
Un pediatra sul web
La Fase 2 dei bambini
Rubrica di pediatria a cura del dottor Antonio Marzano - pediatra di famiglia
mercoledì 20 maggio 2020
Leo si affaccia indeciso nella sala visite.
«Dottore, buongiorno» mi saluta la mamma. «Sono qui per il bilancio di salute di Leo. Come sta?»
«Io bene, grazie! E lei?»
«Beh, bene. Non ci vediamo da tre mesi e gli ultimi due li abbiamo trascorsi chiusi in casa. Non siamo usciti per niente».
Osservo Leo: ha 5 anni e mezzo ed è qui per il bilancio dei suoi sessantasei mesi. Ha la mascherina sul viso, la sua andatura è incerta, la mamma cerca di staccarlo da lei per svestirlo affinché possa visitarlo, ma Leo stringe forte la mano della madre: non vuole lasciarla, non piange ma vuole la madre vicino a sé.
Così, con difficoltà lo faccio salire sulla bilancia ma lui si rifiuta, come quando devo farlo salire sul podoscopio, e poi posargli lo scoliometro sulla spalla, fino a quando poi devo controllare la sua acuità visiva. Tutti i test mi risultano inaffidabili. Leo è come se fosse tornato indietro di qualche anno. Rassicuro la madre e la invito a riprendere la socializzazione, perché il contenimento in casa non ha fatto bene al bambino.
Annalisa, entrata qualche giorno fa nella sala visite con la mamma per una sola domanda, mi guarda stranita e si aggira intorno al lettino come se fosse la prima volta. Annalisa ha 8 anni ma la sua andatura è ondeggiante. Sembra che soffra di labirintite o di un disturbo dell'equilibrio; in realtà anche lei è affetta da sindrome da privazione di contatti umani.
«Dottore - mi dice la mamma - sono due mesi che siamo stati chiusi in casa. Niente nonni, niente cuginetti, niente amichetti e poi anche la bambina sempre davanti alla tv».
«Ha ragione signora. Vedrà, Annalisa si riprenderà al più presto».
Nicola, come mi racconta la madre, da circa 20 giorni è diventato irritabile.
«Non mi ascolta più, si rifiuta di fare i compiti col pc mentre suo fratello Andrea è diventato apatico, triste, abulico. Andrea sembra non abbia più fame, la sera va presto a dormire, la mattina si sveglia tardi e io e mio marito andiamo nella loro cameretta durante la notte e il loro sonno è agitato, si dimenano, poi lanciano delle urla e il giorno dopo non ricordano nulla».
Siamo solo ai primi momenti del graduale ritorno a una specie di normalità, e questo è ciò che osservo in studio. Osservo e rifletto su quanto sia stato corretto e facile l'imperium - da parte delle autorità scientifiche e politiche - di stare chiusi in casa, di quanto la televisione abbia bombardato i genitori e i bambini per le condizioni reali di tragedia e di morte nel Paese e in tutto il mondo.
Di certo, anche se molte vite si sono perse, molte altre sono state salvate, eppure solo ora e in questi primi giorni di ritorno in studio dei bambini mi rendo conto che qualcosa è cambiato.
Non so quanto tempo ci vorrà perché tutto torni come prima, né posso sapere se tutto tornerà come prima. Mi affido alla lettura degli studi di psicoterapeuti dell'età evolutiva che di certo per la loro competenza e cultura osserveranno con spirito professionale queste assolute novità, inaspettate e imprevedibili. Perché investono tanti bambini che fino a febbraio erano del tutto lontani da questi disturbi.
Dovrò, come pediatra di famiglia, fare i conti con questa nuova "patologia pediatrica": la sindrome della deprivazione dei contatti umani, e a questo aggiungere la paura della malattia e della morte. L'unica certezza passata in questi lunghi giorni è che fuori dalle mura domestiche c'è il nemico invisibile e silenzioso che può colpire e fare male, molto male. Si è sicuri solo in casa, chiusi nella propria cameretta, lontano da tutto e da tutti. È la conferma che per tutte le decisioni forti c'è sempre buon rovescio della medaglia.
Ma i bambini sono forti, metabolizzano in fretta. Sono certo che torneranno come e meglio di prima. Torneranno, entrando in sala visita, a urlare, a saltare, a salire sul fasciatoio, ad aprire i cassetti ad afferrare il fonendoscopio, persino a fare la pipì per terra in bagno.
