
Morte di un gettonista
Capitolo undicesimo
Giallo a puntate firmato dal dott. Antonio Marzano
giovedì 13 febbraio 2025
Prima di salire in reparto, mi fermo nel bar. La signora mi guarda preoccupata. Scelgo un bel panino con mozzarella e prosciutto, una bottiglia di acqua frizzante e, mentre tiro fuori una banconota da 20 euro dal portafoglio: «Come stai?»
«Dottore, ho bisogno di riposare, questa di oggi è una storia pazzesca!»
«Hai ragione...»
Prendo il resto e vado via.
Con un solo cenno della mano saluto l'infermiera e mi fiondo in camera.
E se da una parte mi auguro di non essere chiamato e di poter dormire per tutta la notte, dall'altra mi prende un senso di solitudine profonda. Un vuoto di antica memoria che mi ha sempre fatto compagnia.
Un proverbio antico recita: "Cogito ergo sum". Per me è sempre valso il detto: "Visita et ego vivere".
Poi mi chiedo...
Non sono stati sufficienti tutti gli anni in cui ho visitato i bambini per essere pago di aver fatto il mio dovere? Dovevo anche fare il gettonista?! Me la sono cercata...
Mi squilla il cellulare:
«Pasquale, come stai? Domani mattina vengo da te!»
«Ora sono in ospedale. Domani mattina dovrei smontare alle 8 e non so chi verrà.»
«Prima di partire ti chiamo, così mi dici dove devo raggiungerti.»
«Grazie, Mariano.»
«A domani.»
Mi sento risollevato: verrà Mariano, il mio amico avvocato. Lui è civilista, ma ho comunque bisogno della sua presenza.
Trilla di nuovo il telefono:
«Lino, sono io. Cerca di dormire. Domani vengo da te. Vengo con Emilia.»
«Brava, Anna. A domani.»
Bene, penso. Domani arriva anche mia moglie e mia sorella.
Gli occhi si chiudono, guardo l'orologio, sono le 21:15.
Mi faccio il segno della croce, come nei momenti più difficili della mia vita, e mi addormento.
La luce di un mattino luminoso di luglio inonda la camera.
Mi affaccio alla finestra: il cielo è limpido, un refolo di vento mi accarezza il viso. Un vociare festoso di bambini mi raggiunge e mi intenerisce nel profondo. C'è sempre il giorno dopo, ed è un giorno che spero porti la risoluzione della triste vicenda.
Il sonno è stato ristoratore, ma subito dopo aver assaporato il piacere del risveglio, ripiombo nell'angoscia dell'accaduto.
Mi prendo tutto il tempo per adempiere alle mie funzioni del mattino.
Fresco e profumato, apro la porta e, senza camice, raggiungo l'infermeria.
L'incubatore è vuoto. Di certo Giorgio è stato dato alla mamma per essere attaccato al seno.
Sento un vociare raggiungermi, seguo la sua scia e raggiungo la camera nel reparto di ostetricia dove riposa serena la giovane signora Mafalda.
La sua è un'espressione felice.
Giorgio è attaccato al suo seno sinistro e, dal poppare forte, ho la netta impressione che la nutrice abbia, a distanza di meno di 24 ore dalla nascita, non solo il colostro, ma già un inizio di montata lattea.
«Buongiorno!» esclamo.
«Buongiorno, dottore!»
«Sono Giovanna. Ho dato il cambio a Rebecca alle ore 7.»
«Perfetto, signora Giovanna.»
«Ho medicato il moncone ombelicale, ho fatto il test dell'udito, ho pesato Giorgio. Da ieri ha perso solo 50 grammi.»
«Bene,» dico. Poi osservo il viso del neonato e noto un inizio di ittero fisiologico.
«Più tardi facciamo una bilirubina, così, in attesa della montata lattea, diamo al neonato 10 cc per 6 volte al giorno di glucosata al 5%, così teniamo sotto controllo la risalita della bilirubina.»
«Certo, dottore.»
«Dopo la poppata lo spoglio, così lo può visitare e aggiorniamo la cartella clinica.»
«Sì, grazie, Giovanna.»
«Vado a prendere un caffè.»
