Un pediatra sul web
Sembra proprio finita!
Rubrica di pediatria a cura del dottor Antonio Marzano - pediatra di famiglia
sabato 27 giugno 2020
Il telefono fisso è da qualche giorno tornato a trillare con insistenza.
«Dottore, sono Elena, la collaboratrice della (omissi). Posso venire a trovarla? Si ricorda di me?»
«Certo» le rispondo.
«Ho ripreso da qualche giorno a "intervistarvi" e alcuni dei suoi colleghi preferiscono non riceverci ancora! Sono soprattutto i medici di famiglia: i pediatri meno, molto meno. Lei, dottore, ha ripreso lo studio?»
«Veramente Elena io non l'ho mai lasciato e ho avuto il privilegio di vivere quest'esperienza dall'interno dello studio».
«Bene dottore, allora passerò domani».
E mentre chiudo la comunicazione Nicola si affaccia alla porta.
«Dottore sono Nicola,ho telefonato ieri l'altro. Ha detto che poteva ricevermi».
«Certo, certo. Sei Nicola ma per favore riprendi la tua fisicità perché sembri un extraterrestre».
Il viso coperto da una grossa maschera a becco di uccello, occhiali scuri, guanti fino ai polsi, gel nella mano destra e difficoltà della comunicazione.
«Posso sedermi? Posso poggiare la borsa sulla sedia? Posso parlare? Dottore, mi sono sanificato prima di entrare».
«Nicola ma certo: rilassati, fa pure».
«Ha sentito? In tv, ancora ieri sera, hanno detto che in Lombardia...»
«Sì, sì hai ragione. Ma qui siamo in Puglia».
«Eh sì, però il collega di Bergamo mi ha detto che suo padre è spirato a marzo e aveva ancora 78 anni...»
Nicola si tira giù la mascherina e vedo la sua espressione sgomenta, i suoi occhi lucidi.
«Nicola hai ragione ma bisogna essere forti e riprendere il cammino senza farsi schiacciare dalla paura».
«E voi come state?»
«Io? Io sono un ottimista e anche un superficiale, un po' fesso. Non ho mai fatto mancare la mia presenza in studio. Quelli che sono mancati sono (e lo sono ancora) i bambini. Sono tre mesi e mezzo che stanno tutti bene. Non viene nessuno. Abbiamo avuto un tracollo».
«L'azienda è in difficoltà».
«Hai ragione. Stanno tutti bene, almeno i bambini. E io non so niente di niente, anzi, "più i tavoli si allargano più i cervelli si restringono". Lo vedi anche tu: tutti parlano».
Certo, è da incoscienti fare facile ironia quando non si è vissuto in prima persona la tragedia della malattia o peggio del lutto. L'ignoranza "scientifica" alimenta il sospetto, il dubbio e la paura. Quando finalmente avremo la risposta a tutte le domande - e sono veramente tante, tantissime -, finalmente potremo stare più tranquilli. Per il momento si guida a fari spenti di notte ma anche di giorno.
Avrei voluto raccontare un'altra storia ma questa è quella che vivo in studio. Eppure, alla luce di questo evento terribile che ha investito tutto il pianeta, se posso permettermi una considerazione, noi medici, al dì la del senso del dovere e della disponibilità abbiamo mostrato molti limiti, purtroppo manifestatisi coi tanti ammalati e gli altrettanto numerosi deceduti. Per cui io - e scrivo per me - non solo sento fortissima la necessità di un aggiornamento specifico di eccellenza ma anche forte il disagio che la mia figura di pediatra di famiglia, così come è stata per 35 anni, sia ormai obsoleta e che il mio servizio vada profondamente rivisitato. Il mio cervello non ha un'idea di cambiamento, un'illuminazione, per dare vita ad un corso che possa poi essere raccolto da chi, in veste di pediatra di famiglia, verrà dopo di me.
Se poi mi fermo a riflettere devo constatare che nuovi e giovani pediatri specialisti non sono poi così tanti e che quando la mia di generazione dovrà lasciare il servizio per sopraggiunti limiti di età (70 anni), il rischio è che venga a mancare il ricambio generazionale.
Certo, i governi che dagli anni '80 si sono succeduti giustamente hanno puntato sull'assistenza dei bambini da parte del pediatra di famiglia visto come "immortale e imperituro", per cui sapendoci appunto "eterni" hanno deciso prima per il numero chiuso a medicina e poi per il numero "boh" rispetto alle specializzazioni, tanto che manca praticamente qualsiasi figura specialistica.
Le ultime generazioni di genitori mi chiedono: «Dottore, quando lei andrà in pensione, da chi poi dovremo far seguire il bambino?»
