Capitolo sedicesimo

L'idea di andare dal dottor Viesti mi innervosisce, e non poco, tanto che guardo Giacinto e lui, fra le righe, mi manda questa esclamazione: «E a questo mo' che gli dico!?»
Ed io: «Oggi è solo il secondo giorno di indagini... neanche Hercule Poirot risolve un caso in 24 ore!»
E questi rimangono messaggi non detti, solo pensati, in sostanza condivisi.
In auto l'aria che si respira è pesante.
Quando... squilla il cellulare e Giacinto risponde in viva voce.
«Sono il Questore... siamo riusciti a rintracciare, tramite l'Interpol, i genitori del dottor Rambaied. La notizia è stata data alla madre, perché il padre è ricoverato in ospedale. Ha avuto un infarto tre giorni fa.
Lei lo assiste e, nonostante questa terribile notizia, non vuole lasciarlo.
Devi andare tu a trovarli.»
«Sì, ma avrò bisogno di un interprete di cui mi possa fidare.»
E si chiude la comunicazione.
«Giacinto, ho un carissimo amico a Glielfi, che è nato in Marocco e parla bene sia italiano che arabo.
Tra l'altro, lui lo fa per lavoro: collabora con Carabinieri, Polizia, Magistratura, nella traduzione di intercettazioni e anche in presenza.
Si chiama Abdelilah Satir.»
Si sono fatte le dodici di questo caldo sabato di luglio e raggiungiamo la Procura, dove ci aspetta Viesti.
La notizia di una trasferta in Medio Oriente ha dato a tutti noi una sferzata di novità ed è proprio Giacinto che esclama:
«Ragazzi, dobbiamo andare a Beirut e poi, già che ci siamo, voliamo anche ad Atene... un pizzico di fortuna non guasterebbe... che ne dite?
Magari incrociamo qualcuno all'Università che lo conosceva, un amico, un'amica... e poi in Clinica Pediatrica... qualcuno che si ricorda di Mustafà, ci racconta di lui, del suo carattere, delle sue abitudini, dei suoi vizi...»
«Dottor Viesti, buongiorno.»
«Buongiorno a voi.»
Ed in pochi minuti Giacinto riferisce tutto al magistrato.
Lui ascolta con attenzione e prova a formulare una sua ipotesi.
«Non è materialmente possibile, perché non ci sono i tempi, che Mustafà abbia avuto il tempo qui a Randolfi di farsi dei nemici, anche alla luce di ciò che lei, Commissario, ha raccontato.
Dovete doverosamente interrogare i medici degli altri reparti, anche se sono convinto che l'omicidio parta da lontano.
Penso non solo a Marsegno, e dovete andare lì a parlare con i medici e non solo, ma soprattutto in Libano, a Beirut.
È lì che questo ragazzo ha fatto qualcosa e le conseguenze se le è portate qui in Italia, a Randolfi.
Che ne pensa, Commissario?»
Viesti ha un'espressione molto dura e molto convinta.
«Ha ragione, dottor Viesti» fa il Commissario, ed io, nell'annuire, ricordo che sono stato a Marsegno.
«Se posso, dottor Viesti, sono stati proprio gli infermieri ad avvisarmi di soppesare le parole, di dare sempre del lei ai genitori dei bambini e di fidarmi di tutto lo staff infermieristico, ascoltando attentamente e prudentemente i loro consigli.
Ed aggiungo: un infermiere mi disse... "Dottore, prima di fare la diagnosi ad alta voce alla presenza del genitore del bambino, guardi sempre chi di noi è presente.
Qui, se sbaglia, non le rubano la macchina... le sparano."»
«Ha ragione il nostro pediatra pensionato. Ha ragione.
Prima di andare a Beirut, andate a Marsegno e tenete occhi e orecchie aperti.»
«Grazie, dottore» dice Giacinto.
«Ci attiviamo subito.»
È più facile a dirsi che a farsi.
«Amici, abbiamo tre strade da battere:
Interrogare i medici e gli infermieri dell'ospedale.
Metterci in macchina e andare a Marsegno.
Prendere un aereo e andare a Beirut.
E senza dimenticare che tu, dottore, devi contattare Satir, l'interprete.»
«Già...» rispondo.
«Io inizierei dal mettere a tacere la fame.
Stanotte mi hanno chiamato per due visite: ora, oltre la fame, ho anche sonno.»
«Allora andiamo al bar di Maurino. Che ne dite?»
E tutti annuiamo convinti.
«Dottore, a te la parola.»
Siamo a tavola e, questa volta, l'aria è immobile.
Cerchiamo l'ombra come gli assetati cercano una fonte d'acqua.
Prima spostiamo le sedie, poi spostiamo il tavolo e, mentre spostiamo le sedie dal sole all'ombra, altre sedie si ritrovano al sole.
Nonostante le alte querce ed un enorme ombrellone che copre la quasi totalità della grande seduta fuori dal bar di Maurino, i raggi del sole di luglio non conoscono ostacoli.
Ci raggiungono ovunque, penetrando in tutti i pori, trapanando il cranio e ritrovando una via più facile nei crani lucidi dal «patacchio ippocratico».
«Buongiorno!» esclama il gaudente Maurino.
«Cosa vi servo?
Ho preparato una parmigiana di zucchine buonissima, ve la consiglio... innaffiata da un vinello bianco ghiacciato.
E allora?»
«Va bene, Maurino... e parmigiana sia!»
«Maurino, per me acqua frizzante ghiacciata... sono astemio.»
«Dottore, dottore, pensionato e con un grosso difetto: astemio!!
Che brutta parola... astemio!»
E tutti ci sganasciamo in una risata esplosiva e fragorosa.
«Allora, Pasquale... da chi e da dove iniziamo?»
Per me è una responsabilità.
«Caro Giacinto, hai sei ispettori: tre femminucce e tre maschietti, poi naturalmente ci sei tu e poi ci sono io, che mi definirei "carne aggiunta".
Per cui facciamo ad estrazione: due vanno giù in Calabria, due rimangono qui ad interrogare tutti, come ha suggerito anche il Questore, e due vanno in Libano.
A questi ultimi due bisogna aggiungere Satir.»
«Credo che la cosa migliore sia che decida io» dice il Commissario.
«Ora abbiamo tutti bisogno di una pausa post-parmigiana.
Il bianco è sceso a meraviglia ed ora io, almeno, comincio a sentirne gli effetti.
Io vado a stendermi.
Andate a casa anche voi.
Vi chiamo stasera e facciamo un altro meeting, anche perché domani è domenica.
A dopo.»