Torneranno a fare i bambini, e io a gridare: «Mo' la sende... Statte fèrme!».
«Dottore, buongiorno» mi saluta la mamma. «Sono qui per il bilancio di salute di Leo. Come sta?»
«Io bene, grazie! E lei?»
«Beh, bene. Non ci vediamo da tre mesi e gli ultimi due li abbiamo trascorsi chiusi in casa. Non siamo usciti per niente».
Osservo Leo: ha 5 anni e mezzo ed è qui per il bilancio dei suoi sessantasei mesi. Ha la mascherina sul viso, la sua andatura è incerta, la mamma cerca di staccarlo da lei per svestirlo affinché possa visitarlo, ma Leo stringe forte la mano della madre: non vuole lasciarla, non piange ma vuole la madre vicino a sé.
Così, con difficoltà lo faccio salire sulla bilancia ma lui si rifiuta, come quando devo farlo salire sul podoscopio, e poi posargli lo scoliometro sulla spalla, fino a quando poi devo controllare la sua acuità visiva. Tutti i test mi risultano inaffidabili. Leo è come se fosse tornato indietro di qualche anno. Rassicuro la madre e la invito a riprendere la socializzazione, perché il contenimento in casa non ha fatto bene al bambino.
Annalisa, entrata qualche giorno fa nella sala visite con la mamma per una sola domanda, mi guarda stranita e si aggira intorno al lettino come se fosse la prima volta. Annalisa ha 8 anni ma la sua andatura è ondeggiante. Sembra che soffra di labirintite o di un disturbo dell'equilibrio; in realtà anche lei è affetta da sindrome da privazione di contatti umani.
«Dottore - mi dice la mamma - sono due mesi che siamo stati chiusi in casa. Niente nonni, niente cuginetti, niente amichetti e poi anche la bambina sempre davanti alla tv».
«Ha ragione signora. Vedrà, Annalisa si riprenderà al più presto».
Nicola, come mi racconta la madre, da circa 20 giorni è diventato irritabile.
«Non mi ascolta più, si rifiuta di fare i compiti col pc mentre suo fratello Andrea è diventato apatico, triste, abulico. Andrea sembra non abbia più fame, la sera va presto a dormire, la mattina si sveglia tardi e io e mio marito andiamo nella loro cameretta durante la notte e il loro sonno è agitato, si dimenano, poi lanciano delle urla e il giorno dopo non ricordano nulla».
Siamo solo ai primi momenti del graduale ritorno a una specie di normalità, e questo è ciò che osservo in studio. Osservo e rifletto su quanto sia stato corretto e facile l'imperium - da parte delle autorità scientifiche e politiche - di stare chiusi in casa, di quanto la televisione abbia bombardato i genitori e i bambini per le condizioni reali di tragedia e di morte nel Paese e in tutto il mondo.
Di certo, anche se molte vite si sono perse, molte altre sono state salvate, eppure solo ora e in questi primi giorni di ritorno in studio dei bambini mi rendo conto che qualcosa è cambiato.
Non so quanto tempo ci vorrà perché tutto torni come prima, né posso sapere se tutto tornerà come prima. Mi affido alla lettura degli studi di psicoterapeuti dell'età evolutiva che di certo per la loro competenza e cultura osserveranno con spirito professionale queste assolute novità, inaspettate e imprevedibili. Perché investono tanti bambini che fino a febbraio erano del tutto lontani da questi disturbi.
Dovrò, come pediatra di famiglia, fare i conti con questa nuova "patologia pediatrica": la sindrome della deprivazione dei contatti umani, e a questo aggiungere la paura della malattia e della morte. L'unica certezza passata in questi lunghi giorni è che fuori dalle mura domestiche c'è il nemico invisibile e silenzioso che può colpire e fare male, molto male. Si è sicuri solo in casa, chiusi nella propria cameretta, lontano da tutto e da tutti. È la conferma che per tutte le decisioni forti c'è sempre buon rovescio della medaglia.
Ma i bambini sono forti, metabolizzano in fretta. Sono certo che torneranno come e meglio di prima. Torneranno, entrando in sala visita, a urlare, a saltare, a salire sul fasciatoio, ad aprire i cassetti ad afferrare il fonendoscopio, persino a fare la pipì per terra in bagno.
Torneranno a fare i bambini, e io a gridare: «Mo' la sende... Statte fèrme!».