Mafalda mi guarda.
«Dottore, come sta?! Ho saputo...»
«Signora, stia tranquilla. Lei non deve né agitarsi né pensare a questa brutta storia. Deve accudire il bambino, attaccarlo al seno e pensare a lei, a lui e alla bellezza della vita.»
«Grazie, dottore... grazie... lei è una persona buona.»
Il distributore del caffè è fuori dai reparti. Lo raggiungo e, mentre sono in attesa del cappuccino, mi raggiunge una voce:
«Pasquale!»
Mi giro e riconosco Mariano.
«Mariano, grazie di essere venuto.»
E subito dopo ecco la mia cara collega... strutturata.
«Buongiorno, Pasquale.»
«Buongiorno a te.»
«Sono venuta a darti il cambio, ma ti chiedo di rimanere con me. E ti dico che, per quanto io mi senta distrutta da questa storia, d'altra parte ti ammiro per la tua forza d'animo e per la gestione ottimale di questa tragedia.»
«Non dire altro, io mi sento male, sono preoccupato... ed approfitto per presentarti il mio avvocato, Mariano Topuca.»
Una forte stretta di mano mette fine ai nostri dissapori e sancisce una nuova alleanza.
«Vieni, Mariano, vieni, mettiamoci comodi.»
Mi segue la collega e ci sediamo al tavolino dell'infermeria. Ci raggiunge Giovanna.
«Dottore, anzi, dottoressa e dottore, per quello che mi hai accennato, questo è un omicidio efferato. Ma il commissario e il magistrato sospettano di voi?»
«Credo proprio di no. Anche perché il commissario di polizia, giovanissimo, è stato un mio paziente da bambino e ci conosciamo molto bene.»
«E lei, dottoressa, ha chiarito il motivo della sua invettiva?!»
«Le indagini non sono semplici, anche perché la decisione dell'omicidio può essere partita da molto lontano, visto che Mustafà Rambaied era libanese.»
«Non solo... può essersi fatto dei nemici in ospedale.»
«Addirittura!» esclamo.
«Non puoi sapere... tu lo avevi conosciuto da poche ore, la collega, correggimi se sbaglio, da circa una settimana, ma tutti gli altri?»
«Hai ragione.»
«Andiamo in questura, andiamo a parlare con il commissario, dai!»
«Dottore, ho bisogno di riposare, questa di oggi è una storia pazzesca!»
«Hai ragione...»
Prendo il resto e vado via.
Con un solo cenno della mano saluto l'infermiera e mi fiondo in camera.
E se da una parte mi auguro di non essere chiamato e di poter dormire per tutta la notte, dall'altra mi prende un senso di solitudine profonda. Un vuoto di antica memoria che mi ha sempre fatto compagnia.
Un proverbio antico recita: "Cogito ergo sum". Per me è sempre valso il detto: "Visita et ego vivere".
Poi mi chiedo...
Non sono stati sufficienti tutti gli anni in cui ho visitato i bambini per essere pago di aver fatto il mio dovere? Dovevo anche fare il gettonista?! Me la sono cercata...
Mi squilla il cellulare:
«Pasquale, come stai? Domani mattina vengo da te!»
«Ora sono in ospedale. Domani mattina dovrei smontare alle 8 e non so chi verrà.»
«Prima di partire ti chiamo, così mi dici dove devo raggiungerti.»
«Grazie, Mariano.»
«A domani.»
Mi sento risollevato: verrà Mariano, il mio amico avvocato. Lui è civilista, ma ho comunque bisogno della sua presenza.
Trilla di nuovo il telefono:
«Lino, sono io. Cerca di dormire. Domani vengo da te. Vengo con Emilia.»
«Brava, Anna. A domani.»
Bene, penso. Domani arriva anche mia moglie e mia sorella.
Gli occhi si chiudono, guardo l'orologio, sono le 21:15.
Mi faccio il segno della croce, come nei momenti più difficili della mia vita, e mi addormento.
La luce di un mattino luminoso di luglio inonda la camera.
Mi affaccio alla finestra: il cielo è limpido, un refolo di vento mi accarezza il viso. Un vociare festoso di bambini mi raggiunge e mi intenerisce nel profondo. C'è sempre il giorno dopo, ed è un giorno che spero porti la risoluzione della triste vicenda.
