Morte di un gettonista
Capitolo nono
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 30 gennaio 2025
«Giacinto, ho bisogno di riposare e, dopo, di consumare un piatto caldo.»
«Torno in reparto.»
«Va bene.»
«Non vuoi assistere all'interrogatorio della barista? Ricordi cosa ha detto? Forse ha visto o sentito qualcosa.»
«Dammi due ore, per favore.»
«Va bene.»
«Ciao, dottore, novità?» chiosa Rebecca, la caposala.
«Nessuna novità: la collega Erika ha detto solo che è molto contrariata dalla presenza dei gettonisti in reparto e che stanotte era a casa da sola.»
«Ma sì, dottore... Erika ha i suoi problemi e ce l'ha con il mondo intero.»
«E quali sono i suoi problemi?!»
«Beh... ha perso entrambi i genitori da bambina; è cresciuta con la zia, la sorella della madre, una donna anaffettiva, non solo con lei, ma anche con i suoi figli. Ha avuto un'adolescenza sofferta; è piuttosto bruttina, ha peli dappertutto, non ha cura di sé stessa. Mirava a diventare primario di pediatria, invece la Direzione ha preferito il collega Erasmo Bafunni, più giovane di lei, che regge anche il primariato del capoluogo Forzavista, per cui non viene mai qui. Credo che non abbia mai avuto un fidanzato, vive sola in una villetta fuori paese con un piccolo giardino incolto. Non ha un'auto dignitosa, non va mai in vacanza... insomma, non è cattiva, è solo una "povera a lei". Mah... che tristezza! E comunque il Commissario mi ha detto che bisognerà verificare l'alibi.»
«E se fosse arrivata lei stanotte, avrebbe lasciato una scia di puzza micidiale... ti pare?»
«Eh sì... hai ragione, dottore, e quella di pesce fritto è una delle più resistenti.»
Era passata al "tu" e la cosa mi faceva piacere, anche perché, nel pronunciare il sostantivo "dottore", aveva arrotato molto la erre, conferendole un suono roco e morbido.
«Rebecca, vado in camera... ho bisogno di dormire.»
«Certo, vai, se arriva qualcuno ti chiamo.»
Con le palpebre che mi cascano e la mente in confusione, mi sdraio vestito sulla branda.
E, nonostante tutto, i miei occhi, piuttosto che chiudersi, rimangono aperti e sento nel torace la frequenza cardiaca aumentare sensibilmente.
Ho bisogno di pescare nei ricordi recenti, quelli che possono aiutarmi a, non dico superare, ma almeno tamponare questo momento così assurdo, doloroso e angosciante della mia vita.
Il mare, con tutte le sue sfumature, mi aveva accompagnato durante il lungo percorso fino a Marsegno.
Una volta arrivato, emozionatissimo, mi ero recato in ospedale ed ero rimasto incantato nell'osservare con quanto criterio chi di dovere avesse deciso di erigerlo su una collina, fuori città, con in lontananza lo sfondo del mare.
La mia città, Glielfi, è una città di mare, la mia regione, la Puglia, è una penisola. Anche la Calabria è una penisola e il suo mare è sconfinato, le sue spiagge immense, solitarie.
E se la Puglia è una giovane donna, frizzante ed energica, la Calabria è una donna matura, sensuale, conscia della sua bellezza, che si concede con prudenza al turista. Lei sa di possedere la cultura, la saggezza, il fascino della sua millenaria storia.
Mi segue con lo sguardo ed è compiaciuta del mio, ammirato e riconoscente.
E più scendo verso la Magna Grecia e più mi sento accarezzato da tanta bellezza; più la musa mi abbraccia, lasciando cadere i suoi lisci, lucenti, morbidi, profumati e lunghi capelli neri sul mio petto e sul mio viso.
Poi, d'un tratto...
«Pasquale, tu meriti di respirare l'aria più nobile di questa regione, di sentire il profumo più intenso di questo mare, di provare il sano piacere della mia presenza. Il mio nome è Nosside.
Chi viene da me con lo stato d'animo che hai tu ora e con il nobile intento con il quale sei venuto, si sentirà fiero in questi giorni e porterà con sé, per tutto il resto della sua vita, l'eterna ed infinita bellezza della Calabria: benvenuto, caro dottore!»
Ed infatti, la mattina, una volta smontato dalla guardia e percorso il tratto di strada che mi porta giù, mi fermo sul lungomare, di fronte alla tua statua, Nosside, poetessa della Magna Grecia che in un suo famoso epigramma ha scritto:
"Di fronte alla dolcezza dell'amore, sputo anche il miele."
«Ben tornato» mi dice.
