Morte di un gettonista
Capitolo Terzo
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 19 dicembre 2024
Così come è comparso, Mustafà si è volatilizzato.
Rimango perplesso dal suo comportamento. Tutto ciò che mi ero ripromesso: conoscerlo, parlarci, vederlo visitare, rimane del tutto sospeso.
Le raccomandazioni che mi aveva fatto Furio sono rimaste inevase. E poi il fatto che non sapesse, se non poche parole della lingua italiana... mah, dubito. Le sue espressioni, le sue reticenze, il far finta di non aver capito le domande o, piuttosto, il farsele scivolare addosso. Magari è solo una mia impressione.
«Buon pomeriggio, dottore!»
Mi giro di scatto e compare una signora in camice bianco.
«Buon pomeriggio. Sono il dottor Pasquale Traini, il pediatra gettonista.»
«Io sono Rebecca Papa e sono la caposala della Pediatria.»
«Piacere! Le chiedo qualche minuto: vado in camera a posare lo zaino e a indossare il camice.»
La stanza è luminosa, con un letto a branda e lenzuola pulite. C'è una sedia dove poggio lo zaino, un tavolino in plastica verde dove apro il libro che consulterò e un bagno dignitoso.
"Tutto bene," penso. Sistemo il necessario e raggiungo la signora Papa.
«Allora, dottore... che mi dice?»
«Signora, avremo modo, e avrò il piacere, di raccontarle la mia storia di pediatra. Tuttavia ora sono io a doverle fare qualche domanda. Il mio ingresso qui in Pediatria è stato, diciamo, effervescente.»
«Lo avevo immaginato e sentito» risponde. «E ho preferito non essere presente.»
«Ma la collega è sempre così? Lo fa con tutti? Non risparmia nessuno?»
«Sì, è proprio così. Ce l'ha con tutti. Da quando è arrivato Mustafà, la sua condizione è precipitata. Non voglio dire che lo odia, ma non perde occasione per rimproverarlo, umiliarlo. E Mustafà, con la santa pazienza, fa finta di niente... o meglio, fa finta di non capire.»
«Ma da quanti giorni è qui il libanese?»
«Circa una settimana. Lui, in realtà, non dice niente, non visita, osserva solo. Anche se, in più di un'occasione, l'ho sorpreso con lo sguardo completamente assente.»
«E quindi che idea si è fatta di lui?»
«Dottore, io non mi sono fatta nessuna idea. Non capisco solo a che titolo lui sia presente. Non lo capisco proprio. Sono riuscita a scambiare con lui poche parole, forse perché ha difficoltà con la nostra lingua. Tuttavia, non è un medico ciarliero. Non fa domande, osserva senza chiedere nulla. Né dà l'impressione di sapere. Chissà, forse perché è orientale!»
«Sì, magari è questa la spiegazione.»
«Tuttavia, a me - dico -, ha fatto una buona impressione. Quando tornerà, proveremo a fargli qualche altra domanda. Anzi, dimenticavo: mi ha fatto vedere la foto della sua famiglia.»
«Famiglia? Così giovane ha già messo su famiglia?»
«Sì. Moglie e due figli!»
«Cazz...» esclama Rebecca.
«Adesso, dottore, venga: le faccio vedere il reparto, che è desolatamente vuoto, così come è vuoto il reparto di ostetricia. E poi le mostro la sala parto.»
«Ok, fammi strada.»
Rebecca ha dimenticato di menzionare il Nido: una cameretta deliziosa con due incubatrici, vuote naturalmente, e una branda.
«Qui dorme Mustafà,» mi dice l'infermiera.
«Venga.» Spalanca una grande porta ed entriamo in sala parto.
È vuota, ma ordinata, con tutti i ferri chirurgici in bella mostra, con il lettino ostetrico coperto da un telo verde, dove anche l'odore sa di pulizia e di sterile.
«Perfetto,» dico. «Tutto aspetta solo di essere utilizzato.»
