Un pediatra sul web
Via La Marina
Racconti di vita vissuta
venerdì 14 agosto 2020
10.00
Lungo via La Marina, mi ritrovavo a scendere e risalire, in piena estate, tra le 10 e le 20 volte al giorno. Non avvertivo la stanchezza, né avevo il fiato corto, tanto meno il sudore era un impedimento.
Sono certo che nei primi giorni di giugno del 1967 il signore che guardavo e riguardavo di sottecchi non si fosse accorto di me. Ma poi, dagli oggi e dagli domani, come una ragazzina di cui ci si è perdutamente innamorati con una cotta pazzesca e verso cui ci si gira e rigira intorno senza cercare di farsi notare, si finisce per essere notati. In quel piccolo e angusto locale posizionato lungo la discesa di via La Marina, a destra in un edificio che non aveva nulla di fascinoso nell'estate del 1967, avevo riposto tutta la mia anima tormentata di un adolescente di 13 anni.
La prima volta al mattino ci passavo presto, quando lui accompagnava fuori con le sue mani forti e i suoi gesti sicuri gli oggetti del mio puerile ma devastante desiderio. Poi, durante la giornata, altre volte ancora. Ero innamorato, di un amore tormentato, e non sapevo se corrisposto, ma alla fine dopo oltre un mese di tentativi maldestri di avvicinamento furtivo, mi ritrovai a inciampare sul marciapiede sconnesso e fu allora che mi si avvicinò, mi sorresse e mi chiese: «Sei il figlio del medico condotto?».
Arrossii.
«Vieni con tuo padre, così ne parliamo. Non ti sei ancora stancato di andare su e giù?».
Fu così che con molta circospezione ne parlai a mio padre, a mia madre e devo ammettere che, a differenza di ciò che temevo, la risposta non fu direttanente "no". Dopo qualche giorno, in un torrido pomeriggio di luglio, raggiunsi via La Marina con mio padre e mentre mi tremavano le gambe speravo proprio che il caro ormai amico meccanico potesse convincerlo e rassicurarlo che era una buona decisione quella di regalare al proprio figliolo il Corsarino della Moto Morini. Era bellissimo e con i raggi del sole di luglio lo sembrava ancora di più. Il manubrio di metallo lucente brillava e il serbatoio coi colori rosso sopra e bianco sotto catturavano lo sguardo anche del più distratto e indifferente dei passanti. Il lungo sellino nero di pelle lucida lasciva presagire passeggiate in compagnia e i forti cerchioni coi raggi potenti rassicuravano sulla sua tenuta.
«È lui?».
«Sì, è lui».
Mio padre non disse niente e mi accorsi che il suo silenzio diceva tutto su quello che lui avrebbe desiderato, a 13 anni, nel 1934 ma che non avrebbe nemmeno lontanamente sognato di avere. Il suo silenzio complice finì con una espressione di malcelata ma piacevole meraviglia quando il mio amico meccanico si avvicinò e con un colpo forte e preciso lo mise in moto.
Il suono, meglio, il canto di quel tenero motore di 50 di cilindrata sciolse tutte le poche riserve di mio padre il quale rivolgendosi a me e al meccanico disse: «È bellissimo!»
«Sì pa', è bellissimo» e cominciai ad accarezzarlo, a sfiorarlo come un oggetto che mi rendeva la vita splendida e amabile. Ci salii sopra con attenzione, due smanettate di acceleratore e la marmitta iniziò a cantare con una voce di giovane soprano. Avevo le lacrime agli occhi e mio padre conservando il suo contegno abituale, mi si avvicinò e disse: «Va bene Tonio ma stai attento!».
Non delusi mio padre. Custodivo il Corsarino con attenzione ed amore. Era sempre con me, sempre. Mancava solo che la sera lo portassi in camera da letto al primo piano in via Paternostro. Il trasporto per lui cresceva giorno per giorno e per tutta l'estate fu un amore intenso e carnale. Fino a quando un giorno di fine estate raggiunsi uno stabilimento balneare che frequentavo e che aveva il parcheggio custodito, e dopo aver pagato un regolare biglietto affidai il mio amore alla attenzione del parcheggiatore. Dopo non più di un'ora tornai... Il parcheggiatore non c'era più e lui neanche.
