Le ragnatele di Ersilia
Un'estate alla finestra
Rubrica di cultura e società
domenica 2 agosto 2020
Un'estate così chi l'avrebbe mai pensata?
Neanche i grandi narratori del '900, da Orwell a Bradbury e anche Philip K. Dick, che hanno amato parlare di futuro e stravolgere i sensi e la realtà delle cose, avrebbero mai immaginato che si potesse procedere su due binari contrapposti e far finta che tutto stesse andando per il verso giusto.
Luglio è terminato e con esso anche le sedute di laurea.
L'importanza data alle sedute di laurea, oggi, costituisce la cifra più saliente di quanto il mondo sia cambiato e di come l'emergenza sanitaria abbia capovolto i bisogni, le aspettative, le priorità di ognuno di noi.
Ho visto mio figlio discutere la sua tesi di laurea davanti ad uno schermo, in casa, come un clandestino, un irregolare, un abusivo che infrange le regole ed è costretto a nascondersi e negare la sua identità e ho avuto la chiara, netta percezione di quello che stesse accadendo, forse più di quanto non l'avessi avuta sino ad ora.
Ai nostri figli è stato negato un diritto sacrosanto, quello, cioè, di essere accolti nel loro giorno più importante in un'aula universitaria. Aule che, a dirla tutta, sono tanto ampie da poter garantire un giusto distanziamento e il rispetto delle norme anti assembramento.
L'Università "Aldo Moro" di Bari, per esempio, ha deciso di svolgere in presenza soltanto le sedute delle lauree a ciclo unico e magistrali, lasciando ai laureandi dei cicli triennali l'unica chance di laurearsi in casa. Come se una laurea triennale non costituisse un percorso concluso e degno di attenzione.
Ricordiamoci che ci sono alcuni studenti che non conseguono una specializzazione e il mondo del lavoro consente loro comunque di lavorare.
Ci sono cose sacre che non andrebbero violate soprattutto se, al di fuori di contesti scolastici e universitari, la vita scorre regolarmente senza limiti di sorta. Forse perché la cultura, il sapere e l'istruzione costituiscono terreno fertile per i contagi da Coronavirus. O ,forse, perché ci si sta preparando ad un futuro migliore.
La letteratura degli anni '50 e '60 del Novecento ci ha abituati a prevedere il futuro, a leggerlo in maniera distorta.
Con "1984" di Orwell, "Fahrenheit 451" di Bradbury e "Tempo fuori di sesto" di Philip K. Dick abbiamo visto quanto potesse osare il futuro, addirittura fino alla distopia più estrema.
L'avvento della televisione, negli anni '50, ha segnato il tramonto di un'era negli Stati Uniti e poi in tutto il resto del mondo. La radio era stata soppiantata dallo schermo e l'informazione e l'intrattenimento facevano uso di un medium di massa che poneva al margine l'ascolto per mostrare una realtà che non permetteva alcuna comprensibilità. Certo, anche altri media sanno offuscare la realtà, ma la potenza dello schermo e dell'immagine rendono l'inganno molto più persuasivo ed eloquente. E quando la realtà non sai più leggerla allora cominci a stravolgerla, a pensare a futuri catastrofici.
Oggi i paradossi sono la regola e non l'eccezione e ci stiamo abituando a surrogati di esistenza soltanto perché la tecnologia lo consente e abbiamo milioni di schermi a nostra disposizione.
La vita non può essere vista attraverso uno schermo e so di sicuro che chi si è laureato da remoto avrà compreso che, forse, sedersi in un ristorante sia più gratificante e prioritario che stringere la mano del proprio relatore e ascoltarsi durante una discussione.
Tutte le storie fantastiche hanno in comune una cosa e cioè mostrano come, dopo uno stravolgimento, si arrivi poi alla normalità, come se per aggiustare le cose sia necessario arrivare al capolinea della ragionevolezza. E noi ci siamo vicini.
Agli italiani vengono offerte due possibilità: da un lato credere che il Covid-19 non sia mai esistito e dall'altro sostenere una politica di restrizioni e di divieti imposta dal Governo per il contenimento del virus. Devi solo decidere da che parte stare.
In realtà noi italiani abbiamo una buona predisposizione a scinderci e a credere che la vita sia fatta di continue dicotomie e questa volta non potendo dividerci tra meridionali e settentrionali, tra uomini di destra e uomini di sinistra, scegliamo di essere negazionisti o immobilisti. E questa nuova antitesi sembrerebbe essere l'unica, buona e sana ideologia in grado di reggere il Paese, perlomeno fino alle elezioni regionali di settembre prossimo.
La battaglia più importante e difficile che le Regioni dovranno affrontare, nel prossimo autunno, sarà porre la scuola e le Università nelle condizioni di poter riprendere le attività senza che vengano ancora una volta sacrificati diritti essenziali.
Ma, ascoltando il dibattito politico, si ha l'impressione che settembre ci coglierà ancora una volta impreparati, incollati alle sedie, indolenti e passivi, pessimi attori della peggiore commedia mai vista prima. E a farne le spese saranno, come sempre, i nostri figli, vittime e untori di questa strana estate che "svuota i teatri e lascia solo i pagliacci".
