Morte di un gettonista. <span>Foto Immagine generata con AI</span>
Morte di un gettonista. Foto Immagine generata con AI
Morte di un gettonista

Capitolo Primo

Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano

Sono appena entrato in autostrada al casello di Armesti, quando squilla il telefono.
«Buongiorno, Pasquale, come stai?»
«Oh, buongiorno, Furio. Bene, bene» rispondo. «Sono appena partito.»
Furio Occorsi, il direttore della Cooperativa La Nuova Sanità, prosegue:
«Bene. Volevo dirti che in Pediatria a Randolfi incontrerai un tuo giovane collega. Si chiama Mustafà Rambaied: è libanese. Mi ha scritto e mi ha detto che si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Beirut e si è specializzato in Pediatria presso l'Università di Atene. Ha tanto desiderio di esercitare in Italia, per cui l'ho accreditato nella nostra Cooperativa e questo, che gli ho riservato, è un secondo incarico. Il primo, circa un mese fa e prima che ci andassi tu, lo ha svolto all'Ospedale di Marsegno.
Te lo affido; solo ora comincia a pronunciare qualche parola in italiano e vorrei anche che tu osservassi, con discrezione, il suo modus operandi come medico dei bambini. Ti dispiace?»
«No» rispondo.
«Bene, grazie; ti chiamo tra qualche giorno.»
«Certamente. Buon viaggio.»
Sono molto contento per questo secondo incarico ed anche orgoglioso di ciò che mi ha chiesto Furio: fare da tutor al giovane collega.
Lui, da due mesi, è il mio superiore; è stato il primo in ordine di tempo ad accettare la mia candidatura come gettonista, e sono state sufficienti poche parole per entrare in empatia. Sono contento della sua telefonata, della fiducia che ripone in me, anche perché gli incarichi nelle pediatrie, in veste di gettonista, partono da lui.
La mia eccitazione è ben spiegata dal fatto che, dopo 38 anni di pediatria di famiglia a Gliefi, mi ritrovo a vivere una realtà professionale a me del tutto sconosciuta. Una realtà, quella ospedaliera, che ho quasi del tutto dimenticato. Ho in auto la Quinta Sinfonia di Beethoven sparata a tutto volume: è proprio il "destino che suona alla porta", come i critici definirono l'attacco della Quinta Sinfonia di Beethoven. Mai come ora il destino è arrivato a bussare alla mia porta: mi agito al volante della mia Opel sia per l'incognita cui vado incontro, sia per il ricordo della preziosa prima esperienza ospedaliera fatta a Marsegno.
Il paesaggio, una volta uscito dall'autostrada, è affascinante. Sono rapito: mi sento Don Chisciotte quando affronta i mulini a vento. Sì, perché lungo questa strada che si inerpica su di una collina, i mulini a vento sono lì, di fronte, con le enormi pale eoliche che girano lentamente ed inesorabilmente, e sembra proprio di doverci sbattere contro. I pensieri si affollano nella testa e non sempre sono rassicuranti.
Mi confronto con la mia volontà, la mia caparbietà, con il desiderio di non fermarmi, di non lasciarmi andare. Piuttosto, la curiosità, la sfida di arricchire la mia esperienza di medico pediatra, mi rassicura. Anche la scelta morale mi conforta: il mio incarico non toglie la possibilità a nessun collega giovane di proporsi. Anzi, vado a servire i reparti ospedalieri pediatrici, il cui primario si trova in seria difficoltà nel coprire i turni, specie quelli notturni, per carenza di personale. Per questo fa richiesta alla Direzione Sanitaria, che ricorre alla Cooperativa, ed ecco che arriva il gettonista.
Ciò che è accaduto a Marsegno è stato emblematico. Una volta arrivato, dopo un viaggio di circa sette ore, tutto lo staff della pediatria mi ha accolto affettuosamente, rimarcando quanto il mio supporto fosse indispensabile affinché gli strutturati potessero fermarsi per almeno 24 ore. Una volta affidatemi le consegne, ho confidato loro di quanto avessi bisogno di un affiancamento in sala parto. A quel punto, il Primario mi ha presentato sia alle infermiere pediatriche sia a quelle ostetriche sia al collega ostetrico. Tutti mi hanno preso in gran simpatia e mi hanno chiarito quale fosse il mio ruolo in sala parto e come operare con un neonato nell'isola neonatale. Chi materialmente mi è stato vicino, sono state le ostetriche, le vere protagoniste durante il parto spontaneo.
