Un pediatra sul web
L'insalata russa
Rubrica a cura del dottor Antonio Marzano - Ex pediatra di famiglia
mercoledì 22 maggio 2024
Non più di una settimana fa, nel commentare il " Racconto" dello scrittore, giornalista, Vladimiro Bottone e nel ringraziarlo per la sua " bella penna" ospitata ogni domenica, sul Corriere del Mezzogiorno, che percepisco particolarmente vicina alla mia sensibilità, lui mi ha risposto: «Caro dottore, scriviamo più per noi stessi che per gli altri».
E questa verità si incolla perfettamente su di me. E se chi scrive e poi pubblica un libro, lo fa anche per gli altri, io scrivo solo per me stesso. E lo faccio meravigliandomi tutte le volte, che, solo partendo da una riflessione, una osservazione, una sensazione, un sentimento, una volta inforcata la penna, che per me si traduce nel mio dito indice della mano destra, che sfiora le lettere della tastiera del cellulare, partono una serie di frasi di cui anche io mi chiedo dove fossero nascoste. Devo però doverosamente aggiungere che questa compulsione è relativamente recente: direi non più di quindici anni. Prima di quella data, non mi aveva mai sfiorato minimamente l'idea che io, sì, proprio io, potessi dire qualcosa, tanto meno potessi arrogarmi la supponenza di scriverla.
Mah... non so cosa sia poi successo... o meglio lo so cosa mi sia successo.
Tutto è avvenuto al mio giro di boa dei cinquant'anni. Sì, è stato allora che la mia professione di pediatra di famiglia ha iniziato a starmi stretta e ho iniziato a mettere la testa fuori dallo studio. È stata una necessità e posso dire che da semplice medico mi sono proposto in un ruolo del tutto diverso. E posso dire che ciò che ho offerto è stato condiviso da molti amici.
Nel frattempo è arrivato il secondo turbine, quello della scrittura: e come scrive lo scrittore Vladimiro Bottone: "scrivo solo per me".
Ma ora eccomi qui a raccontare di un'altra storia Professionale doverosamente vera, cui non ho né aggiunto, né sottratto nulla. E questi casi sono capitati a me che le racconto, ma di certo sono capitati e continuano a capitare a tutti i colleghi pediatri in servizio.
«Buongiorno dottore, sono la signora Mafalda» La sua voce arrotata è stata per molti anni una compagna fedele, leale e riconoscente. Una voce di mamma riconoscente, che nonostante il trascorrere del tempo teneva viva il ricordo di quel sempre più lontano primo pomeriggio di un giorno di luglio.
«Dottore, vi ho preparato l'insalata russa, appena finite lo studio venite a prenderla».
«Grazie Mafalda, grazie lo sai quanto mi sia gradita la tua insalata russa».
Alla luce di quell'ormai lontano episodio, mi aveva eletto non solo a medico delle sue figlie Giovanna ed Emilia, ormai non più in età pediatrica, ma anche suo. E l'ho seguita e consigliata fino quasi agli ultimi giorni. Sì, fino agli ultimi giorni di vita.
E lei con la insalata russa, insaporiva le sue telefonatele sue domande, i suoi turbamenti, i suoi dubbi, le sue paure. E quando rispondendo al telefono, sentivo la sua voce, mi prendeva una tenerezza Profonda, che con il tempo era ancora di più cresciuta, dopo l'abbandono del tetto coniugale da parte del marito. Con le due figlie a suo carico, con tutte le responsabilità che una donna sola deve affrontare, ma anche con la perdonabile deriva comportamentale, nella quale non ho mai avuto intenzione di entrare: si alimentava sempre di più, tanto da essere ormai diventata una grande obesa e soprattutto, fumava sempre più accanitamente.
Ma non era stato sempre così.
