Le ragnatele di Ersilia
Alfredino Rampi: una storia tutta nostra
Rubrica di cultura e società
giovedì 10 giugno 2021
Sono trascorsi quarant'anni da quel 10 giugno del lontano 1981. Quarant'anni sono davvero tanti eppure questa storia nei nostri cuori è tanto viva.
La storia di Alfredino, il bambino caduto in un pozzo a Vermicino, ci appartiene. E parlare di lui è come parlare di un amico, di un compagno, di un fratello.
Alfredino avrebbe avuto la mia età, oggi. E, oggi, come me, sarebbe stato testimone di un tempo che ha dimenticato quanto la televisione sia stata la nostra casa, il "focolare" sempre ardente.
Lo ricordo perfettamente quel giorno, di ritorno da scuola restai incollata alla sedia davanti allo schermo e guardavo mamma addolorata che immaginava suo figlio in quel vortice che aveva risucchiato un corpicino esile, talmente esile che scivolava sempre più nel fondo della terra.
La terra non è lieve se decide di tenerti sotto e non farti respirare. Un destino crudele, quello di Alfredino. Un bambino ed una mamma, il cui dolore divenne il dolore di tutte le mamme d'Italia. Una mamma china, adagiata per terra che chiamava il suo piccolo e cercava di consolarlo.
Per tanto tempo ho immaginato come potesse essere restare ore al buio senza ossigeno, e la mia mente cercava riparo nello schermo che mostrava al contempo il dolore.
In quegli anni la televisione era per noi il mondo intero, palesava le nostre virtù ma anche i vizi. E sembrava che tutto ciò che passasse attraverso lo schermo potesse trasformarsi in qualcosa di buono, che la notorietà rendesse tutti quanti più forti.
Poi c'era il "Presidente", quel Presidente che non dimenticheremo mai che consolava la mamma di Alfredino e dava a noi italiani la certezza di essere parte di un Paese che ama e che lavora, il Paese più bello del mondo.
Le ore passavano ma Alfredino restava incastrato lì sotto e più i soccorritori scendevano più il suo corpo cadeva giù, come se la terra avesse accolto e preparato per lui un posticino per proteggerlo per sempre.
La televisione era la nostra finestra sul mondo e una Rete che potesse farci stare insieme e connetterci in tempo reale non l'avevamo ancora immaginata. O forse sì, l'avevano fatto alcuni con le loro distopie più sfrenate. Perché di distopia si tratta se oggi quello che era uno strumento di condivisione è diventato il luogo del narcisismo più estremo e disperato.
La storia di Alfredino, il bambino caduto in un pozzo a Vermicino, ci appartiene. E parlare di lui è come parlare di un amico, di un compagno, di un fratello.
Alfredino avrebbe avuto la mia età, oggi. E, oggi, come me, sarebbe stato testimone di un tempo che ha dimenticato quanto la televisione sia stata la nostra casa, il "focolare" sempre ardente.
Lo ricordo perfettamente quel giorno, di ritorno da scuola restai incollata alla sedia davanti allo schermo e guardavo mamma addolorata che immaginava suo figlio in quel vortice che aveva risucchiato un corpicino esile, talmente esile che scivolava sempre più nel fondo della terra.
La terra non è lieve se decide di tenerti sotto e non farti respirare. Un destino crudele, quello di Alfredino. Un bambino ed una mamma, il cui dolore divenne il dolore di tutte le mamme d'Italia. Una mamma china, adagiata per terra che chiamava il suo piccolo e cercava di consolarlo.
Per tanto tempo ho immaginato come potesse essere restare ore al buio senza ossigeno, e la mia mente cercava riparo nello schermo che mostrava al contempo il dolore.
In quegli anni la televisione era per noi il mondo intero, palesava le nostre virtù ma anche i vizi. E sembrava che tutto ciò che passasse attraverso lo schermo potesse trasformarsi in qualcosa di buono, che la notorietà rendesse tutti quanti più forti.
Poi c'era il "Presidente", quel Presidente che non dimenticheremo mai che consolava la mamma di Alfredino e dava a noi italiani la certezza di essere parte di un Paese che ama e che lavora, il Paese più bello del mondo.
Le ore passavano ma Alfredino restava incastrato lì sotto e più i soccorritori scendevano più il suo corpo cadeva giù, come se la terra avesse accolto e preparato per lui un posticino per proteggerlo per sempre.
La televisione era la nostra finestra sul mondo e una Rete che potesse farci stare insieme e connetterci in tempo reale non l'avevamo ancora immaginata. O forse sì, l'avevano fatto alcuni con le loro distopie più sfrenate. Perché di distopia si tratta se oggi quello che era uno strumento di condivisione è diventato il luogo del narcisismo più estremo e disperato.