Le racconto della notte trascorsa in reparto, degli accessi dal pronto soccorso, di Orazio, lo splendido bambino nato, di come la neo mamma, dopo un parto precipitoso, mi abbia chiesto:
«Come sta mio figlio?»
«Bene, signora, benissimo; è un bel bambino.»
«Grazie, dottore, grazie; lei è una brava persona: ha lo sguardo buono.»
Mi giro e vedo una donna in nero che mi fissa al di là della strada. Mi viene incontro mentre io mi blocco, incuriosito. Continua a osservarmi, mentre si avvicina sempre di più. Poi, quando ormai ci dividono pochi passi, lei rivolge il suo sguardo al mare e a Nosside.
Mi guarda intensamente ancora una volta e va via.
Era proprio lei. Era la bella Nosside.
E così raggiungo il mio bed & breakfast: Terra della Magna Grecia.
E mentre risalgo le scale, dopo aver attraversato il giardino, sento una giovane voce:
«Buongiorno, dottore... buongiorno... Sono Rossella Raoa, la proprietaria del bed & breakfast.»
Rossella è una donna dalla bellezza luminosa. I capelli neri le cadono a caschetto sulla fronte, incorniciano occhi profondi e mobili; le labbra sottili evocano passioni passate. Il sorriso è contagioso e frizzante. La sua voce, avvolgente, con la fascinosa cadenza del profondo sud, è per me una sferzata di attenzione e interesse.
«Ha parlato con me al telefono. Com'è andato il viaggio?»
«Bene, grazie. Ci vogliono sette ore, ma il percorso è piacevole.»
«Venga, la accompagno in camera.»
Con lo zaino in spalla, la seguo. Non posso fare a meno di osservare come Rossella ancheggi; poi apre la porta, mi consegna la chiave e, con uno splendido sorriso, si congeda dicendo:
«Buon riposo, dottore.»
Ma io, pur di non terminare così il nostro breve, ma per me intenso incontro, le chiedo se il giorno dopo avesse tempo per accompagnarmi a visitare la famosa zona archeologica...
E mentre pronuncio la richiesta, già mi pento della mia sfacciataggine, ma lei mi guarda negli occhi e, tempo un secondo:
«Certo... con vero piacere.»
Ci salutiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo, pur sapendo che, nonostante il sincero ed onesto slancio emotivo, il nostro incontro non ci sarebbe mai stato.
«Dottore, dottore, sveglia! La vuole il Commissario...»
«Torno in reparto.»
«Va bene.»
«Non vuoi assistere all'interrogatorio della barista? Ricordi cosa ha detto? Forse ha visto o sentito qualcosa.»
«Dammi due ore, per favore.»
«Va bene.»
«Ciao, dottore, novità?» chiosa Rebecca, la caposala.
«Nessuna novità: la collega Erika ha detto solo che è molto contrariata dalla presenza dei gettonisti in reparto e che stanotte era a casa da sola.»
«Ma sì, dottore... Erika ha i suoi problemi e ce l'ha con il mondo intero.»
«E quali sono i suoi problemi?!»
«Beh... ha perso entrambi i genitori da bambina; è cresciuta con la zia, la sorella della madre, una donna anaffettiva, non solo con lei, ma anche con i suoi figli. Ha avuto un'adolescenza sofferta; è piuttosto bruttina, ha peli dappertutto, non ha cura di sé stessa. Mirava a diventare primario di pediatria, invece la Direzione ha preferito il collega Erasmo Bafunni, più giovane di lei, che regge anche il primariato del capoluogo Forzavista, per cui non viene mai qui. Credo che non abbia mai avuto un fidanzato, vive sola in una villetta fuori paese con un piccolo giardino incolto. Non ha un'auto dignitosa, non va mai in vacanza... insomma, non è cattiva, è solo una "povera a lei". Mah... che tristezza! E comunque il Commissario mi ha detto che bisognerà verificare l'alibi.»
«E se fosse arrivata lei stanotte, avrebbe lasciato una scia di puzza micidiale... ti pare?»
«Eh sì... hai ragione, dottore, e quella di pesce fritto è una delle più resistenti.»
Era passata al "tu" e la cosa mi faceva piacere, anche perché, nel pronunciare il sostantivo "dottore", aveva arrotato molto la erre, conferendole un suono roco e morbido.
«Rebecca, vado in camera... ho bisogno di dormire.»
«Certo, vai, se arriva qualcuno ti chiamo.»
Con le palpebre che mi cascano e la mente in confusione, mi sdraio vestito sulla branda.
E, nonostante tutto, i miei occhi, piuttosto che chiudersi, rimangono aperti e sento nel torace la frequenza cardiaca aumentare sensibilmente.
