
Le ragnatele di Ersilia
Beati gli smemorati
Rubrica di cultura e società
mercoledì 27 gennaio 2021
16.07
«Beati gli smemorati perché avranno la meglio anche sui loro errori».
Le parole di Nietzsche suonano come un motto, una sentenza, un presagio, una rivelazione. E di lì a poco, il secolo breve, avrebbe mostrato le pecche di una umanità che voleva far coincidere lo Stato con la Nazione e che avrebbe, poi, dimenticato le atrocità della guerra e del genocidio degli ebrei.
Dimenticare è umano e aiuta a vivere ma ricordare è un dovere quando le memorie condivise sono state fraintese e quando la storia e la memoria hanno subito un processo di divaricazione.
È accaduto agli ebrei. Non è facile parlare della Shoah. Non è facile per ognuno di loro raccontare la catastrofe perché la guerra è fuoco che arde costantemente nei loro cuori, fuoco che però la storia spegne nelle sue gelide stanze con tono rassegnato, pacato.
Se per la storia la guerra è passato concluso, archiviato, catalogato, per la memoria è presente, vivo.
La memoria è "il presente del passato" dice Sant'Agostino nelle sue Confessioni; è il dolore ri-presentificato.
Dalla guerra non esiste ritorno possibile se non si affronta la pena del ricordo.
Mantenere vivo un ricordo è importante, a volte di vitale importanza. Ne era consapevole Lotte Noam, una donna ebrea che era in grado di tenere a memoria intere opere di Rilke o di Goethe e di recitarle ai suoi nipotini. E se qualcuno le avesse chiesto come faceva a ricordare tutto lei rispondeva : " ho sempre voluto avere qualcosa che non potessero togliermi se fossi finita in un campo di concentramento".
La memoria ci identifica e ci salva anche quando c'è chi vorrebbe toglierci i vestiti di dosso, le scarpe, tagliarci i capelli, toglierci il cibo e il nome, la libertà. Quando non hai più nulla puoi sempre ricordare.
Ricordare è un esercizio interiore. Ognuno di noi porta con sé un tempo immenso. E questo essere, questo tempo si redime e di salva grazie alla nostra capacità di ricordare.
Proust si chiude in una stanza avvolta da pareti di sughero e ricorda il passato che pensava sopito per sempre. Attraverso una infilata di anni la memoria riemerge.
Chi smette di ricordare interrompe la sua storia d'amore con il mondo e quando mia nonna ha dimenticato tutto il suo passato ha smesso di essere nonna ed è diventata solo un corpo esposto ai pericoli del presente senza la corazza dei ricordi. Avrebbero potuto dirle tutto e lei ci avrebbe creduto e se avesse avuto un dolore lei non sarebbe stata in grado di ricordare quando è stata capace, da sola, di lenire quel dolore.
Ricordare le atrocità di una guerra può essere un calvario e c'è stato chi, dopo l'olocausto, ha pensato che sarebbe stato meglio morire. Ma ricordare è una forma di ricongiungimento con i compagni caduti. Quei caduti per i quali la guerra non ha avuto atti di pietà. Una morte ripugnante, senza sepoltura che ancora oggi merita vendetta.
La vendetta migliore è il ricordo che nessuno potrà cancellare. E facciamolo oggi e sempre. Non con immagini terrificanti, con brandelli di corpi messi al rogo e ossa lanciate per terra. Queste immagini così come la violenza provocano assuefazione e non danno l'idea del dolore né attivano processi di coscienza e consapevolezza. Serve un racconto che coinvolga tutti e per sempre, che sia individuale e collettivo al tempo stesso.
Alla violenza scelgo una canzone, che dia il senso del dolore. Non porterei mai i miei figli in visita ad un campo di concentramento anche se ci sono andati per davvero. Non serve un viaggio nel dolore. Serve sentirsi parte di un unico destino. Perché, nonostante tutto, siamo condannati ad amare comunque la vita.
Le parole di Nietzsche suonano come un motto, una sentenza, un presagio, una rivelazione. E di lì a poco, il secolo breve, avrebbe mostrato le pecche di una umanità che voleva far coincidere lo Stato con la Nazione e che avrebbe, poi, dimenticato le atrocità della guerra e del genocidio degli ebrei.
Dimenticare è umano e aiuta a vivere ma ricordare è un dovere quando le memorie condivise sono state fraintese e quando la storia e la memoria hanno subito un processo di divaricazione.
È accaduto agli ebrei. Non è facile parlare della Shoah. Non è facile per ognuno di loro raccontare la catastrofe perché la guerra è fuoco che arde costantemente nei loro cuori, fuoco che però la storia spegne nelle sue gelide stanze con tono rassegnato, pacato.
Se per la storia la guerra è passato concluso, archiviato, catalogato, per la memoria è presente, vivo.
La memoria è "il presente del passato" dice Sant'Agostino nelle sue Confessioni; è il dolore ri-presentificato.
Dalla guerra non esiste ritorno possibile se non si affronta la pena del ricordo.
Mantenere vivo un ricordo è importante, a volte di vitale importanza. Ne era consapevole Lotte Noam, una donna ebrea che era in grado di tenere a memoria intere opere di Rilke o di Goethe e di recitarle ai suoi nipotini. E se qualcuno le avesse chiesto come faceva a ricordare tutto lei rispondeva : " ho sempre voluto avere qualcosa che non potessero togliermi se fossi finita in un campo di concentramento".
La memoria ci identifica e ci salva anche quando c'è chi vorrebbe toglierci i vestiti di dosso, le scarpe, tagliarci i capelli, toglierci il cibo e il nome, la libertà. Quando non hai più nulla puoi sempre ricordare.
Ricordare è un esercizio interiore. Ognuno di noi porta con sé un tempo immenso. E questo essere, questo tempo si redime e di salva grazie alla nostra capacità di ricordare.
Proust si chiude in una stanza avvolta da pareti di sughero e ricorda il passato che pensava sopito per sempre. Attraverso una infilata di anni la memoria riemerge.
Chi smette di ricordare interrompe la sua storia d'amore con il mondo e quando mia nonna ha dimenticato tutto il suo passato ha smesso di essere nonna ed è diventata solo un corpo esposto ai pericoli del presente senza la corazza dei ricordi. Avrebbero potuto dirle tutto e lei ci avrebbe creduto e se avesse avuto un dolore lei non sarebbe stata in grado di ricordare quando è stata capace, da sola, di lenire quel dolore.
Ricordare le atrocità di una guerra può essere un calvario e c'è stato chi, dopo l'olocausto, ha pensato che sarebbe stato meglio morire. Ma ricordare è una forma di ricongiungimento con i compagni caduti. Quei caduti per i quali la guerra non ha avuto atti di pietà. Una morte ripugnante, senza sepoltura che ancora oggi merita vendetta.
La vendetta migliore è il ricordo che nessuno potrà cancellare. E facciamolo oggi e sempre. Non con immagini terrificanti, con brandelli di corpi messi al rogo e ossa lanciate per terra. Queste immagini così come la violenza provocano assuefazione e non danno l'idea del dolore né attivano processi di coscienza e consapevolezza. Serve un racconto che coinvolga tutti e per sempre, che sia individuale e collettivo al tempo stesso.
Alla violenza scelgo una canzone, che dia il senso del dolore. Non porterei mai i miei figli in visita ad un campo di concentramento anche se ci sono andati per davvero. Non serve un viaggio nel dolore. Serve sentirsi parte di un unico destino. Perché, nonostante tutto, siamo condannati ad amare comunque la vita.