«Eh sì,» mi dice Rebecca, «ma, come credo sappia, da un momento all'altro può partire tutto e subito.»
«Già,» rispondo. «Ha ragione.»
Torniamo in infermeria. Sono le 15:45, ma di Mustafà niente. Dove è andato a finire!?
Rebecca si allontana ed io rimango solo, in questo pomeriggio di luglio. L'ambiente è ben climatizzato eppure, dentro di me, comincia a serpeggiare una strana ed inspiegabile inquietudine che mi provoca calore. Molto probabilmente dipende da questo silenzio totale. Anche le finestre si affacciano sul retro dell'ospedale, dove non vedo neanche un'auto parcheggiata.
Allora mi alzo e mi dirigo lungo il corridoio per scambiare due parole con la signora ostetrica: sparita anche lei. È un doppio reparto fantasma!
Decido di chiamare Furio. Risponde al terzo squillo:
«Furio, sono Pasquale.»
«Sì, ciao. Che mi dici?»
«E che ti devo dire?! Qui dove mi hai mandato, e dove sono arrivato da un paio d'ore, è tutto strano.»
«In che senso?»
«I reparti di Pediatria e di Ostetricia sono desolatamente vuoti. Nessuna richiesta di consulenza dal pronto soccorso… e fin qui, ci sta. Ma il fatto più curioso è che ho incontrato e scambiato qualche parola con la collega Erika Altomonte, cui ho dato il cambio.»
«E allora?»
«Ha dato fiato alla bocca e ha vomitato parole irripetibili contro di me, contro Mustafà, che ho conosciuto, contro il suo primario e contro di te, qualificandoti come "delinquente"!».
«Sì, sì, la conosco… tranquillo. È una dottoressa instabile, non ha freni inibitori ed è maniaco-depressiva.»
«Va bene,» rispondo. «Se lo dici tu…»
«E di Mustafà che ne pensi? Che impressione ti ha fatto?»
«Mustafà? Non l'ho capito. È sfuggente… sì, questo è il termine corretto: sfuggente.»
«Va bene. Tienimi aggiornato.»
E chiude la comunicazione.
Rimango perplesso dal suo comportamento. Tutto ciò che mi ero ripromesso: conoscerlo, parlarci, vederlo visitare, rimane del tutto sospeso.
Le raccomandazioni che mi aveva fatto Furio sono rimaste inevase. E poi il fatto che non sapesse, se non poche parole della lingua italiana... mah, dubito. Le sue espressioni, le sue reticenze, il far finta di non aver capito le domande o, piuttosto, il farsele scivolare addosso. Magari è solo una mia impressione.
«Buon pomeriggio, dottore!»
Mi giro di scatto e compare una signora in camice bianco.
«Buon pomeriggio. Sono il dottor Pasquale Traini, il pediatra gettonista.»
«Io sono Rebecca Papa e sono la caposala della Pediatria.»
«Piacere! Le chiedo qualche minuto: vado in camera a posare lo zaino e a indossare il camice.»
La stanza è luminosa, con un letto a branda e lenzuola pulite. C'è una sedia dove poggio lo zaino, un tavolino in plastica verde dove apro il libro che consulterò e un bagno dignitoso.
"Tutto bene," penso. Sistemo il necessario e raggiungo la signora Papa.
«Allora, dottore... che mi dice?»
«Signora, avremo modo, e avrò il piacere, di raccontarle la mia storia di pediatra. Tuttavia ora sono io a doverle fare qualche domanda. Il mio ingresso qui in Pediatria è stato, diciamo, effervescente.»
«Lo avevo immaginato e sentito» risponde. «E ho preferito non essere presente.»
«Ma la collega è sempre così? Lo fa con tutti? Non risparmia nessuno?»
«Sì, è proprio così. Ce l'ha con tutti. Da quando è arrivato Mustafà, la sua condizione è precipitata. Non voglio dire che lo odia, ma non perde occasione per rimproverarlo, umiliarlo. E Mustafà, con la santa pazienza, fa finta di niente... o meglio, fa finta di non capire.»