Ho bisogno di pescare nei ricordi recenti, quelli che possono aiutarmi a, non dico superare, ma almeno tamponare questo momento così assurdo, doloroso e angosciante della mia vita.
Il mare, con tutte le sue sfumature, mi aveva accompagnato durante il lungo percorso fino a Marsegno.
Una volta arrivato, emozionatissimo, mi ero recato in ospedale ed ero rimasto incantato nell'osservare con quanto criterio chi di dovere avesse deciso di erigerlo su una collina, fuori città, con in lontananza lo sfondo del mare.
La mia città, Glielfi, è una città di mare, la mia regione, la Puglia, è una penisola. Anche la Calabria è una penisola e il suo mare è sconfinato, le sue spiagge immense, solitarie.
E se la Puglia è una giovane donna, frizzante ed energica, la Calabria è una donna matura, sensuale, conscia della sua bellezza, che si concede con prudenza al turista. Lei sa di possedere la cultura, la saggezza, il fascino della sua millenaria storia.
Mi segue con lo sguardo ed è compiaciuta del mio, ammirato e riconoscente.
E più scendo verso la Magna Grecia e più mi sento accarezzato da tanta bellezza; più la musa mi abbraccia, lasciando cadere i suoi lisci, lucenti, morbidi, profumati e lunghi capelli neri sul mio petto e sul mio viso.
Poi, d'un tratto...
«Pasquale, tu meriti di respirare l'aria più nobile di questa regione, di sentire il profumo più intenso di questo mare, di provare il sano piacere della mia presenza. Il mio nome è Nosside.
Chi viene da me con lo stato d'animo che hai tu ora e con il nobile intento con il quale sei venuto, si sentirà fiero in questi giorni e porterà con sé, per tutto il resto della sua vita, l'eterna ed infinita bellezza della Calabria: benvenuto, caro dottore!»
Ed infatti, la mattina, una volta smontato dalla guardia e percorso il tratto di strada che mi porta giù, mi fermo sul lungomare, di fronte alla tua statua, Nosside, poetessa della Magna Grecia che in un suo famoso epigramma ha scritto:
"Di fronte alla dolcezza dell'amore, sputo anche il miele."
«Ben tornato» mi dice.
Le racconto della notte trascorsa in reparto, degli accessi dal pronto soccorso, di Orazio, lo splendido bambino nato, di come la neo mamma, dopo un parto precipitoso, mi abbia chiesto:
«Come sta mio figlio?»
«Bene, signora, benissimo; è un bel bambino.»
«Grazie, dottore, grazie; lei è una brava persona: ha lo sguardo buono.»
Mi giro e vedo una donna in nero che mi fissa al di là della strada. Mi viene incontro mentre io mi blocco, incuriosito. Continua a osservarmi, mentre si avvicina sempre di più. Poi, quando ormai ci dividono pochi passi, lei rivolge il suo sguardo al mare e a Nosside.
Mi guarda intensamente ancora una volta e va via.
Era proprio lei. Era la bella Nosside.
E così raggiungo il mio bed & breakfast: Terra della Magna Grecia.
E mentre risalgo le scale, dopo aver attraversato il giardino, sento una giovane voce:
«Buongiorno, dottore... buongiorno... Sono Rossella Raoa, la proprietaria del bed & breakfast.»
Rossella è una donna dalla bellezza luminosa. I capelli neri le cadono a caschetto sulla fronte, incorniciano occhi profondi e mobili; le labbra sottili evocano passioni passate. Il sorriso è contagioso e frizzante. La sua voce, avvolgente, con la fascinosa cadenza del profondo sud, è per me una sferzata di attenzione e interesse.
«Ha parlato con me al telefono. Com'è andato il viaggio?»
«Bene, grazie. Ci vogliono sette ore, ma il percorso è piacevole.»
«Venga, la accompagno in camera.»
Con lo zaino in spalla, la seguo. Non posso fare a meno di osservare come Rossella ancheggi; poi apre la porta, mi consegna la chiave e, con uno splendido sorriso, si congeda dicendo:
«Buon riposo, dottore.»
Ma io, pur di non terminare così il nostro breve, ma per me intenso incontro, le chiedo se il giorno dopo avesse tempo per accompagnarmi a visitare la famosa zona archeologica...
E mentre pronuncio la richiesta, già mi pento della mia sfacciataggine, ma lei mi guarda negli occhi e, tempo un secondo:
«Certo... con vero piacere.»
Ci salutiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo, pur sapendo che, nonostante il sincero ed onesto slancio emotivo, il nostro incontro non ci sarebbe mai stato.
«Dottore, dottore, sveglia! La vuole il Commissario...»