"Voci", monologo dell'autrice
Testo drammaturgico in due atti di Liliana Salerno
I personaggi e i fatti narrati in questo dramma sono, per dichiarazione dell'Autrice stessa, frutto di pura invenzione e fantasia. Per cui se qualcuno si riconoscerà in essi, sia nelle fattezze del tale personaggio che nella fisicità della narrazione, consideri la cosa del tutto accidentale e casuale.Un secondo atto subito interessante, dopo l'incredibile voglia di Teresa di avere conferme sul reale tradimento di suo marito Paolo con una parrucchiera di nome Deborah. La moglie ha riempito di domande il suo uomo, che però è stato abile nelle risposte a non dare molti dettagli alla curiosa donna (click per rileggere la seconda scena).
Mentre Paolo e Teresa terminano abbracciati la scena, la narrazione si interrompe per lasciare spazio a un altro stuzzicante momento di letteratura, con protagonisti l'autrice di questa seconda parte del testo "Voci", scritta da Liliana Salerno, e una studentessa, con un comportamento abbastanza particolare.
a cura di Luca Ferrante
La lettura del testo è sconsigliata a un pubblico minore di 14 anni.
Buona lettura.
Terza scena: monologo dell'autrice
La musica invade la sala. Dalla quinta di destra, questa volta, appare l'Autrice, e contemporaneamente, dalla quinta di sinistra scenderà la macchina scenica con il banco fissato sopra e, seduta alla relativa sedia, una ragazza, intenta a leggere un libro aperto, pronta a seguire la lezione della professoressa, ma anche a reggere sotto il banco, con una mano un fotoromanzo aperto, esattamente con la sinistra, con l'altra mano, posata sul libro, stringerà una piccola trousse, con relativo specchietto.L'Autrice porta sottobraccio il suo libro, sceglie una posizione comoda per affrontare il pubblico, direttamente, perché diventerà ben presto il suo interlocutore. Il telo si solleva, mostrando i due amanti ancora teneramente abbracciati, come fossero quelli della pubblicità romantica dei baci Perugina. In realtà tutta la scena sarà improntata al Romanticismo. La musica scema, sale il brusio delle comparse che commentano spassionatamente…
Autrice, rivolta verso il pubblico: «Basta! Basta! (più sommessa, sgranando lo sguardo verso il pubblico, come se vedesse un orrido antro) Tacete voci da strada. Tacete. Vedete? Sono sospesi! Sono fermi nell'attimo in cui l'Arte li ha catturati. Vedete? (estrae una penna dalla tasca) Posso, con un gesto della mano disegnarli ancora, nella loro interezza, perché grazie al valore dell'Arte, io li ho creati, a mia immagine e somiglianza, e li ho dati in pasto a Voi, come se possano da soli, rispondere, delle loro imperfezioni! (Si rivolge spassionatamente al pubblico, ignorando alunna e classe. Alle sue spalle i due amanti, si prendono per mano e, come in un minuetto siedono sulla sponda del letto ad ascoltare)».
Violino solista, La Vie en Rose, accennato e sfumato.
Autrice, con enfasi: «Ebbene anch'io un tempo ho creduto nell'onnipotenza della Letteratura, nella superiorità della Poesia come Arte, come massimo strumento d'espressione, e ho cercato, nel mio ruolo di Educatrice Scolastica, di trasmettere ai miei alunni questo sacro fuoco, perché diventassero anche loro, come me, necessario strumento di trasmissione della Coscienza Storico Letteraria del Reale, ma un giorno sollevai gli occhi dalla pagina».
Avanza di pochi passi verso la ragazza, si guarda un po' in giro, sistema una ciocca ribelle dei capelli e punta il dito indice, verso di lei.
Autrice: «Ehi Tu! Tu dell'ultimo banco, chi sei?»
Ragazza, stupefatta: «Io!? Giovanna Nisi, studente!»
