Memorie di un amore
Colloquio con l'assente
Le poesie di Liliana Salerno
domenica 16 giugno 2019
Detesto la Tristezza,
longevo Amore,
ma non ho altro da donarti.
Vedi come le parole
nutrono i silenzi:
sono cent'anni,
che, impavidi salottieri
guardiamo le stelle
e ci domandiamo
come sarà il reale:
ogni volta che incontro un uomo,
questi mi porta a guardare il mare,
come se il mare sapesse
parlare d'altro che di Te.
Ed ogni volta il mare
che dovrebbe parlarmi di Lui
e di un Amore nascente,
non coinvolto con altro
che il presente,
invece, a dispetto dell'attimo,
che dovrei vivere, fuggente,
mi parla di Te,
e mi riporta indietro,
a storie d'uragani
e tempeste già vissute:
le letterarie tempeste
dei nostri sguardi silenti,
che hanno fatto ammutolire
il Tempo e gelare le Stelle.
Se fossi qui, sarebbe giorno,
ma il giorno nuovo,
promesso dalle Scritture:
quello che ha giustificato
le attese impossibili,
che ha reso ciechi
gli occhi della Sfinge
e sbuffato fuoco,
sulle pedine inconsapevoli
della Storia.
Se tutti i violini degli Ebrei,
potessero cantare in coro,
canterebbero,
con improvvisa gioia dionisiaca
del Nostro Amore,
sopravvissuto al Tempo;
non delle tristezze e degli orrori.
Tutti gli orrori del mondo,
quelli catalogati dalla Storia
che nulla nega
al dominio della Memoria,
né trovano riparo,
se la Tua luce offusca il mondo.
Tra Me e Te,
non ci sono né spazi,
né distanze,
e perfino quest'Assenza
che ci inganna,
che fa di Te
l'Uomo di un'altra Donna,
e di Me una voce straniera
non è che un Lapsus,
un incidente,
un disguido del reale,
non del tutto conscio del senso
delle Nostre esistenze.
Il capriccio del caso
ci allontana,
ma negli spazi senza limiti,
che tornano a Noi, Nostri,
se lo vogliamo.
Dunque, la Tua Assenza,
la fisica Assenza,
non rende vani
i Nostri soliloqui,
anzi, li solidifica,
come assurde certezze.
Per questo, di tanto Amore
mi è rimasto un Dono,
il solo che possa ancora,
in fede, testimone
del mio bene,
parlarti della mia ultima
dolcezza: la Tristezza.
longevo Amore,
ma non ho altro da donarti.
Vedi come le parole
nutrono i silenzi:
sono cent'anni,
che, impavidi salottieri
guardiamo le stelle
e ci domandiamo
come sarà il reale:
ogni volta che incontro un uomo,
questi mi porta a guardare il mare,
come se il mare sapesse
parlare d'altro che di Te.
Ed ogni volta il mare
che dovrebbe parlarmi di Lui
e di un Amore nascente,
non coinvolto con altro
che il presente,
invece, a dispetto dell'attimo,
che dovrei vivere, fuggente,
mi parla di Te,
e mi riporta indietro,
a storie d'uragani
e tempeste già vissute:
le letterarie tempeste
dei nostri sguardi silenti,
che hanno fatto ammutolire
il Tempo e gelare le Stelle.
Se fossi qui, sarebbe giorno,
ma il giorno nuovo,
promesso dalle Scritture:
quello che ha giustificato
le attese impossibili,
che ha reso ciechi
gli occhi della Sfinge
e sbuffato fuoco,
sulle pedine inconsapevoli
della Storia.
Se tutti i violini degli Ebrei,
potessero cantare in coro,
canterebbero,
con improvvisa gioia dionisiaca
del Nostro Amore,
sopravvissuto al Tempo;
non delle tristezze e degli orrori.
Tutti gli orrori del mondo,
quelli catalogati dalla Storia
che nulla nega
al dominio della Memoria,
né trovano riparo,
se la Tua luce offusca il mondo.
Tra Me e Te,
non ci sono né spazi,
né distanze,
e perfino quest'Assenza
che ci inganna,
che fa di Te
l'Uomo di un'altra Donna,
e di Me una voce straniera
non è che un Lapsus,
un incidente,
un disguido del reale,
non del tutto conscio del senso
delle Nostre esistenze.
Il capriccio del caso
ci allontana,
ma negli spazi senza limiti,
che tornano a Noi, Nostri,
se lo vogliamo.
Dunque, la Tua Assenza,
la fisica Assenza,
non rende vani
i Nostri soliloqui,
anzi, li solidifica,
come assurde certezze.
Per questo, di tanto Amore
mi è rimasto un Dono,
il solo che possa ancora,
in fede, testimone
del mio bene,
parlarti della mia ultima
dolcezza: la Tristezza.