Il dolore fu terribile, un lutto da separazione inconsolabile. Mio padre rimase muto e basito. La storia ci segnò tutti. Ma poi ci fu un seguito...
Sono certo che nei primi giorni di giugno del 1967 il signore che guardavo e riguardavo di sottecchi non si fosse accorto di me. Ma poi, dagli oggi e dagli domani, come una ragazzina di cui ci si è perdutamente innamorati con una cotta pazzesca e verso cui ci si gira e rigira intorno senza cercare di farsi notare, si finisce per essere notati. In quel piccolo e angusto locale posizionato lungo la discesa di via La Marina, a destra in un edificio che non aveva nulla di fascinoso nell'estate del 1967, avevo riposto tutta la mia anima tormentata di un adolescente di 13 anni.
La prima volta al mattino ci passavo presto, quando lui accompagnava fuori con le sue mani forti e i suoi gesti sicuri gli oggetti del mio puerile ma devastante desiderio. Poi, durante la giornata, altre volte ancora. Ero innamorato, di un amore tormentato, e non sapevo se corrisposto, ma alla fine dopo oltre un mese di tentativi maldestri di avvicinamento furtivo, mi ritrovai a inciampare sul marciapiede sconnesso e fu allora che mi si avvicinò, mi sorresse e mi chiese: «Sei il figlio del medico condotto?».
Arrossii.
«Vieni con tuo padre, così ne parliamo. Non ti sei ancora stancato di andare su e giù?».
Fu così che con molta circospezione ne parlai a mio padre, a mia madre e devo ammettere che, a differenza di ciò che temevo, la risposta non fu direttanente "no". Dopo qualche giorno, in un torrido pomeriggio di luglio, raggiunsi via La Marina con mio padre e mentre mi tremavano le gambe speravo proprio che il caro ormai amico meccanico potesse convincerlo e rassicurarlo che era una buona decisione quella di regalare al proprio figliolo il Corsarino della Moto Morini. Era bellissimo e con i raggi del sole di luglio lo sembrava ancora di più. Il manubrio di metallo lucente brillava e il serbatoio coi colori rosso sopra e bianco sotto catturavano lo sguardo anche del più distratto e indifferente dei passanti. Il lungo sellino nero di pelle lucida lasciva presagire passeggiate in compagnia e i forti cerchioni coi raggi potenti rassicuravano sulla sua tenuta.
«È lui?».
«Sì, è lui».
Mio padre non disse niente e mi accorsi che il suo silenzio diceva tutto su quello che lui avrebbe desiderato, a 13 anni, nel 1934 ma che non avrebbe nemmeno lontanamente sognato di avere. Il suo silenzio complice finì con una espressione di malcelata ma piacevole meraviglia quando il mio amico meccanico si avvicinò e con un colpo forte e preciso lo mise in moto.
Il suono, meglio, il canto di quel tenero motore di 50 di cilindrata sciolse tutte le poche riserve di mio padre il quale rivolgendosi a me e al meccanico disse: «È bellissimo!»
«Sì pa', è bellissimo» e cominciai ad accarezzarlo, a sfiorarlo come un oggetto che mi rendeva la vita splendida e amabile. Ci salii sopra con attenzione, due smanettate di acceleratore e la marmitta iniziò a cantare con una voce di giovane soprano. Avevo le lacrime agli occhi e mio padre conservando il suo contegno abituale, mi si avvicinò e disse: «Va bene Tonio ma stai attento!».
Non delusi mio padre. Custodivo il Corsarino con attenzione ed amore. Era sempre con me, sempre. Mancava solo che la sera lo portassi in camera da letto al primo piano in via Paternostro. Il trasporto per lui cresceva giorno per giorno e per tutta l'estate fu un amore intenso e carnale. Fino a quando un giorno di fine estate raggiunsi uno stabilimento balneare che frequentavo e che aveva il parcheggio custodito, e dopo aver pagato un regolare biglietto affidai il mio amore alla attenzione del parcheggiatore. Dopo non più di un'ora tornai... Il parcheggiatore non c'era più e lui neanche.
Il dolore fu terribile, un lutto da separazione inconsolabile. Mio padre rimase muto e basito. La storia ci segnò tutti. Ma poi ci fu un seguito...