non giungeva più nel fondo del lago, e per quanti sforzi facesse, pian piano un muro d'acqua gli serrava il respiro.
Di lontano lo attendevo in ansia, né mai lo vidi ritornare: vidi le bolle d'aria giungere a galla e, a riva, verde nel verde, confusi nella boscaglia, due occhi adamantini brillare di piacere.
Mi alzai per gridare, ma come sbocciata dal fondo delle acque questa gerbera, solare e cullata, trasportata da niente, pian piano giunse a me.
Non vidi mai il corpo del mio compagno, ma da quel giorno questo fiore mi cinge la vita, fresco come nel momento in cui lo colsi, bagnato, in riva al lago.
Attende vendetta l'uomo che me l'ha donato: attende ragione d'un vile, che, senza l'arte subdola della stregoneria, mai avrebbe avuto ragione di un cavaliere.
Attende il fiore, e non permette si avvicini a me chi non prova altrettanto amore.
Così, come vedete, la vostra corte, la corte del vostro Principe, non è ritenuta degna di cingere il mio fianco, e non lo sarà fino a quando la gerbera non riconoscerà un amore vero, nobile nel sentire, un amore così grande che le parole potrebbero sminuirlo, un amore che persista all'ultimo giorno e che cinga il fianco dell'altro senza sfiorire mai».
Piangeva anche il giullare, alle parole della donna… asciugò le lacrime con la manica del suo costume, e questa storia non la disse mai.
Nuovo appuntamento con "Le parole di Sherazade" di Liliana Salerno venerdì 25 settembre