Autrice, verso il pubblico: «Mi colpì la certezza con cui pronunciava il suo ruolo ed il suo nome. Come se mai, alcun dubbio avesse scosso quella testa china. Come se fosse a Scuola, non per apprendere, ma per assorbire, con la pagina, il mondo intero, e, con il mondo intero, anche me».
Ripresi la lezione già paga del rinnovato contatto con la Letteratura, come se nulla fosse accaduto. Ma quando mi accinsi a leggere, con studiata e professionale commozione, dalle parole dell'autore, le vicende della Silvia Leopardiana, quella testa china, ostinata, si chiuse in sé, come se non vedesse avanti.
Autrice, con voce cadenzata: «Aprite il libro a pagina 189».
La ragazza sfoglia le pagine e trova il suo testo. La sua insegnante (l'Autrice) legge declamando pianissimo e con intenzione:
Autrice: «Silvia, rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale, Quando beltà splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E Tu, lieta e pensosa, il limitare Di gioventù salivi?"».
La ragazza guarda l'insegnante di sottecchi, e visto che ha gli occhi ancora sulle pagine del libro, solleva la testa, apre la piccola trousse ed incomincia liberamente a rifarsi il trucco. L'insegnante solleva il viso, la guarda, come stupita, ma ritorna a leggere come se nulla fosse. La ragazza ripone la trousse sul banco, e sfila da sotto il banco il giornale per poggiarlo sul libro, in modo che sembri leggere la poesia. L'autrice riprende a leggere il testo, dopo aver fatto qualche passo soltanto verso il banco, assume un'espressione accigliata e vagamente infastidita.
Autrice riprende con voce suadente: «Sonavan le quiete Stanze, e le vie dintorno, Al tuo perpetuo canto, Allor che all'opre femminili intenta Sedevi, assai contenta di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi così menare il giorno. Io, gli studi leggiadri Talor lasciando e le sudate carte, ove il Tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte, D'in su i veroni del paterno ostello Porgea gli orecchi al suon della tua voce, Ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela. Mirava il Ciel sereno, le vie dorate e gli orti, e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno»
L'insegnante prende una piccola pausa per guardare pubblico e alunni. La ragazza, china sul fotoromanzo, non si accorge di essere osservata. L'insegnante compie pochi passi, le si avvicina, guarda sul banco, e riprende la lettura, mentre l'alunna, sentendosi scoperta infila velocemente il fotoromanzo sotto il banco.
Autrice, languida: «Che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme un affetto mi preme acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura»
L'alunna sbuffa, si contorce sulla sedia, si alza repentina e grida: «(con arroganza, masticando una gomma) Pressorè, posso andare al bagno?»
L'insegnante tace, alza lo sguardo inebetito, poi esplode: «(autorevole) No Giovanna Nisi! Sei appena rientrata dal bagno, non se ne parla!»
La Ragazza molleggia un po' sulle gambe poi aggiunge in tono lagnoso: «Mi scappa!»
Autrice, alzando il tono della voce, in vantaggio della classe: «Seduti!»
Mentre pronuncia queste parole un campanello segnala il cambio dell'ora, per cui i ragazzi, solo virtuali, incominciano a fare merenda. Giovanna Nisi si rivolge all'insegnante, sempre in tono lamentoso: «Posso andare al bagno?»
Autrice, sconfitta: «Va bene, vai!»
La ragazza si gira ed esce.
L'autrice, in scena, mimerà gesti di sconforto, riportando più volte il libro vicino e lontano dalla faccia, come a voler leggere meglio, a voler capire, se ha commesso un errore. La ragazza rientra, felice e torna a prendere posto. Suona ancora la campana e la lezione ricomincia.
Autrice, come se la pausa non ci fosse mai stata: «O Natura, o Natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? Perché di tanto inganni i figli tuoi? Tu, pria che l'erbe inaridisse il verno, da chiuso morbo combattuta e vinta, Perivi, o tenerella. E non vedevi il fior degli anni tuoi»
La ragazza riprende a ritoccarsi il trucco, verifica l'esattezza del rossetto, poi, credendosi inosservata, riporta sul banco il fotoromanzo e ricomincia ostinata a leggere le immagini commentate.