«Ma da quanti giorni è qui il libanese?»
«Circa una settimana. Lui, in realtà, non dice niente, non visita, osserva solo. Anche se, in più di un'occasione, l'ho sorpreso con lo sguardo completamente assente.»
«E quindi che idea si è fatta di lui?»
«Dottore, io non mi sono fatta nessuna idea. Non capisco solo a che titolo lui sia presente. Non lo capisco proprio. Sono riuscita a scambiare con lui poche parole, forse perché ha difficoltà con la nostra lingua. Tuttavia, non è un medico ciarliero. Non fa domande, osserva senza chiedere nulla. Né dà l'impressione di sapere. Chissà, forse perché è orientale!»
«Sì, magari è questa la spiegazione.»
«Tuttavia, a me - dico -, ha fatto una buona impressione. Quando tornerà, proveremo a fargli qualche altra domanda. Anzi, dimenticavo: mi ha fatto vedere la foto della sua famiglia.»
«Famiglia? Così giovane ha già messo su famiglia?»
«Sì. Moglie e due figli!»
«Cazz...» esclama Rebecca.
«Adesso, dottore, venga: le faccio vedere il reparto, che è desolatamente vuoto, così come è vuoto il reparto di ostetricia. E poi le mostro la sala parto.»
«Ok, fammi strada.»
Rebecca ha dimenticato di menzionare il Nido: una cameretta deliziosa con due incubatrici, vuote naturalmente, e una branda.
«Qui dorme Mustafà,» mi dice l'infermiera.
«Venga.» Spalanca una grande porta ed entriamo in sala parto.
È vuota, ma ordinata, con tutti i ferri chirurgici in bella mostra, con il lettino ostetrico coperto da un telo verde, dove anche l'odore sa di pulizia e di sterile.
«Perfetto,» dico. «Tutto aspetta solo di essere utilizzato.»
«Eh sì,» mi dice Rebecca, «ma, come credo sappia, da un momento all'altro può partire tutto e subito.»
«Già,» rispondo. «Ha ragione.»
Torniamo in infermeria. Sono le 15:45, ma di Mustafà niente. Dove è andato a finire!?
Rebecca si allontana ed io rimango solo, in questo pomeriggio di luglio. L'ambiente è ben climatizzato eppure, dentro di me, comincia a serpeggiare una strana ed inspiegabile inquietudine che mi provoca calore. Molto probabilmente dipende da questo silenzio totale. Anche le finestre si affacciano sul retro dell'ospedale, dove non vedo neanche un'auto parcheggiata.
Allora mi alzo e mi dirigo lungo il corridoio per scambiare due parole con la signora ostetrica: sparita anche lei. È un doppio reparto fantasma!
Decido di chiamare Furio. Risponde al terzo squillo:
«Furio, sono Pasquale.»
«Sì, ciao. Che mi dici?»
«E che ti devo dire?! Qui dove mi hai mandato, e dove sono arrivato da un paio d'ore, è tutto strano.»
«In che senso?»
«I reparti di Pediatria e di Ostetricia sono desolatamente vuoti. Nessuna richiesta di consulenza dal pronto soccorso… e fin qui, ci sta. Ma il fatto più curioso è che ho incontrato e scambiato qualche parola con la collega Erika Altomonte, cui ho dato il cambio.»
«E allora?»
«Ha dato fiato alla bocca e ha vomitato parole irripetibili contro di me, contro Mustafà, che ho conosciuto, contro il suo primario e contro di te, qualificandoti come "delinquente"!».
«Sì, sì, la conosco… tranquillo. È una dottoressa instabile, non ha freni inibitori ed è maniaco-depressiva.»
«Va bene,» rispondo. «Se lo dici tu…»
«E di Mustafà che ne pensi? Che impressione ti ha fatto?»
«Mustafà? Non l'ho capito. È sfuggente… sì, questo è il termine corretto: sfuggente.»
«Va bene. Tienimi aggiornato.»
E chiude la comunicazione.