Anche quel pomeriggio di luglio ero arrivato in studio prima delle 15:30. Luglio: il caldo torrido del mese di luglio, dei primi anni novanta, non mi turbava più di tanto, come non mi hanno mai turbato tutte le mattine, né tutti i pomeriggi di tutti i mesi dell'anno. A questo proposito mi piace scrivere qui ora, ciò che mi è stato sempre riconosciuto dai genitori dei miei bambini: la mia "disponibilità"; sempre almeno con un'ora di anticipo in studio la mattina e il pomeriggio e fino all'ultimo minuto la sera, andare via solo dopo aver servito l'ultimo genitore. E rispondere sempre al telefono, sempre!
E mentre la saracinesca dello studio viene su, sento raggiungermi alle spalle il vociare di una famigliola. Mi giro, ci salutiamo, apro la porta a vetro e…
«Dottore» dice la allora giovane signora Mafalda.
Io faccio d' istinto un passo indietro, per osservare, come un obiettivo fotografico, tutti e quattro i componenti della famiglia.
«Dottore… Siamo venuti perché...»
Ma il mio sguardo è rapito completamente da una visione che non mi convince.
«Sì – dico – Sì, siete venuti la scorsa settimana per il bilancio di salute alla piccola».
E mentre parlavo così avevo la percezione che non era quella la storia che Mafalda mi avrebbe raccontato, che c'era dell'altro.
Davanti a me di cui "sentivo ma non capivo, vedevo ma non guardavo, avrei voluto esprimere il mio pensiero spontaneo e pure spiritoso, ma che per prudenza, riuscii a tenere stretto per me."
Quando chiusa la porta di ingresso e soli in sala visita la mamma mi dice: «Dall'una (ore 13) la bambina, non so come la vedo. È cambiata di colore!»
Non rispondo: il mio sguardo li stringe tutti insieme, tutti ben coloriti, tutti ben abbronzati, tutti con un ottimo aspetto, tranne la piccola, la lattantina, che in braccio alla mamma e coperta comunque da una tutina rosa, mi lasciava intravedere solo il viso.
«Sì – dico -, hai ragione, la bambina è pallida, molto pallida, ma...»
E in una frazione di secondo il pensiero sbatte nel cervello come una mosca intrappolata in una bottiglia in cerca di un appiglio, fino a quando «Scusami, l'ultimo bilancio che abbiamo fatto la scorsa settimana, di che mese è stato?»
«Dottore, la bambina ha sette mesi!»
Un nodo alla gola, una fitta allo stomaco, il sudore freddo sulla fronte, le gambe incerte. Ma la voce ferma e risoluta!
«Mo' dobbiamo andare a Bari! Subito!»
Usciamo dallo studio, mi chiudo la porta alle spalle, saliamo tutti in macchina ed in un silenzio senza appello, prendo la 16 bis e in mezz'ora arriviamo in clinica pediatrica. Li precedo in pronto soccorso, quando vedo il Professor Paganetti, che mi riconosce, cui mi avvicino trafelato e a bassa voce dico: «Prof la bambina si sta anemizzando».
Mentre loro entrano, il Professore mi scruta. «Marzano…»
«Ma sì, Prof, guardi…»
Ci avviciniamo, il Prof scopre bene il viso della lattantina e mentre la osserva dico: «La scorsa settimana ho fatto il bilancio di salute di sette mesi; le ho dato l'alimentazione come da protocollo e tre ore fa, dopo aver fatto la pappa, si è subito anemizzata»
«Mafalda – chiedo –, hai dato la purea di fave alla bambina?»
«Sì» mi risponde.
Il Prof da ordini immediati, le infermiere si mobilitano, gli strutturati del reparto di oncoematologia vengono allertati. In 15 minuti con l'emoglobina a 6 viene trasfusa con una prima sacca di sangue. I genitori seguono increduli ed attoniti il percorso diagnostico terapeutico della figliola, fino a quando risalita l'emoglobina a 8 il Prof alla presenza dei genitori dice: «Marzano hai spiegato ai genitori cosa è successo?»
«No Prof, non ne ho avuto il tempo».
«Va bene…» Poi rivolgendosi ai genitori: «Tranquilli, ora che il peggio è passato il vostro pediatra vi dirà cosa è successo...bravo! Il favismo severo non perdona!»
