Morte di un gettonista
Capitolo Quinto
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 2 gennaio 2025
Nel sollevarmi dal cadavere ho una vertigine.
Rebecca mi afferra il braccio sinistro, e con il destro mi appoggio alla parete.
Subito a seguire un violento conato di vomito, mentre il naso si impregna dell'odore dolciastro del sangue. Rebecca mi guarda sconvolta, non riesce a proferire una parola.
Il silenzio è profondo, carico di angoscia.
Non realizzo a pieno cosa sia successo.
Poi mi esce la voce, roca e impastata: «Mustafà è morto, lo hanno ucciso; è un omicidio!»
«Rebecca, ti rendi conto di cosa è successo? È pazzesco! Qui, in ospedale... in pediatria...»
A questo punto, la caposala, confortata evidentemente da un mio ritrovato barlume di lucidità, dice: «Dottore... e ora... che facciamo?»
«Che facciamo? Dobbiamo chiamare la Polizia, e subito.»
«Dottore, vada lei a telefonare, io non ce la faccio.»
«Rebecca, stammi vicino, sono sconvolto quanto te. Non ho mai visto un uomo ammazzato.»
E mentre pronuncio queste parole, ci raggiunge la collega ginecologa.
Entra nel Nido e osserva atterrita il cadavere scomposto di Mustafà. Non dice niente, si allontana rapidamente dopo avermi lanciato uno sguardo interrogativo.
Ho la fronte imperlata di sudore. Mi viene da vomitare, ma devo tenere la mente lucida.
Sono circa le tre di notte. Vado in camera, accendo il cellulare che era in carica e faccio il 113.
Ci mettono un po' a rispondere, fino a quando: «Polizia?»
«Sì, polizia...»
«Chi è al telefono?»
«Buongiorno, agente. Sono il dottor Pasquale Traini dall'ospedale di Randolfi. Sono il pediatra gettonista di guardia. C'è il cadavere del giovane collega Mustafà Rambaied, sulla branda, con la gola squarciata.»
«Come ha detto che si chiama lei?»
«Pasquale Traini.»
«Il suo collega si chiama?»
«Mustafà Rambaied. È libanese ed è anche lui gettonista.»
Dall'altra parte, un silenzio imbarazzato.
«Dottore... ma è un omicidio?»
«Sì, è proprio un omicidio! Venite, per favore... venite subito.»
«Un momento, chiamo il Dirigente.»
Sento la cornetta sbattere sulla scrivania e, tempo un minuto — durante il quale percepisco le voci di sottofondo che si accavallano sempre di più — arriva una voce giovane e tesa.
«Buongiorno. Sono il dottor Giacinto Lecari, con chi parlo?»
«Sono Pasquale Traini, il pediatra gettonista di guardia presso la pediatria dell'ospedale di Randolfi... c'è stato un omicidio!»
«Dottore... ma è sicuro?»
«Dottor Lecari, per favore, sono sveglio, sobrio e vigile. Per favore, venite. Qui tra qualche minuto arriveranno da tutti i reparti e non solo...»
«Ok, arriviamo subito!»
La comunicazione si chiude. Rebecca mi osserva. Mi sento in parte sollevato e confortato dalla telefonata, anche se lentamente cominciano ad affiorare tutti i miei dubbi, i miei sospetti, le mie paure. Mi viene voglia di chiamare mia moglie Anna, il mio avvocato Mariano, mia sorella Emilia, ma sento una pacca sulla spalla e vedo le due ostetriche della sala parto.
«Dottore, ma che succede?»
Si affacciano nel Nido e guardano il cadavere.
«Lei lo ha trovato?»
«Lo ha trovato Rebecca e mi ha chiamato subito.»
«Dottore... ma è Mustafà! Non è che si sono sbagliati?»
«In che senso?»
«Magari non era Mustafà che dovevano uccidere?»
Di nuovo un pugno allo stomaco. Non so... tra poco arriva la polizia.
«Già, la polizia... ha fatto bene. È la legge!»
«Ma vi rendete conto? Tra qualche minuto, non solo la pediatria sarà messa a soqquadro, ma tutto l'ospedale. Prepariamoci. Sta per scoppiare il finimondo!»
E vedo arrivare un nugolo di infermieri che si materializzano dal nulla, che non conosco. Li vedo per la prima volta. Molti di loro mi guardano di sbieco.
«E vuoi vedere che pensano che sia stato io a tagliare la gola a Mustafà?!»
