Le ragnatele di Ersilia
La bellezza di un sorriso
Rubrica di cultura e società - Una testimonianza dall'inferno del Covid
domenica 29 novembre 2020
16.12
Dalle sofferenze sono nate le canzoni più belle. Penso a quelle canzoni italiane scritte nel dopoguerra, negli anni cinquanta del secolo scorso, melodie semplici, lievi, che sembrano scritte da animi puri che guardano il mondo per la prima volta e credono nell'incanto di un giorno nuovo.
Ci si chiede come fosse possibile scrivere testi così leggeri e carichi di ottimismo dopo aver visto e vissuto le atrocità di un conflitto che ha cambiato le sorti dell'umanità.
Quando le tempeste si placano torna sempre il sorriso, il corpo si rigenera e l'animo è pronto a vivere quello che porta il domani.
La felicità comincia sempre con la cessazione di un dolore perché soltanto allora puoi godere della vita fino in fondo. È una felicità che ignora tutto e tutti, profonda, pura, incontaminata, che non ricorda nulla di ciò che è stato e non si fa intimorire da quello che sarà. È un dono, un'essenza che ti ripaga di ogni sacrificio. Le tempeste scardinano tutto, fanno tabula rasa, e tra un prima e un poi creano un intervallo magico, divino, e in quell'intervallo cominci a sorridere. Sei soltanto tu e il tuo corpo e niente altro, sei tu l'unica preoccupazione perché le tempeste ti tolgono ciò che è essenziale per vivere.
Il sorriso, però, non è concesso a tutti e c'è chi, oggi, dopo aver contratto il Coronavirus non è più tornato a casa ed è stato riposto in un sacco di plastica perché se muori così sei infetto e intoccabile.
Il Covid è un uragano che ha spazzato via le nostre abitudini e ha dato l'idea della fragilità umana anche ai bambini facendoli crescere troppo in fretta e togliendo loro anche la magia del Natale che verrà.
In questi lunghi mesi di pandemia ci siamo cibati di notizie, comunicati, decreti, testimonianze sulla malattia talmente precisi che quando il Covid è entrato dentro di me ho avuto la netta sensazione di aver già vissuto tutto e di sapere bene come dovesse evolversi la malattia.
Ed è proprio questo il punto: la vita ci viene presentata prima ancora che accada e quando si manifesta pensi già di averla vissuta. È come viverla due volte.
I particolari preferisco non raccontarli. Dire come la malattia ti toglie il respiro e la forza di stare in piedi non fa bene a nessuno. Né tantomeno mostrare immagini di un paziente in terapia intensiva a pancia in giù, inerte.
Quelle immagini le abbiamo divulgate e mostrate anche ai bambini rovinando, con la nostra scienza e i nostri pensieri "concreti", i loro sogni, intaccando la loro felicità, le favole che gli abbiamo raccontato.
Quando soffri e ti senti al limite delle tue forze ti chiudi in una stanza, in un angolo che possa proteggerti. La stanza diventa la tua culla e le pareti il tuo mondo. Impari a gestire la tua solitudine e niente più ti spaventa. E quando la tempesta è passata la vita torna a scorrere.
Regalo il mio sorriso, oggi, a chi sta lottando in prima linea. A medici, infermieri, operatori sanitari che rischiano la loro vita ogni giorno. A loro che, dopo una intensa giornata di lavoro, tornano a casa con la tristezza nel cuore, magari per non essere riusciti a dare il massimo e aver potuto salvare una vita.
Ci si chiede come fosse possibile scrivere testi così leggeri e carichi di ottimismo dopo aver visto e vissuto le atrocità di un conflitto che ha cambiato le sorti dell'umanità.
Quando le tempeste si placano torna sempre il sorriso, il corpo si rigenera e l'animo è pronto a vivere quello che porta il domani.
La felicità comincia sempre con la cessazione di un dolore perché soltanto allora puoi godere della vita fino in fondo. È una felicità che ignora tutto e tutti, profonda, pura, incontaminata, che non ricorda nulla di ciò che è stato e non si fa intimorire da quello che sarà. È un dono, un'essenza che ti ripaga di ogni sacrificio. Le tempeste scardinano tutto, fanno tabula rasa, e tra un prima e un poi creano un intervallo magico, divino, e in quell'intervallo cominci a sorridere. Sei soltanto tu e il tuo corpo e niente altro, sei tu l'unica preoccupazione perché le tempeste ti tolgono ciò che è essenziale per vivere.
Il sorriso, però, non è concesso a tutti e c'è chi, oggi, dopo aver contratto il Coronavirus non è più tornato a casa ed è stato riposto in un sacco di plastica perché se muori così sei infetto e intoccabile.
Il Covid è un uragano che ha spazzato via le nostre abitudini e ha dato l'idea della fragilità umana anche ai bambini facendoli crescere troppo in fretta e togliendo loro anche la magia del Natale che verrà.
In questi lunghi mesi di pandemia ci siamo cibati di notizie, comunicati, decreti, testimonianze sulla malattia talmente precisi che quando il Covid è entrato dentro di me ho avuto la netta sensazione di aver già vissuto tutto e di sapere bene come dovesse evolversi la malattia.
Ed è proprio questo il punto: la vita ci viene presentata prima ancora che accada e quando si manifesta pensi già di averla vissuta. È come viverla due volte.
I particolari preferisco non raccontarli. Dire come la malattia ti toglie il respiro e la forza di stare in piedi non fa bene a nessuno. Né tantomeno mostrare immagini di un paziente in terapia intensiva a pancia in giù, inerte.
Quelle immagini le abbiamo divulgate e mostrate anche ai bambini rovinando, con la nostra scienza e i nostri pensieri "concreti", i loro sogni, intaccando la loro felicità, le favole che gli abbiamo raccontato.
Quando soffri e ti senti al limite delle tue forze ti chiudi in una stanza, in un angolo che possa proteggerti. La stanza diventa la tua culla e le pareti il tuo mondo. Impari a gestire la tua solitudine e niente più ti spaventa. E quando la tempesta è passata la vita torna a scorrere.
Regalo il mio sorriso, oggi, a chi sta lottando in prima linea. A medici, infermieri, operatori sanitari che rischiano la loro vita ogni giorno. A loro che, dopo una intensa giornata di lavoro, tornano a casa con la tristezza nel cuore, magari per non essere riusciti a dare il massimo e aver potuto salvare una vita.