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Morte di un gettonista
Capitolo quattordicesimo
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 6 marzo 2025
7.19
«Ragazzino, stanotte ti va bene... noi andiamo via... buon viaggio... beato te!»
Ero partito con tante aspettative, ma torno a casa deluso, anzi, molto deluso. Avevo intrattenuto con Maura un fitto carteggio, dal novembre del 1967 fino al giugno del 1968. Ero poco più che un adolescente, ma quell'incontro del tutto fortuito a Gardone Riviera, durante il Congresso al quale ero andato con i miei genitori e le mie sorelle, aveva segnato per la prima volta la mia giovane esistenza. Con la passione e l'irruenza dei miei tredici anni, tornato in albergo, avevo scritto una lettera infuocata, come mai avevo più fatto in seguito.
E questo ricordo affiora di tanto in tanto, lasciandomi un amaro dispiacere: la giovinezza passata e quella vissuta. All'arrivo e alla partenza, né un abbraccio né una stretta di mano. Nulla!
E, come se non bastasse, il «carteggio del nulla» continuò ancora per anni, nella inutile e dolorosa speranza di ricevere, da parte mia, «una frase, una parola, un punto esclamativo». E poi, dopo una lunga agonia, tutto finì – ma ora nemmeno sessant'anni e la nostra età da settantenni basterebbero a raccontare il tutto in modo compassionevole.
«Addio, amica mia.»
Allo snodo ferroviario di Bologna, nel mio scompartimento entrarono tre ragazze che iniziarono a parlare in inglese. Una di loro, dopo aver sistemato gli zaini, fece scivolare la porta scorrevole, non prima che due ragazzi, più grandi di me, mi augurassero buon viaggio con l'espressione precedente.
Quando fu completamente buio la luce si spense; mi sdraiai sulle poltrone e lo stesso accadde a una delle tre ragazze seduta vicino a me. Poi, prima inavvertitamente e poi volontariamente, iniziai ad accarezzarle – prima i piedi, poi le caviglie, poi…
«Dottore, è sempre a dormire; stai anche di prima mattina... sveglia, è arrivata sua moglie e sua sorella!»
La voce squillante dell'ispettore Caterina mi fece saltare sulla sedia, seguita da quella di mia moglie e dal bonario sorriso di mia sorella.
«Lino, come va?»
E come doveva andare…!?
«Mi hanno infilato in una storia assurda e più grande di me!»
«Ma puoi tornare a casa?»
«Credo di no.»
«Andiamo a parlare con Giacinto... ti ho detto, è lui il commissario, è lui che fa le indagini... e meno male!»
«Giacinto chi? Il figlio di Sergio?» esclamò mia sorella.
«Sì... beh... senti...»
Aperta la porta, Giacinto riconobbe mia moglie e mia sorella; si sollevò dalla sedia, prima stringendole la mano e poi girando intorno alla scrivania per un lungo abbraccio con entrambe.
«Giacinto, come stai?» disse mia sorella.
«E noi che dobbiamo fare? E di questo mio fratello, morto di sonno, che ci facciamo?»
«Non dire così, Emilia, ti prego: il morto è un altro – e credo tu lo sappia.»
«Sì, sì... ma lui può tornare a casa?»
«No, mi dispiace, Emilia, non è possibile. È da tanto che il magistrato, il dottor Stefano Viesti, gli ha concesso il permesso di collaborare con noi nelle indagini.»
«Sì, sì, dico... è vero: ha capito benissimo che io non c'entro niente in questa storia, ma lasciarmi andare... non credo.»
«Anzi, io voglio rimanere per dare una mano.»
«È un omicidio efferato, eseguito la scorsa notte, mentre dormivo in camera. Voglio aiutare a fare luce.»
Mia moglie e mia sorella si guardarono, e Anna mi disse:
«Lo avevamo immaginato. Ti abbiamo portato dei cambi e alcune porzioni di pasta al forno.»
«Grazie», esclamò Giacinto, «non dovevate...»
Ma intervenne mia moglie e, insieme, scoppiammo a ridere.
Trascorse mezz'ora e, dopo che le mie donne e il mio avvocato furono andati via, Giacinto mi disse:
«Dottore, andiamo a parlare con la signora del bed and breakfast... dai!»