Ora tutto ciò che avevo vissuto stava per ripetersi, e ciò che speravo e mi auguravo era di ritrovare a Randolfi lo stesso clima di grande collaborazione che avevo lasciato due settimane prima a Marsegno.
Ciò che mi sembrava particolare era la figura del giovane collega libanese: non solo venire ad esercitare in Italia, ma poi optare per la Cooperativa, quando avrebbe potuto scegliere la strada che ritenevo più corretta per un giovane specialista: l'ospedale pubblico o la pediatria di famiglia. Mah... iniziai a riflettere. Mah... comunque ero ormai arrivato e stavo parcheggiando.
L'ospedale ha un ingresso imponente e, raggiunta l'ascensore, salgo al secondo piano.
Raggiungo la porta d'ingresso e, dopo pochi passi lungo il corridoio, vedo a sinistra la postazione con un'infermiera.
«Buongiorno» esclamo.
«Buongiorno» risponde.
«Buongiorno, sono il dottor Pasquale Traini.»
«L'ostetrico?» mi fa l'infermiera.
«No, il pediatra.»
«La pediatria è alla fine del corridoio, vada pure.»
«Grazie, signora.»
«Grazie a lei, dottore.»
Con lo zaino in spalla percorro non più di quindici metri e, sulla destra, vedo la grande camera dell'infermeria. In fondo, seduta a una sedia, c'è una donna in camice bianco, che riconosco subito come collega, che con un cartellino tra le mani parla a una giovane coppia con il neonato in braccio alla mamma. Mi fermo sulla soglia della porta, in attesa che la collega mi veda, in modo da chiedere il permesso di entrare.
Infatti, tempo pochi minuti, la collega consegna il cartellino al papà del bambino e dice:
«Ci rivediamo domani per controllare la bilirubina del bambino.» Porge loro la mano e si salutano con cordialità.
A questo punto mi lancia uno sguardo, mentre la sua espressione è sorpresa e infastidita.
«Buongiorno, collega: sono il collega Pasquale Traini, il pediatra gettonista della Cooperativa La Nuova Sanità, di cui avete chiesto il supporto e che è venuto a darti il cambio.»
«Il gettonista? Ma chi ti ha mandato?»
«Il signor Furio!»
«Il signor Furio: quel delinquente, una brutta persona, non voglio neanche sentirlo nominare!»
«Come vuoi... tuttavia io sono qui per voi.»
«Ma che ci sei venuto a fare?! Noi non abbiamo bisogno di nessuno, tanto meno di te!»
«Scusami se ti interrompo, ma se sono qui è perché il tuo primario ha fatto richiesta alla ASL, e la ASL ha contattato la Cooperativa, e il Direttore, quello che tu chiami "delinquente", ha mandato me a coprire i turni del pomeriggio, della notte e di domani.»
L'espressione della collega, tra l'altro in netto sovrappeso e con una peluria accennata sulle guance, diventa feroce, per trasformarsi subito in belvica quando, alle mie spalle, si materializza un giovanotto in camice, che si avvicina e, nel tendermi la mano, dice:
«Tu devi essere Pasquale Traini... io sono il collega libanese Mustafà Rambaied.»
In quel preciso momento, Erika, la collega, inizia a urlare:
«Ancora qui stai? Lo capisci che te ne devi andare? Tu non sei nessuno, tu non capisci niente, sei un imbecille! La tua laurea, ammesso che tu l'abbia conseguita a Beirut, qui in Italia non vale niente. E tanto meno la tua specializzazione. Tu non sei nessuno: vattene, vattene!»
Io non riuscivo a proferire una parola, ero stordito da tanta violenza verbale.
«Perdonami, collega, ma non è stato il tuo primario ad accettarlo, a dargli il permesso di collaborare in reparto?!»
«E chi se ne frega! Quello è un altro che non capisce niente, e comunque qui comando io. Andate via!»
Mi sale il sangue alla testa. Tuttavia, ci giriamo sui tacchi e, sommessamente, ci allontaniamo.
«Dove sono venuto a finire...» penso.
Sono sul punto di mollare tutto, quando Mustafà mi fa:
«Lei, sempre così. Dice sempre così, dal momento in cui ho messo piede nel reparto.»
«Non ci sta' con la testa» dico.
«Stare con la testa? Cosa è?»
«Hai ragione, non puoi capire...»
«Sì,» dice lui, «non capire, ma io deve capire perché deve lavorare e deve vivere in Italia.»
«Allora vuol dire che non sta bene!»
«Non sapere» dice lui, «non sapere.»
Intanto si sono fatte le 12:30, e alle 14 dovrei dare il cambio a Erika. Mah...
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