Un pediatra sul web
Il luogo del destino
Un "incontro" molto atteso
sabato 9 gennaio 2021
Ogni volta che ti penso cerco di cingermi le braccia sul petto per contenere il compulsivo impulso che per oltre 40 anni mi ha costretto a raggiungerti. E ogni volta parte dal bisogno di ritornare a galleggiare nel tuo liquido amniotico, al sicuro del tuo utero. Eppure la partenza ha lo stesso input di un coito severo e doloroso perché col cervello so molto bene che all'arrivo sentirò quel malessere generale che non mi ha mai abbandonato.
Ma domenica scorsa ho ceduto e nell'assolvermi da un proposito che di certo mi avrebbe nociuto sono ritornato a percorrere la "nostra strada". Ho calzato la mascherina, a nascondere il mio faccione da impertinente impunito e subito alla curva a destra sulla statale sono stato abbagliato dalla visione del tuo placido corpo, coperto solo da un manto di seta rosso, che languido scioglieva nelle acque del mare le sue forme. I raggi del sole di Levante attraversavano i tuoi capelli biondi e mentre prona sulla riva hai sollevato indolente la mano per salutarmi, il tuo sguardo fatto da occhi verdi, gelidi e fissi mi ha penetrato il cervello. E mentre rapivo con il primo mio furtivo sguardo il tuo seno adagiato sugli scogli, con il secondo subito dopo l'ho distolto e ho continuato a guidare. Così avevo già esaurito la riserva energetica dell'anima, eppure ho proseguito come un kamikaze diritto verso... il patibolo.
Poi, in un ultimo sussulto di resipiscenza, ho svoltato al semaforo a destra piuttosto che tirare dritto e ormai avevo dentro di me la certezza, la volontà, la curiosità, il desiderio di metabolizzazione di un antico sentimento di sofferenza...
Il nonno aveva nella mano sinistra la sportella vuota, il cappello in testa, e con la sua mano destra mi cingeva la vita, quando mi si avvicinò all'orecchio sinistro ed esclamò felice: «Tonio, così possiamo andare anche in America!». Era l'estate del 1971.
Mi è tornato in mente questo lontano episodio, mentre andavamo insieme a cavallo verso il nostro paese: quell'espressione mi riempì di gioia. Ero fiero di ciò che facevamo e sentivo mio nonno forte e pago di quella sua condizione inusuale. È successo proprio lì...
Lungo la via che porta alla chiesa del Rosario sono cambiate tante cose e con un certo disagio stanno cambiando il paesaggio e le strade. Ma il ponticello è rimasto immutato con quella doppia curva che ho percorso a passo d'uomo quasi volessi percepire e centellinare l'antico dolore. Poi mi sono lasciato alla sinistra "quella strada" e ho cinto con l'auto la villetta. Mi sono lasciato alla destra la fontanina: commovente. L'emozione è stata forte e lì ho abbracciato con la fantasia quel luogo magico, la chiesa del Rosario, che mi aveva serbato negli anni solo dispiacere. Ho sfidato poi il destino e pur sapendo a cosa andassi incontro ho voltato a destra. Mi sono assicurato che la mascherina mi coprisse il viso, lasciando solo gli occhi liberi, di vedere, ma di non essere né visto né riconosciuto, e ho girato lo sguardo alla mia sinistra.
Sono trascorsi 47 anni da che non percorrevo quella stretta strada senza uscita; non ci avevo mai provato prima perché mi avrebbe tanto nociuto all'anima e mentre ho guardato mi è sembrato di riconoscere qualcuno, ma forse non è stato proprio così. Sono arrivato in fondo, ho fatto manovra e lentamente sono tornato indietro.
Tu a quel punto sei stata clemente con me. Ti sei materializzata accanto, seduta sul sedile passeggero, e con mio sommo stupore - e una vena di timore reverenziale - ho serrato le labbra subito dopo aver esclamato: «Eccoti!».
La tua voce flebile e funerea è arrivata lenta e puntuale con una domanda: «Cosa hai fatto in tutto questo tempo?»
La mia risposta non è arrivata e allora hai continuato: «Dopo qualche mese, quando mi sono ritrovata da sola in casa, sola e molto, molto lontana dalla mia città, mi sei tornato in mente. Poi ho iniziato a sognarti, e dentro di me si è aperta una voragine buia».
Ero impietrito, ghiacciato. Hai girato la testa verso di me e hai allungato la mano sinistra accarezzandomi la nuca; non una sillaba. Un silenzio carico di buio si è materializzato e ho risentito esplodermi dentro quell'antico dolore. Hai girato la testa e mentre facevi scivolare le tue dita sul collo, ho sentito la tua voce sussurrare: «Devo andare».
Così sono giunto sulla statale e mi sono ritrovato ancora una volta solo e frastornato dal tuo fantasma. Percepivo una tua sfumatura in auto, ma tu non c'eri più.