La villetta della signora Carmela, adibita a bed and breakfast, si trova alla fine di un breve tratto di strada sterrata, immersa in una vegetazione mediterranea di alberi di corbezzolo, tigli, querce e in una maestosa acacia, i cui rami, ricchi di foglie, garantiscono una piacevole ombra naturale all'ingresso della ormai datata costruzione. Un bel tavolo bianco lucido, rotondo, con quattro sedie è posizionato sulla veranda, mentre una grande fioriera colma di gerani diffonde un profumo inebriante.
L'ispettore Stefania suonò il campanello della porta a vetri e, in meno di un minuto, una signora piccola e occhialuta aprì la porta.
«Polizia!» esclamò l'ispettore, mostrando il distintivo.
A me sembrò che la donna avesse un tremito alle labbra; tuttavia, aprì la porta e rimase in silenzio.
«È la signora Laura, la proprietaria?»
«Sì», rispose.
«Siamo qui per farle qualche domanda sul giovane Mustafà Rambaied, che è stato suo ospite!»
«Ma... è mio ospite», replicò con voce tremante.
«Il dottor Mustafà Rambaied è stato ucciso in ospedale la scorsa notte. Possiamo farle qualche domanda? Possiamo entrare?»
La signora Laura sgranarono gli occhi, il viso divenne subito pallido. Mi avvicinai immediatamente a lei, prima che potesse cadere a terra. La accompagnai al divano situato all'ingresso, la aiutai a sdraiarsi, sollevando le gambe su due cuscini e…
«Stefania, per favore, prendi un bicchiere d'acqua per la signora.»
Così, aiutai la signora a sorseggiare dell'acqua, finché il colorito le tornò roseo e, da sola, si rimise seduta.
«Sono il commissario Giacinto Lecari, insieme all'ispettore Stefania e al dottor Traini, che ha trovato il cadavere. Come si sente? È in grado di rispondere a qualche domanda? Altrimenti torneremo in un altro momento.»
«Commissario, prego... mi chieda pure... ucciso... ucciso dove? In ospedale... qui a Randolfi?!»
«Ma è mostruoso!»
«Sì, proprio così!»
«Quando lo ha visto l'ultima volta?»
«Prego, accomodatevi... posso preparare un caffè?»
«No, grazie, signora... grazie.»
«Dicevo, quando lo ha visto l'ultima volta?»
«Ieri, l'altro... credo. Quando, dopo la notte, torna qui e va in camera a dormire; poi, all'ora di pranzo, o gli preparo io qualcosa, oppure esce, va a mangiare fuori e rientra in ospedale.»
«Avete mai parlato tra di voi?»
«Certo», replicò Laura, continuando:
«Mi ha detto che è libanese, di Beirut. Mi ha confidato che vorrebbe vivere ed esercitare la professione medica in Italia. Le ha parlato anche dei suoi genitori: mi ha riferito che il padre è un ingegnere delle costruzioni, che lui è sposato e mi ha perfino mostrato la foto della sua famiglia. Ha aggiunto che, una volta sistematosi bene, avrebbe chiamato moglie e figli qui in Italia.»
«Le ha mai detto di aver avuto qualche discussione con i medici dell'ospedale, con gli infermieri, con le altre figure presenti?»
«No... mi diceva solo che tutti lo guardavano con sufficienza.»
«Le ha mai spiegato perché avesse scelto l'Italia e non, per esempio, la Germania? E se in passato avesse già avuto contatti con gli italiani? Le ha mai dato l'impressione di essere alla ricerca di qualcuno, di qualcosa, di un luogo, di un oggetto… qualcosa di così importante da giustificare la rabbia al punto da spingere qualcuno a sgozzarlo?»
Tutti i nostri occhi erano puntati su Laura, e per la prima volta rimasi ammirato dalle incalzanti domande di Giacinto.
«Commissario, ma è pazzesco. Credo che qui a Randolfi non ci sia mai stato un omicidio, per quanto io ricordi, e tanto meno un caso che coinvolga un giovane professionista.»
«Quindi non ha mai detto altro?»
Quando parlava di Randolfi, una volta mi riferì che aveva espressamente chiesto al Direttore della Cooperativa di essere mandato nel nostro ospedale e nella nostra pediatria.
«E come mai?» chiesi.