Autrice, languida, con trasporto, come persa in un mondo suo: «Non ti molceva il core, la dolce lode or delle negre chiome, or degli sguardi innamorati e schivi; né teco, le compagne ai dì festivi Ragionavan d'amore»
L'autrice compie ancora qualche passo verso il banco, poi, nasale, vedendo la ragazza sfogliare rumorosamente il fotoromanzo le ordina: «Giovanna Nisi, continua tu!»
Giovanna Nisi ripone il fotoromanzo sotto il banco, poi, riesce a recuperare a volo il segno e abilissima nel compiere due azioni contemporaneamente, riprende la lettura dal punto giusto: «(sconvolta) Anche peria fra poco la speranza mia dolce: agli anni miei anche negaro i fati la giovinezza. Ahi come, come passata sei, Cara compagna dell'età mia nova, mia lacrimata Speme questo è quel mondo? Questi i diletti, gli amor, l'opre gli eventi onde cotanto ragionammo insieme?»
Autrice, perentoria: «Questa la sorte dell' umane genti? All'apparire del vero Tu misera cadesti: e con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi di lontano» (continua) Per mercoledì riassunto e commento scritto.
Si avvicina finalmente al banco di Giovanna Nisi, mentre la ragazza si accinge a legare i libri, per infilarli in cartella, infila la mano sotto il banco privandola per sempre del fotoromanzo.
Autrice, con arroganza: «Vediamo COSA distoglie la nostra giovane studiosa dalle vicende della Silvia (calca la voce) Leopardiana!
Ragazza, girandosi verso il pubblico ed ignorando del tutto il fotoromanzo (con estrema maleducazione esclama): «Ma Prof. la Silvia Leopardiana, a quest'ora, i miei amici se la sono s... tutti, solo Leopardi stava alla finestra a "rascare"!»
Autrice, colta da improvviso malore, come perdita di sensi, le risponde aggrappandosi proprio all'ultima occasione di recuperare ruolo e prestigio. Scolasticamente le grida: «Ti metto la nota!»
Ragazza, sfrontata e canticchiando con fare menefreghista: «Doooooh!»
Autrice, profondamente turbata dall'inefficacia delle sue parole, rivolta al pubblico: «Finalmente avevo compreso come il giornaletto intriso di Romanticismo a buon mercato potesse essere per lei, e per questa nuova generazione, una sorta di controcanto dissonante alla più alta poesia aulica, pregnante per gli anziani, ma inefficace per i più moderni, per cui umilmente le chiesi: ma Tu, Tu, chi sei Tu?»
Ragazza (netto e distinto): «Io? Giovanna Nisi, studente».
Il carrello scompare; tirato via, dalla quinta di sinistra. La ragazza, rimasta in piedi, indossa lo zaino ed esegue un saluto di scena tipico della Commedia dell'Arte, come fosse un Arlecchino che si inchina al pubblico, e si dilegua velocemente dalla stessa quinta che è la più vicina… L'Autrice sconvolta rimane in scena, si porta in avanti verso il pubblico, da cui una comparsa le porgerà un microfono, e quasi con tono di preghiera mostra i due personaggi seduti sulla sponda del letto:
Autrice: «Non possono loro rispondere delle imperfezioni della vita. Essi tacciono, perché sono umani, imperfetti come io li ho disegnati, per consegnarli alla Arte, al presente, che tutto raggela in forma e sostanza. Posso con l'inchiostro della mia penna, farli respirare ancora, ora che le Vostre Voci li hanno annientati, distrutti…»
Estrae la penna e scrive nell'aria, improvvisando una danza, subito seguita da una pizzica improvvisa. Teresa e Paolo riprendono vita e danzano con lei, in modo sempre più frenetico, per poi uscire, come indemoniati dalla quinta; la musica scema, l'autrice si accascia per terra improvvisando una specie di morte del cigno. Una volta a terra il sipario scende e la musica scema fino a svanire.
Nuovo appuntamento con "Voci" di Liliana Salerno martedì 2 novembre