E io, puntualmente, rispondo: «Non si preoccupi, signora cara: io e i miei colleghi ci stiamo attrezzando per rimanere in servizio, secondo i calcoli dei governi, fino al 120 esimo anno di età!».
«Dottore, sono Elena, la collaboratrice della (omissi). Posso venire a trovarla? Si ricorda di me?»
«Certo» le rispondo.
«Ho ripreso da qualche giorno a "intervistarvi" e alcuni dei suoi colleghi preferiscono non riceverci ancora! Sono soprattutto i medici di famiglia: i pediatri meno, molto meno. Lei, dottore, ha ripreso lo studio?»
«Veramente Elena io non l'ho mai lasciato e ho avuto il privilegio di vivere quest'esperienza dall'interno dello studio».
«Bene dottore, allora passerò domani».
E mentre chiudo la comunicazione Nicola si affaccia alla porta.
«Dottore sono Nicola,ho telefonato ieri l'altro. Ha detto che poteva ricevermi».
«Certo, certo. Sei Nicola ma per favore riprendi la tua fisicità perché sembri un extraterrestre».
Il viso coperto da una grossa maschera a becco di uccello, occhiali scuri, guanti fino ai polsi, gel nella mano destra e difficoltà della comunicazione.
«Posso sedermi? Posso poggiare la borsa sulla sedia? Posso parlare? Dottore, mi sono sanificato prima di entrare».
«Nicola ma certo: rilassati, fa pure».
«Ha sentito? In tv, ancora ieri sera, hanno detto che in Lombardia...»
«Sì, sì hai ragione. Ma qui siamo in Puglia».
«Eh sì, però il collega di Bergamo mi ha detto che suo padre è spirato a marzo e aveva ancora 78 anni...»
Nicola si tira giù la mascherina e vedo la sua espressione sgomenta, i suoi occhi lucidi.
«Nicola hai ragione ma bisogna essere forti e riprendere il cammino senza farsi schiacciare dalla paura».
«E voi come state?»
«Io? Io sono un ottimista e anche un superficiale, un po' fesso. Non ho mai fatto mancare la mia presenza in studio. Quelli che sono mancati sono (e lo sono ancora) i bambini. Sono tre mesi e mezzo che stanno tutti bene. Non viene nessuno. Abbiamo avuto un tracollo».
«L'azienda è in difficoltà».
«Hai ragione. Stanno tutti bene, almeno i bambini. E io non so niente di niente, anzi, "più i tavoli si allargano più i cervelli si restringono". Lo vedi anche tu: tutti parlano».
Certo, è da incoscienti fare facile ironia quando non si è vissuto in prima persona la tragedia della malattia o peggio del lutto. L'ignoranza "scientifica" alimenta il sospetto, il dubbio e la paura. Quando finalmente avremo la risposta a tutte le domande - e sono veramente tante, tantissime -, finalmente potremo stare più tranquilli. Per il momento si guida a fari spenti di notte ma anche di giorno.
Avrei voluto raccontare un'altra storia ma questa è quella che vivo in studio. Eppure, alla luce di questo evento terribile che ha investito tutto il pianeta, se posso permettermi una considerazione, noi medici, al dì la del senso del dovere e della disponibilità abbiamo mostrato molti limiti, purtroppo manifestatisi coi tanti ammalati e gli altrettanto numerosi deceduti. Per cui io - e scrivo per me - non solo sento fortissima la necessità di un aggiornamento specifico di eccellenza ma anche forte il disagio che la mia figura di pediatra di famiglia, così come è stata per 35 anni, sia ormai obsoleta e che il mio servizio vada profondamente rivisitato. Il mio cervello non ha un'idea di cambiamento, un'illuminazione, per dare vita ad un corso che possa poi essere raccolto da chi, in veste di pediatra di famiglia, verrà dopo di me.
Se poi mi fermo a riflettere devo constatare che nuovi e giovani pediatri specialisti non sono poi così tanti e che quando la mia di generazione dovrà lasciare il servizio per sopraggiunti limiti di età (70 anni), il rischio è che venga a mancare il ricambio generazionale.
Certo, i governi che dagli anni '80 si sono succeduti giustamente hanno puntato sull'assistenza dei bambini da parte del pediatra di famiglia visto come "immortale e imperituro", per cui sapendoci appunto "eterni" hanno deciso prima per il numero chiuso a medicina e poi per il numero "boh" rispetto alle specializzazioni, tanto che manca praticamente qualsiasi figura specialistica.
Le ultime generazioni di genitori mi chiedono: «Dottore, quando lei andrà in pensione, da chi poi dovremo far seguire il bambino?»
E io, puntualmente, rispondo: «Non si preoccupi, signora cara: io e i miei colleghi ci stiamo attrezzando per rimanere in servizio, secondo i calcoli dei governi, fino al 120 esimo anno di età!».