Ho provato ad accelerare, volevo lasciarmi dietro tutto, ma è stato inutile. Ho portato con me sempre lo stesso peso doloroso e giunto qui, per la prima volta ho realizzato: grazie alla mia comunità per avermi riabbracciato. Siete stati buoni e compassionevoli con me. Credo che sia giunto a questa conclusione per fare pace con me stesso.
Ma domenica scorsa ho ceduto e nell'assolvermi da un proposito che di certo mi avrebbe nociuto sono ritornato a percorrere la "nostra strada". Ho calzato la mascherina, a nascondere il mio faccione da impertinente impunito e subito alla curva a destra sulla statale sono stato abbagliato dalla visione del tuo placido corpo, coperto solo da un manto di seta rosso, che languido scioglieva nelle acque del mare le sue forme. I raggi del sole di Levante attraversavano i tuoi capelli biondi e mentre prona sulla riva hai sollevato indolente la mano per salutarmi, il tuo sguardo fatto da occhi verdi, gelidi e fissi mi ha penetrato il cervello. E mentre rapivo con il primo mio furtivo sguardo il tuo seno adagiato sugli scogli, con il secondo subito dopo l'ho distolto e ho continuato a guidare. Così avevo già esaurito la riserva energetica dell'anima, eppure ho proseguito come un kamikaze diritto verso... il patibolo.
Poi, in un ultimo sussulto di resipiscenza, ho svoltato al semaforo a destra piuttosto che tirare dritto e ormai avevo dentro di me la certezza, la volontà, la curiosità, il desiderio di metabolizzazione di un antico sentimento di sofferenza...
Il nonno aveva nella mano sinistra la sportella vuota, il cappello in testa, e con la sua mano destra mi cingeva la vita, quando mi si avvicinò all'orecchio sinistro ed esclamò felice: «Tonio, così possiamo andare anche in America!». Era l'estate del 1971.
Mi è tornato in mente questo lontano episodio, mentre andavamo insieme a cavallo verso il nostro paese: quell'espressione mi riempì di gioia. Ero fiero di ciò che facevamo e sentivo mio nonno forte e pago di quella sua condizione inusuale. È successo proprio lì...
Lungo la via che porta alla chiesa del Rosario sono cambiate tante cose e con un certo disagio stanno cambiando il paesaggio e le strade. Ma il ponticello è rimasto immutato con quella doppia curva che ho percorso a passo d'uomo quasi volessi percepire e centellinare l'antico dolore. Poi mi sono lasciato alla sinistra "quella strada" e ho cinto con l'auto la villetta. Mi sono lasciato alla destra la fontanina: commovente. L'emozione è stata forte e lì ho abbracciato con la fantasia quel luogo magico, la chiesa del Rosario, che mi aveva serbato negli anni solo dispiacere. Ho sfidato poi il destino e pur sapendo a cosa andassi incontro ho voltato a destra. Mi sono assicurato che la mascherina mi coprisse il viso, lasciando solo gli occhi liberi, di vedere, ma di non essere né visto né riconosciuto, e ho girato lo sguardo alla mia sinistra.
Sono trascorsi 47 anni da che non percorrevo quella stretta strada senza uscita; non ci avevo mai provato prima perché mi avrebbe tanto nociuto all'anima e mentre ho guardato mi è sembrato di riconoscere qualcuno, ma forse non è stato proprio così. Sono arrivato in fondo, ho fatto manovra e lentamente sono tornato indietro.
Tu a quel punto sei stata clemente con me. Ti sei materializzata accanto, seduta sul sedile passeggero, e con mio sommo stupore - e una vena di timore reverenziale - ho serrato le labbra subito dopo aver esclamato: «Eccoti!».
La tua voce flebile e funerea è arrivata lenta e puntuale con una domanda: «Cosa hai fatto in tutto questo tempo?»
La mia risposta non è arrivata e allora hai continuato: «Dopo qualche mese, quando mi sono ritrovata da sola in casa, sola e molto, molto lontana dalla mia città, mi sei tornato in mente. Poi ho iniziato a sognarti, e dentro di me si è aperta una voragine buia».
Ero impietrito, ghiacciato. Hai girato la testa verso di me e hai allungato la mano sinistra accarezzandomi la nuca; non una sillaba. Un silenzio carico di buio si è materializzato e ho risentito esplodermi dentro quell'antico dolore. Hai girato la testa e mentre facevi scivolare le tue dita sul collo, ho sentito la tua voce sussurrare: «Devo andare».
Così sono giunto sulla statale e mi sono ritrovato ancora una volta solo e frastornato dal tuo fantasma. Percepivo una tua sfumatura in auto, ma tu non c'eri più.
Ho provato ad accelerare, volevo lasciarmi dietro tutto, ma è stato inutile. Ho portato con me sempre lo stesso peso doloroso e giunto qui, per la prima volta ho realizzato: grazie alla mia comunità per avermi riabbracciato. Siete stati buoni e compassionevoli con me. Credo che sia giunto a questa conclusione per fare pace con me stesso.