Un pediatra sul web
Coronavirus, cronache dallo Scap
Rubrica di pediatria a cura del dottor Antonio Marzano - pediatra di famiglia
domenica 15 marzo 2020
10.47
Silenzio, rotto di tanto in tanto dal vociare furtivo di un collega e di un infermiere.
I corridoi sono vuoti: siamo tutti sospesi in una sorta di attesa da "Deserto dei Tartari".
Arrivano? Arriveranno?
Barriere vere, barriere virtuali.
Il telefono squilla, le richieste sono sussurrate, l'ansia si taglia a fette attraverso l'apparecchio telefonico e tutto sa di dubbio, di incertezza, di sofferenza malcelata. Ho chiesto lumi al mio amico radiologo Danilo: «Tu sai che posso raccontarti della sintomatologia nel bambino, ma di quella dell'adulto ne sono poco o niente. Dimmi qualcosa, affinché io possa capire». E lui mi ha spiegato tutto, tutto ciò che ha visto e vede attraverso gli rx e la Tac. Danilo è stato molto chiaro. E di questa sua dettagliata descrizione credo sia più corretto non scrivere.
Continuiamo, io e la mia assistente Angelica, a muoverci con circospezione: indossiamo le mascherine, i guanti e compiliamo i resoconti del triage telefonico. Eppure c'è qualcuno che continua a venire di persona, perché ha bisogno di parlare, di raccontare; ha bisogno di una parola di conforto, di una visita per il proprio figlio, di tranquillità. Angelica trasmette forza: io, per quanto posso, conforto. Tra l'altro qualcuna, sia pure coperta dalla mascherina e quindi non riconoscibile, si professa come sia stato io il suo pediatra quand'era bambina e questo forse la fa sentire... meglio? Chissà...
Dico loro di aver pazienza, di continuare a rimanere in casa, di non portare i bambini da nessuna parte.
Finirà, deve finire, tutto questo sembra un incubo infinito. Se solo si decidesse a mutare, sia pure di poco, di un nulla, la finirebbe di procurare tanto nocumento. Se mutasse e nel mutare divenisse più "ragionevole", continuerebbe comunque a sopravvivere, rientrando nei recinti a noi noti,quelli del raffreddore e della semplice rinite.
Ne parlo con Angelica, che mi guarda stranita...
I corridoi sono vuoti: siamo tutti sospesi in una sorta di attesa da "Deserto dei Tartari".
Arrivano? Arriveranno?
Barriere vere, barriere virtuali.
Il telefono squilla, le richieste sono sussurrate, l'ansia si taglia a fette attraverso l'apparecchio telefonico e tutto sa di dubbio, di incertezza, di sofferenza malcelata. Ho chiesto lumi al mio amico radiologo Danilo: «Tu sai che posso raccontarti della sintomatologia nel bambino, ma di quella dell'adulto ne sono poco o niente. Dimmi qualcosa, affinché io possa capire». E lui mi ha spiegato tutto, tutto ciò che ha visto e vede attraverso gli rx e la Tac. Danilo è stato molto chiaro. E di questa sua dettagliata descrizione credo sia più corretto non scrivere.
Continuiamo, io e la mia assistente Angelica, a muoverci con circospezione: indossiamo le mascherine, i guanti e compiliamo i resoconti del triage telefonico. Eppure c'è qualcuno che continua a venire di persona, perché ha bisogno di parlare, di raccontare; ha bisogno di una parola di conforto, di una visita per il proprio figlio, di tranquillità. Angelica trasmette forza: io, per quanto posso, conforto. Tra l'altro qualcuna, sia pure coperta dalla mascherina e quindi non riconoscibile, si professa come sia stato io il suo pediatra quand'era bambina e questo forse la fa sentire... meglio? Chissà...
Dico loro di aver pazienza, di continuare a rimanere in casa, di non portare i bambini da nessuna parte.
Finirà, deve finire, tutto questo sembra un incubo infinito. Se solo si decidesse a mutare, sia pure di poco, di un nulla, la finirebbe di procurare tanto nocumento. Se mutasse e nel mutare divenisse più "ragionevole", continuerebbe comunque a sopravvivere, rientrando nei recinti a noi noti,quelli del raffreddore e della semplice rinite.
Ne parlo con Angelica, che mi guarda stranita...