Lui mi guardò e gli si inumidirono gli occhi. Poi abbassò lo sguardo… ed io capii che non ne voleva parlare, forse perché non poteva.
Ero partito con tante aspettative, ma torno a casa deluso, anzi, molto deluso. Avevo intrattenuto con Maura un fitto carteggio, dal novembre del 1967 fino al giugno del 1968. Ero poco più che un adolescente, ma quell'incontro del tutto fortuito a Gardone Riviera, durante il Congresso al quale ero andato con i miei genitori e le mie sorelle, aveva segnato per la prima volta la mia giovane esistenza. Con la passione e l'irruenza dei miei tredici anni, tornato in albergo, avevo scritto una lettera infuocata, come mai avevo più fatto in seguito.
E questo ricordo affiora di tanto in tanto, lasciandomi un amaro dispiacere: la giovinezza passata e quella vissuta. All'arrivo e alla partenza, né un abbraccio né una stretta di mano. Nulla!
E, come se non bastasse, il «carteggio del nulla» continuò ancora per anni, nella inutile e dolorosa speranza di ricevere, da parte mia, «una frase, una parola, un punto esclamativo». E poi, dopo una lunga agonia, tutto finì – ma ora nemmeno sessant'anni e la nostra età da settantenni basterebbero a raccontare il tutto in modo compassionevole.
«Addio, amica mia.»
Allo snodo ferroviario di Bologna, nel mio scompartimento entrarono tre ragazze che iniziarono a parlare in inglese. Una di loro, dopo aver sistemato gli zaini, fece scivolare la porta scorrevole, non prima che due ragazzi, più grandi di me, mi augurassero buon viaggio con l'espressione precedente.
Quando fu completamente buio la luce si spense; mi sdraiai sulle poltrone e lo stesso accadde a una delle tre ragazze seduta vicino a me. Poi, prima inavvertitamente e poi volontariamente, iniziai ad accarezzarle – prima i piedi, poi le caviglie, poi…
«Dottore, è sempre a dormire; stai anche di prima mattina... sveglia, è arrivata sua moglie e sua sorella!»
La voce squillante dell'ispettore Caterina mi fece saltare sulla sedia, seguita da quella di mia moglie e dal bonario sorriso di mia sorella.
«Lino, come va?»
E come doveva andare…!?
«Mi hanno infilato in una storia assurda e più grande di me!»
«Ma puoi tornare a casa?»
«Credo di no.»
«Andiamo a parlare con Giacinto... ti ho detto, è lui il commissario, è lui che fa le indagini... e meno male!»
«Giacinto chi? Il figlio di Sergio?» esclamò mia sorella.
«Sì... beh... senti...»
Aperta la porta, Giacinto riconobbe mia moglie e mia sorella; si sollevò dalla sedia, prima stringendole la mano e poi girando intorno alla scrivania per un lungo abbraccio con entrambe.
«Giacinto, come stai?» disse mia sorella.
«E noi che dobbiamo fare? E di questo mio fratello, morto di sonno, che ci facciamo?»
«Non dire così, Emilia, ti prego: il morto è un altro – e credo tu lo sappia.»
«Sì, sì... ma lui può tornare a casa?»
«No, mi dispiace, Emilia, non è possibile. È da tanto che il magistrato, il dottor Stefano Viesti, gli ha concesso il permesso di collaborare con noi nelle indagini.»
«Sì, sì, dico... è vero: ha capito benissimo che io non c'entro niente in questa storia, ma lasciarmi andare... non credo.»
«Anzi, io voglio rimanere per dare una mano.»
«È un omicidio efferato, eseguito la scorsa notte, mentre dormivo in camera. Voglio aiutare a fare luce.»
Mia moglie e mia sorella si guardarono, e Anna mi disse:
«Lo avevamo immaginato. Ti abbiamo portato dei cambi e alcune porzioni di pasta al forno.»
«Grazie», esclamò Giacinto, «non dovevate...»
Ma intervenne mia moglie e, insieme, scoppiammo a ridere.
Trascorse mezz'ora e, dopo che le mie donne e il mio avvocato furono andati via, Giacinto mi disse:
«Dottore, andiamo a parlare con la signora del bed and breakfast... dai!»