Neanche i grandi narratori del '900, da Orwell a Bradbury e anche Philip K. Dick, che hanno amato parlare di futuro e stravolgere i sensi e la realtà delle cose, avrebbero mai immaginato che si potesse procedere su due binari contrapposti e far finta che tutto stesse andando per il verso giusto.
Luglio è terminato e con esso anche le sedute di laurea.
L'importanza data alle sedute di laurea, oggi, costituisce la cifra più saliente di quanto il mondo sia cambiato e di come l'emergenza sanitaria abbia capovolto i bisogni, le aspettative, le priorità di ognuno di noi.
Ho visto mio figlio discutere la sua tesi di laurea davanti ad uno schermo, in casa, come un clandestino, un irregolare, un abusivo che infrange le regole ed è costretto a nascondersi e negare la sua identità e ho avuto la chiara, netta percezione di quello che stesse accadendo, forse più di quanto non l'avessi avuta sino ad ora.
Ai nostri figli è stato negato un diritto sacrosanto, quello, cioè, di essere accolti nel loro giorno più importante in un'aula universitaria. Aule che, a dirla tutta, sono tanto ampie da poter garantire un giusto distanziamento e il rispetto delle norme anti assembramento.
L'Università "Aldo Moro" di Bari, per esempio, ha deciso di svolgere in presenza soltanto le sedute delle lauree a ciclo unico e magistrali, lasciando ai laureandi dei cicli triennali l'unica chance di laurearsi in casa. Come se una laurea triennale non costituisse un percorso concluso e degno di attenzione.
Ricordiamoci che ci sono alcuni studenti che non conseguono una specializzazione e il mondo del lavoro consente loro comunque di lavorare.
Ci sono cose sacre che non andrebbero violate soprattutto se, al di fuori di contesti scolastici e universitari, la vita scorre regolarmente senza limiti di sorta. Forse perché la cultura, il sapere e l'istruzione costituiscono terreno fertile per i contagi da Coronavirus. O ,forse, perché ci si sta preparando ad un futuro migliore.
La letteratura degli anni '50 e '60 del Novecento ci ha abituati a prevedere il futuro, a leggerlo in maniera distorta.
Con "1984" di Orwell, "Fahrenheit 451" di Bradbury e "Tempo fuori di sesto" di Philip K. Dick abbiamo visto quanto potesse osare il futuro, addirittura fino alla distopia più estrema.
L'avvento della televisione, negli anni '50, ha segnato il tramonto di un'era negli Stati Uniti e poi in tutto il resto del mondo. La radio era stata soppiantata dallo schermo e l'informazione e l'intrattenimento facevano uso di un medium di massa che poneva al margine l'ascolto per mostrare una realtà che non permetteva alcuna comprensibilità. Certo, anche altri media sanno offuscare la realtà, ma la potenza dello schermo e dell'immagine rendono l'inganno molto più persuasivo ed eloquente. E quando la realtà non sai più leggerla allora cominci a stravolgerla, a pensare a futuri catastrofici.
Oggi i paradossi sono la regola e non l'eccezione e ci stiamo abituando a surrogati di esistenza soltanto perché la tecnologia lo consente e abbiamo milioni di schermi a nostra disposizione.
La vita non può essere vista attraverso uno schermo e so di sicuro che chi si è laureato da remoto avrà compreso che, forse, sedersi in un ristorante sia più gratificante e prioritario che stringere la mano del proprio relatore e ascoltarsi durante una discussione.
Tutte le storie fantastiche hanno in comune una cosa e cioè mostrano come, dopo uno stravolgimento, si arrivi poi alla normalità, come se per aggiustare le cose sia necessario arrivare al capolinea della ragionevolezza. E noi ci siamo vicini.
Agli italiani vengono offerte due possibilità: da un lato credere che il Covid-19 non sia mai esistito e dall'altro sostenere una politica di restrizioni e di divieti imposta dal Governo per il contenimento del virus. Devi solo decidere da che parte stare.
In realtà noi italiani abbiamo una buona predisposizione a scinderci e a credere che la vita sia fatta di continue dicotomie e questa volta non potendo dividerci tra meridionali e settentrionali, tra uomini di destra e uomini di sinistra, scegliamo di essere negazionisti o immobilisti. E questa nuova antitesi sembrerebbe essere l'unica, buona e sana ideologia in grado di reggere il Paese, perlomeno fino alle elezioni regionali di settembre prossimo.
La battaglia più importante e difficile che le Regioni dovranno affrontare, nel prossimo autunno, sarà porre la scuola e le Università nelle condizioni di poter riprendere le attività senza che vengano ancora una volta sacrificati diritti essenziali.
Ma, ascoltando il dibattito politico, si ha l'impressione che settembre ci coglierà ancora una volta impreparati, incollati alle sedie, indolenti e passivi, pessimi attori della peggiore commedia mai vista prima. E a farne le spese saranno, come sempre, i nostri figli, vittime e untori di questa strana estate che "svuota i teatri e lascia solo i pagliacci".