Ma che bravo e bravo... grazie a Dio che mi ha illuminato la mente! E così mi è tornata la frase che molto spesso mi ripeteva mia madre e alla quale era particolarmente legata: "Tonio minit d mus dammenz!" traduzione in italiano: Tonio piega le ginocchia prega e ringrazia il Signore, sii sempre umile e raccomandati l'anima a Dio.
E questa verità si incolla perfettamente su di me. E se chi scrive e poi pubblica un libro, lo fa anche per gli altri, io scrivo solo per me stesso. E lo faccio meravigliandomi tutte le volte, che, solo partendo da una riflessione, una osservazione, una sensazione, un sentimento, una volta inforcata la penna, che per me si traduce nel mio dito indice della mano destra, che sfiora le lettere della tastiera del cellulare, partono una serie di frasi di cui anche io mi chiedo dove fossero nascoste. Devo però doverosamente aggiungere che questa compulsione è relativamente recente: direi non più di quindici anni. Prima di quella data, non mi aveva mai sfiorato minimamente l'idea che io, sì, proprio io, potessi dire qualcosa, tanto meno potessi arrogarmi la supponenza di scriverla.
Mah... non so cosa sia poi successo... o meglio lo so cosa mi sia successo.
Tutto è avvenuto al mio giro di boa dei cinquant'anni. Sì, è stato allora che la mia professione di pediatra di famiglia ha iniziato a starmi stretta e ho iniziato a mettere la testa fuori dallo studio. È stata una necessità e posso dire che da semplice medico mi sono proposto in un ruolo del tutto diverso. E posso dire che ciò che ho offerto è stato condiviso da molti amici.
Nel frattempo è arrivato il secondo turbine, quello della scrittura: e come scrive lo scrittore Vladimiro Bottone: "scrivo solo per me".
Ma ora eccomi qui a raccontare di un'altra storia Professionale doverosamente vera, cui non ho né aggiunto, né sottratto nulla. E questi casi sono capitati a me che le racconto, ma di certo sono capitati e continuano a capitare a tutti i colleghi pediatri in servizio.
«Buongiorno dottore, sono la signora Mafalda» La sua voce arrotata è stata per molti anni una compagna fedele, leale e riconoscente. Una voce di mamma riconoscente, che nonostante il trascorrere del tempo teneva viva il ricordo di quel sempre più lontano primo pomeriggio di un giorno di luglio.
«Dottore, vi ho preparato l'insalata russa, appena finite lo studio venite a prenderla».
«Grazie Mafalda, grazie lo sai quanto mi sia gradita la tua insalata russa».
Alla luce di quell'ormai lontano episodio, mi aveva eletto non solo a medico delle sue figlie Giovanna ed Emilia, ormai non più in età pediatrica, ma anche suo. E l'ho seguita e consigliata fino quasi agli ultimi giorni. Sì, fino agli ultimi giorni di vita.
E lei con la insalata russa, insaporiva le sue telefonatele sue domande, i suoi turbamenti, i suoi dubbi, le sue paure. E quando rispondendo al telefono, sentivo la sua voce, mi prendeva una tenerezza Profonda, che con il tempo era ancora di più cresciuta, dopo l'abbandono del tetto coniugale da parte del marito. Con le due figlie a suo carico, con tutte le responsabilità che una donna sola deve affrontare, ma anche con la perdonabile deriva comportamentale, nella quale non ho mai avuto intenzione di entrare: si alimentava sempre di più, tanto da essere ormai diventata una grande obesa e soprattutto, fumava sempre più accanitamente.
Ma non era stato sempre così.
Anche quel pomeriggio di luglio ero arrivato in studio prima delle 15:30. Luglio: il caldo torrido del mese di luglio, dei primi anni novanta, non mi turbava più di tanto, come non mi hanno mai turbato tutte le mattine, né tutti i pomeriggi di tutti i mesi dell'anno. A questo proposito mi piace scrivere qui ora, ciò che mi è stato sempre riconosciuto dai genitori dei miei bambini: la mia "disponibilità"; sempre almeno con un'ora di anticipo in studio la mattina e il pomeriggio e fino all'ultimo minuto la sera, andare via solo dopo aver servito l'ultimo genitore. E rispondere sempre al telefono, sempre!