La villetta della signora Carmela, adibita a bed and breakfast, si trova alla fine di un breve tratto di strada sterrata, immersa in una vegetazione mediterranea di alberi di corbezzolo, tigli, querce e in una maestosa acacia, i cui rami, ricchi di foglie, garantiscono una piacevole ombra naturale all'ingresso della ormai datata costruzione. Un bel tavolo bianco lucido, rotondo, con quattro sedie è posizionato sulla veranda, mentre una grande fioriera colma di gerani diffonde un profumo inebriante.
L'ispettore Stefania suonò il campanello della porta a vetri e, in meno di un minuto, una signora piccola e occhialuta aprì la porta.
«Polizia!» esclamò l'ispettore, mostrando il distintivo.
A me sembrò che la donna avesse un tremito alle labbra; tuttavia, aprì la porta e rimase in silenzio.
«È la signora Laura, la proprietaria?»
«Sì», rispose.
«Siamo qui per farle qualche domanda sul giovane Mustafà Rambaied, che è stato suo ospite!»
«Ma... è mio ospite», replicò con voce tremante.
«Il dottor Mustafà Rambaied è stato ucciso in ospedale la scorsa notte. Possiamo farle qualche domanda? Possiamo entrare?»
La signora Laura sgranarono gli occhi, il viso divenne subito pallido. Mi avvicinai immediatamente a lei, prima che potesse cadere a terra. La accompagnai al divano situato all'ingresso, la aiutai a sdraiarsi, sollevando le gambe su due cuscini e…
«Stefania, per favore, prendi un bicchiere d'acqua per la signora.»
Così, aiutai la signora a sorseggiare dell'acqua, finché il colorito le tornò roseo e, da sola, si rimise seduta.
«Sono il commissario Giacinto Lecari, insieme all'ispettore Stefania e al dottor Traini, che ha trovato il cadavere. Come si sente? È in grado di rispondere a qualche domanda? Altrimenti torneremo in un altro momento.»
«Commissario, prego... mi chieda pure... ucciso... ucciso dove? In ospedale... qui a Randolfi?!»
«Ma è mostruoso!»
«Sì, proprio così!»
«Quando lo ha visto l'ultima volta?»
«Prego, accomodatevi... posso preparare un caffè?»
«No, grazie, signora... grazie.»
«Dicevo, quando lo ha visto l'ultima volta?»
«Ieri, l'altro... credo. Quando, dopo la notte, torna qui e va in camera a dormire; poi, all'ora di pranzo, o gli preparo io qualcosa, oppure esce, va a mangiare fuori e rientra in ospedale.»
«Avete mai parlato tra di voi?»
«Certo», replicò Laura, continuando:
«Mi ha detto che è libanese, di Beirut. Mi ha confidato che vorrebbe vivere ed esercitare la professione medica in Italia. Le ha parlato anche dei suoi genitori: mi ha riferito che il padre è un ingegnere delle costruzioni, che lui è sposato e mi ha perfino mostrato la foto della sua famiglia. Ha aggiunto che, una volta sistematosi bene, avrebbe chiamato moglie e figli qui in Italia.»
«Le ha mai detto di aver avuto qualche discussione con i medici dell'ospedale, con gli infermieri, con le altre figure presenti?»
«No... mi diceva solo che tutti lo guardavano con sufficienza.»
«Le ha mai spiegato perché avesse scelto l'Italia e non, per esempio, la Germania? E se in passato avesse già avuto contatti con gli italiani? Le ha mai dato l'impressione di essere alla ricerca di qualcuno, di qualcosa, di un luogo, di un oggetto… qualcosa di così importante da giustificare la rabbia al punto da spingere qualcuno a sgozzarlo?»
Tutti i nostri occhi erano puntati su Laura, e per la prima volta rimasi ammirato dalle incalzanti domande di Giacinto.
«Commissario, ma è pazzesco. Credo che qui a Randolfi non ci sia mai stato un omicidio, per quanto io ricordi, e tanto meno un caso che coinvolga un giovane professionista.»
«Quindi non ha mai detto altro?»
Quando parlava di Randolfi, una volta mi riferì che aveva espressamente chiesto al Direttore della Cooperativa di essere mandato nel nostro ospedale e nella nostra pediatria.
«E come mai?» chiesi.
Lui mi guardò e gli si inumidirono gli occhi. Poi abbassò lo sguardo… ed io capii che non ne voleva parlare, forse perché non poteva.