Il sonno è stato ristoratore, ma subito dopo aver assaporato il piacere del risveglio, ripiombo nell'angoscia dell'accaduto.
Mi prendo tutto il tempo per adempiere alle mie funzioni del mattino.
Fresco e profumato, apro la porta e, senza camice, raggiungo l'infermeria.
L'incubatore è vuoto. Di certo Giorgio è stato dato alla mamma per essere attaccato al seno.
Sento un vociare raggiungermi, seguo la sua scia e raggiungo la camera nel reparto di ostetricia dove riposa serena la giovane signora Mafalda.
La sua è un'espressione felice.
Giorgio è attaccato al suo seno sinistro e, dal poppare forte, ho la netta impressione che la nutrice abbia, a distanza di meno di 24 ore dalla nascita, non solo il colostro, ma già un inizio di montata lattea.
«Buongiorno!» esclamo.
«Buongiorno, dottore!»
«Sono Giovanna. Ho dato il cambio a Rebecca alle ore 7.»
«Perfetto, signora Giovanna.»
«Ho medicato il moncone ombelicale, ho fatto il test dell'udito, ho pesato Giorgio. Da ieri ha perso solo 50 grammi.»
«Bene,» dico. Poi osservo il viso del neonato e noto un inizio di ittero fisiologico.
«Più tardi facciamo una bilirubina, così, in attesa della montata lattea, diamo al neonato 10 cc per 6 volte al giorno di glucosata al 5%, così teniamo sotto controllo la risalita della bilirubina.»
«Certo, dottore.»
«Dopo la poppata lo spoglio, così lo può visitare e aggiorniamo la cartella clinica.»
«Sì, grazie, Giovanna.»
«Vado a prendere un caffè.»
Mafalda mi guarda.
«Dottore, come sta?! Ho saputo...»
«Signora, stia tranquilla. Lei non deve né agitarsi né pensare a questa brutta storia. Deve accudire il bambino, attaccarlo al seno e pensare a lei, a lui e alla bellezza della vita.»
«Grazie, dottore... grazie... lei è una persona buona.»
Il distributore del caffè è fuori dai reparti. Lo raggiungo e, mentre sono in attesa del cappuccino, mi raggiunge una voce:
«Pasquale!»
Mi giro e riconosco Mariano.
«Mariano, grazie di essere venuto.»
E subito dopo ecco la mia cara collega... strutturata.
«Buongiorno, Pasquale.»
«Buongiorno a te.»
«Sono venuta a darti il cambio, ma ti chiedo di rimanere con me. E ti dico che, per quanto io mi senta distrutta da questa storia, d'altra parte ti ammiro per la tua forza d'animo e per la gestione ottimale di questa tragedia.»
«Non dire altro, io mi sento male, sono preoccupato... ed approfitto per presentarti il mio avvocato, Mariano Topuca.»
Una forte stretta di mano mette fine ai nostri dissapori e sancisce una nuova alleanza.
«Vieni, Mariano, vieni, mettiamoci comodi.»
Mi segue la collega e ci sediamo al tavolino dell'infermeria. Ci raggiunge Giovanna.
«Dottore, anzi, dottoressa e dottore, per quello che mi hai accennato, questo è un omicidio efferato. Ma il commissario e il magistrato sospettano di voi?»
«Credo proprio di no. Anche perché il commissario di polizia, giovanissimo, è stato un mio paziente da bambino e ci conosciamo molto bene.»
«E lei, dottoressa, ha chiarito il motivo della sua invettiva?!»
«Le indagini non sono semplici, anche perché la decisione dell'omicidio può essere partita da molto lontano, visto che Mustafà Rambaied era libanese.»
«Non solo... può essersi fatto dei nemici in ospedale.»
«Addirittura!» esclamo.
«Non puoi sapere... tu lo avevi conosciuto da poche ore, la collega, correggimi se sbaglio, da circa una settimana, ma tutti gli altri?»
«Hai ragione.»
«Andiamo in questura, andiamo a parlare con il commissario, dai!»