E mentre la saracinesca dello studio viene su, sento raggiungermi alle spalle il vociare di una famigliola. Mi giro, ci salutiamo, apro la porta a vetro e…
«Dottore» dice la allora giovane signora Mafalda.
Io faccio d' istinto un passo indietro, per osservare, come un obiettivo fotografico, tutti e quattro i componenti della famiglia.
«Dottore… Siamo venuti perché...»
Ma il mio sguardo è rapito completamente da una visione che non mi convince.
«Sì – dico – Sì, siete venuti la scorsa settimana per il bilancio di salute alla piccola».
E mentre parlavo così avevo la percezione che non era quella la storia che Mafalda mi avrebbe raccontato, che c'era dell'altro.
Davanti a me di cui "sentivo ma non capivo, vedevo ma non guardavo, avrei voluto esprimere il mio pensiero spontaneo e pure spiritoso, ma che per prudenza, riuscii a tenere stretto per me."
Quando chiusa la porta di ingresso e soli in sala visita la mamma mi dice: «Dall'una (ore 13) la bambina, non so come la vedo. È cambiata di colore!»
Non rispondo: il mio sguardo li stringe tutti insieme, tutti ben coloriti, tutti ben abbronzati, tutti con un ottimo aspetto, tranne la piccola, la lattantina, che in braccio alla mamma e coperta comunque da una tutina rosa, mi lasciava intravedere solo il viso.
«Sì – dico -, hai ragione, la bambina è pallida, molto pallida, ma...»
E in una frazione di secondo il pensiero sbatte nel cervello come una mosca intrappolata in una bottiglia in cerca di un appiglio, fino a quando «Scusami, l'ultimo bilancio che abbiamo fatto la scorsa settimana, di che mese è stato?»
«Dottore, la bambina ha sette mesi!»
Un nodo alla gola, una fitta allo stomaco, il sudore freddo sulla fronte, le gambe incerte. Ma la voce ferma e risoluta!
«Mo' dobbiamo andare a Bari! Subito!»
Usciamo dallo studio, mi chiudo la porta alle spalle, saliamo tutti in macchina ed in un silenzio senza appello, prendo la 16 bis e in mezz'ora arriviamo in clinica pediatrica. Li precedo in pronto soccorso, quando vedo il Professor Paganetti, che mi riconosce, cui mi avvicino trafelato e a bassa voce dico: «Prof la bambina si sta anemizzando».
Mentre loro entrano, il Professore mi scruta. «Marzano…»
«Ma sì, Prof, guardi…»
Ci avviciniamo, il Prof scopre bene il viso della lattantina e mentre la osserva dico: «La scorsa settimana ho fatto il bilancio di salute di sette mesi; le ho dato l'alimentazione come da protocollo e tre ore fa, dopo aver fatto la pappa, si è subito anemizzata»
«Mafalda – chiedo –, hai dato la purea di fave alla bambina?»
«Sì» mi risponde.
Il Prof da ordini immediati, le infermiere si mobilitano, gli strutturati del reparto di oncoematologia vengono allertati. In 15 minuti con l'emoglobina a 6 viene trasfusa con una prima sacca di sangue. I genitori seguono increduli ed attoniti il percorso diagnostico terapeutico della figliola, fino a quando risalita l'emoglobina a 8 il Prof alla presenza dei genitori dice: «Marzano hai spiegato ai genitori cosa è successo?»
«No Prof, non ne ho avuto il tempo».
«Va bene…» Poi rivolgendosi ai genitori: «Tranquilli, ora che il peggio è passato il vostro pediatra vi dirà cosa è successo...bravo! Il favismo severo non perdona!»
Ma che bravo e bravo... grazie a Dio che mi ha illuminato la mente! E così mi è tornata la frase che molto spesso mi ripeteva mia madre e alla quale era particolarmente legata: "Tonio minit d mus dammenz!" traduzione in italiano: Tonio piega le ginocchia prega e ringrazia il Signore, sii sempre umile e raccomandati l'anima a Dio.