«State tutti ad inquinare la scena del crimine!» urlo. «Almeno non entrate nel Nido e non toccate niente!»
E che urli, al muro! Oramai nel reparto, da non esserci nessuno, si è riempito fino all'inverosimile.
«Dottore... dottore...» e vedo un reporter con la telecamera. «Pure voi siete arrivati... e che cazz!»
Corro via nel bagno, mi chiudo a chiave e inizio a vomitare con conati violenti. Non ce la faccio neanche a stare in ginocchio, mi sdraio sul pavimento.
«Cazzo... mi sento male. Ma chi cazzo me l'ha fatta fare di venire in questo posto di merda?!»
Quattro e poi cinque conati, solo succo gastrico. Mi poggio alla parete del bagno con tutte le spalle e la testa che mi ciondola. Chiudo gli occhi. Sono sfinito, vorrei dormire, vorrei sparire, vorrei... ma sbattono i pugni sulla porta del cesso!
«Dottore, apra! Apra! Polizia!»
Mi sollevo, apro la porta. Ho lo sguardo annebbiato. Mi si para davanti un giovane con la camicia sbottonata e uno sguardo truce, ma impostato.
«È lei il dottor Traini?»
Lo guardo negli occhi mentre lui mi scruta dall'alto in basso e, dalla sua espressione soddisfatta, mi sembra abbia già realizzato: è lui, sì, è lui il colpevole, è lui l'assassino.
«Giacinto!» urlo. «Sei tu?»
«Sì, sono io!»
«Giacinto, sono il tuo ex pediatra, sono Pasquale, l'amico di tuo padre!»
«Dottore... come sta?»
«E come devo stare? Non mi dire che hai già pensato che sono stato io!»
«Giacinto, non fare il coglione, non farmi incazzare!»
Vedo l'espressione dell'ispettore che accompagna Giacinto, basita.
«Dottore... ma che è successo?»
«E non vedi? E tu? Sapevo che eri a Roma per il corso in polizia.»
«Sì... sì... e poi mi hanno mandato qui. È il mio primo incarico, la mia prima destinazione.»
«Cazzo... il primo incarico! Ma qui è un macello, ti rendi conto che qui è proprio un macello?»
«Vieni, dottore,» mi dice. Mi stringe la mano, mi abbraccia come un bambino in cerca di aiuto e conforto, e usciamo dal bagno.
Rebecca mi afferra il braccio sinistro, e con il destro mi appoggio alla parete.
Subito a seguire un violento conato di vomito, mentre il naso si impregna dell'odore dolciastro del sangue. Rebecca mi guarda sconvolta, non riesce a proferire una parola.
Il silenzio è profondo, carico di angoscia.
Non realizzo a pieno cosa sia successo.
Poi mi esce la voce, roca e impastata: «Mustafà è morto, lo hanno ucciso; è un omicidio!»
«Rebecca, ti rendi conto di cosa è successo? È pazzesco! Qui, in ospedale... in pediatria...»
A questo punto, la caposala, confortata evidentemente da un mio ritrovato barlume di lucidità, dice: «Dottore... e ora... che facciamo?»
«Che facciamo? Dobbiamo chiamare la Polizia, e subito.»
«Dottore, vada lei a telefonare, io non ce la faccio.»
«Rebecca, stammi vicino, sono sconvolto quanto te. Non ho mai visto un uomo ammazzato.»
E mentre pronuncio queste parole, ci raggiunge la collega ginecologa.
Entra nel Nido e osserva atterrita il cadavere scomposto di Mustafà. Non dice niente, si allontana rapidamente dopo avermi lanciato uno sguardo interrogativo.
Ho la fronte imperlata di sudore. Mi viene da vomitare, ma devo tenere la mente lucida.
Sono circa le tre di notte. Vado in camera, accendo il cellulare che era in carica e faccio il 113.
Ci mettono un po' a rispondere, fino a quando: «Polizia?»
«Sì, polizia...»
«Chi è al telefono?»
«Buongiorno, agente. Sono il dottor Pasquale Traini dall'ospedale di Randolfi. Sono il pediatra gettonista di guardia. C'è il cadavere del giovane collega Mustafà Rambaied, sulla branda, con la gola squarciata.»
«Come ha detto che si chiama lei?»
«Pasquale Traini.»
«Il suo collega si chiama?»
«Mustafà Rambaied. È libanese ed è anche lui gettonista.»
Dall'altra parte, un silenzio imbarazzato.
«Dottore... ma è un omicidio?»
«Sì, è proprio un omicidio! Venite, per favore... venite subito.»
«Un momento, chiamo il Dirigente.»
Sento la cornetta sbattere sulla scrivania e, tempo un minuto — durante il quale percepisco le voci di sottofondo che si accavallano sempre di più — arriva una voce giovane e tesa.
«Buongiorno. Sono il dottor Giacinto Lecari, con chi parlo?»
«Sono Pasquale Traini, il pediatra gettonista di guardia presso la pediatria dell'ospedale di Randolfi... c'è stato un omicidio!»
«Dottore... ma è sicuro?»
«Dottor Lecari, per favore, sono sveglio, sobrio e vigile. Per favore, venite. Qui tra qualche minuto arriveranno da tutti i reparti e non solo...»
«Ok, arriviamo subito!»
La comunicazione si chiude. Rebecca mi osserva. Mi sento in parte sollevato e confortato dalla telefonata, anche se lentamente cominciano ad affiorare tutti i miei dubbi, i miei sospetti, le mie paure. Mi viene voglia di chiamare mia moglie Anna, il mio avvocato Mariano, mia sorella Emilia, ma sento una pacca sulla spalla e vedo le due ostetriche della sala parto.
«Dottore, ma che succede?»
Si affacciano nel Nido e guardano il cadavere.
«Lei lo ha trovato?»
«Lo ha trovato Rebecca e mi ha chiamato subito.»
«Dottore... ma è Mustafà! Non è che si sono sbagliati?»
«In che senso?»
«Magari non era Mustafà che dovevano uccidere?»
Di nuovo un pugno allo stomaco. Non so... tra poco arriva la polizia.
«Già, la polizia... ha fatto bene. È la legge!»
«Ma vi rendete conto? Tra qualche minuto, non solo la pediatria sarà messa a soqquadro, ma tutto l'ospedale. Prepariamoci. Sta per scoppiare il finimondo!»
E vedo arrivare un nugolo di infermieri che si materializzano dal nulla, che non conosco. Li vedo per la prima volta. Molti di loro mi guardano di sbieco.
«E vuoi vedere che pensano che sia stato io a tagliare la gola a Mustafà?!»
«State tutti ad inquinare la scena del crimine!» urlo. «Almeno non entrate nel Nido e non toccate niente!»
E che urli, al muro! Oramai nel reparto, da non esserci nessuno, si è riempito fino all'inverosimile.
«Dottore... dottore...» e vedo un reporter con la telecamera. «Pure voi siete arrivati... e che cazz!»
Corro via nel bagno, mi chiudo a chiave e inizio a vomitare con conati violenti. Non ce la faccio neanche a stare in ginocchio, mi sdraio sul pavimento.
«Cazzo... mi sento male. Ma chi cazzo me l'ha fatta fare di venire in questo posto di merda?!»
Quattro e poi cinque conati, solo succo gastrico. Mi poggio alla parete del bagno con tutte le spalle e la testa che mi ciondola. Chiudo gli occhi. Sono sfinito, vorrei dormire, vorrei sparire, vorrei... ma sbattono i pugni sulla porta del cesso!
«Dottore, apra! Apra! Polizia!»
Mi sollevo, apro la porta. Ho lo sguardo annebbiato. Mi si para davanti un giovane con la camicia sbottonata e uno sguardo truce, ma impostato.
«È lei il dottor Traini?»
Lo guardo negli occhi mentre lui mi scruta dall'alto in basso e, dalla sua espressione soddisfatta, mi sembra abbia già realizzato: è lui, sì, è lui il colpevole, è lui l'assassino.
«Giacinto!» urlo. «Sei tu?»
«Sì, sono io!»
«Giacinto, sono il tuo ex pediatra, sono Pasquale, l'amico di tuo padre!»
«Dottore... come sta?»
«E come devo stare? Non mi dire che hai già pensato che sono stato io!»
«Giacinto, non fare il coglione, non farmi incazzare!»
Vedo l'espressione dell'ispettore che accompagna Giacinto, basita.
«Dottore... ma che è successo?»
«E non vedi? E tu? Sapevo che eri a Roma per il corso in polizia.»
«Sì... sì... e poi mi hanno mandato qui. È il mio primo incarico, la mia prima destinazione.»
«Cazzo... il primo incarico! Ma qui è un macello, ti rendi conto che qui è proprio un macello?»
«Vieni, dottore,» mi dice. Mi stringe la mano, mi abbraccia come un bambino in cerca di aiuto e conforto, e usciamo dal bagno.