Veduta aerea del centro di Bisceglie
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Via la marina - Terza parte

Racconti di vita vissuta

Un giorno di fine estate raggiunsi uno stabilimento balneare che frequentavo e che aveva il parcheggio custodito, e dopo aver pagato un regolare biglietto affidai il mio amore alla attenzione del parcheggiatore. Dopo non più di un'ora tornai... Il parcheggiatore non c'era più e lui neanche.
Il dolore fu terribile, un lutto da separazione inconsolabile. Mio padre rimase muto e basito. La storia ci segnò tutti. Ma poi ci fu un seguito...

(Via La marina - Prima parte)


Il nostro percorso scolastico era tutto sommato opaco ma non erano opache le nostre pulsioni giovanili. Fu così che, arrivati alla primavera del 1971, Mauro De Cillis propose a me e a Mauro Aiello di trascorrere le feste di Pasqua a Roma. E così, col permesso dei genitori, con un bagaglio nullo e con una manciata di lire in tasca, raggiungemmo la capitae in treno. Il tempo di scendere dal treno e percorrere pochi metri nella stazione che Mauro De Cillis, il più intraprendente tra di noi, si sedette a un tavolino del bar con due belle ragazze.

(Via La Marina - Seconda parte)​


I Mauri parlavano in inglese io ascoltavo e facevo finta di capire, ma non capivo niente. A un cenno convenuto ci alzammo e iniziammo a camminare. La ragazza bionda mi prese per mano. Non capivo più niente! I "Mauri" ci guardavano interdetti ma la cosa più pazzesca è che non sapendo dove andare a dormire né a mangiare e poiché le nostre amiche non vedevano l'ora di mollarci, a Mauro venne la brillantissima idea di darci appuntamento il giorno dopo - la domenica di Pasqua - in piazza San Pietro. Non prima di esserci scambiati gli indirizzi. Rimanemmo digiuni, trovammo una camera che sembrava un ricovero per barboni.

Appuntamento in piazza San Pietro a mezzogiorno. C'erano non meno di ottantamila persone per la benedizione del Papa e ci accorgemmo subito che era tutto perduto. Tornati a casa, tuttavia, iniziai un lungo carteggio con la "mia" bionda: Liska, di Zurigo. Lei rispondeva alle mie lettere per pura educazione ma sia io che i Mauri insieme ci aggrappavamo a queste canoniche missive per avere un motivo di vita affettivo-compulsiva.

I mesi trascorsero veloci, la scuola si concluse e ritornò prepotentemente in me il desiderio del Corsaro 125. I rapporti con mio padre diventavano sempre più difficili, leggevo in lui una sfiducia totale verso di me. E ne aveva ben donde: ero uno studente scarso, tanto scarso che una volta fu proprio lui ad andare a parlare con la professoressa di italiano e latino e quando alla sua domanda sul mio profitto la prof. rispose: «Suo figlio fa e fa ma non conclude», mio padre replicò: «Ma cosa dovrebbe concludere?» Il suo disagio non era dettato solo dallo scarso profitto al liceo quanto piuttosto alla preoccupazione di ciò che sarebbe avvenuto dopo, all'Università!
Dovevo fare qualcosa. Aveva capito che nei pensieri e desideri c'era il Corsaro della Moto Morini ma con un figlio così, niente!

Mauro De Cillis tesseva la trama della fuga contestataria per cui prendemmo la decisione con o senza il placet della famiglia: zaino in spalla con tenda canadese e bagaglio e si parte, destinazione le svizzere!

Partimmo in tre con il treno e la prima fermata fu Rimini: CTD, campeggio-tenda-digiuno. Poi Mauro decise di aprire una scatoletta di tonno e si ferì a una mano. Dieci punti di sutura. Mauro Aiello rimase turbato e dopo pochi giorni ritornò a casa. In due ci mettemmo sulla strada e iniziò l'autostop: ora sì che ci sentivamo forti. Risalimmo l'Adriatica: un'avventura bellissima, incontrammo tante persone diverse. Provavamo una forte emozione quando un'auto si fermava.

Ci prendevano per danesi, olandesi, tedeschi e poi tutti rimanevano un po' delusi quando riconoscevano l'accento della bassa Italia. Piantavamo la tenda un po' dappertutto e dove non si poteva ci straiavamo sulle panchine e doverosamente digiuni ci addormentavano. I tre giorni sul lago di Garda furono incredibili. La tenda piantata a pochi metri dal lago, la mattina tuffo in acqua con aboluzioni complete compreso il lavaggio dei denti.

Il tempo trascorreva così, senza pensieri, senza telefono, senza mangiare, con il solo desiderio di raggiungere le svizzere. Il tempo sembrava essersi fermato per noi. Non avevamo cognizione di quanti giorni fossero passati. Per due notti dormimmo su di una panchina a Gardone Riviera, poi fino a Riva del Garda. A piedi. Non sentivamo la stanchezza. Non avevamo fame. Nella mia testa c'era il pensiero di Liska, del Corsaro, di mio padre che non aveva alcuna stima di me.
L'autostop fino a Trento fu più sofferto ma alla fine in una mattina torrida raggiungemmo a piedi l'agognata meta: Ponte Gardena. Parlavano tutti in tedesco e fummo allontanati in malo modo da più di un proprietario. Fino a quando uno ci diede il permesso di piantare la tenda nella sua proprietà. Una volta fermi ci sentimmo improvvisamente esausti, distrutti! Ma non era finita.

Come da accordi epistolari Liska e la sua amica ci aspettavano in montagna a circa 1500 metri. La sera risalimmo la china lungo un tratturo e finalmente raggiungemmo la meta. L'accoglienza fu molto tiepida e quando si resero conto che non saremmo potuti mai tornare a piedi a quell'ora ci diedero due enormi spazzole di crine di cavallo e ci "ordinarono" di pulire una specie di vasca coperta di alghe che fungeva da piscina. Non potevamo rifiutare: eravamo senza soldi in tasca e con lo stomaco vuoto. Impiegammo più di due ore ma alla fine rimediammo un brodo e un tavolaccio scomodo.

Il giorno dopo all'alba ci intimarono di sloggiare. Fu così che in questa deludente e umiliante condizione resistemmo qualche giorno. Poi una mattina così in una latteria dove ci recavamo per bere solo il latte, sentii che era il giorno tre agosto. Era trascorso più di un mese dalla partenza. Non avevamo cognizione del tempo e forse anche dello spazio. Non avevamo telefonato e a casa non sapevano dove fossimo, con chi fossimo, se fosse accaduto qualcosa e come stessimo. Una pena ci assalì e anche Mauro fu d'accordo. Comprai qualche gettone e telefonai...

«Tonio, dove sei?» Chiese mio padre. La sua voce era un po' turbata, e quando risposi «A Ponte Gardena» rimase senza parole. «Cerca di tornare» mi disse. Erano trascorsi 35 giorni...

Tornato a casa, in via Molfetta, tirai fuori dalla tasca 65 mila lire e le posi sul tavolo. Mia madre, che ne ne aveva date 100, rimase impietrita. Mio padre capì tutto e subito: il giorno dopo andammo da Tomasicchio a Bari. Avevo riconquistato la sua fiducia con ciò che avevo fatto. Si accorse di suo figlio, del suo carattere, del suo orgoglio. Si accorse che poteva contare su di me, che non era proprio vero che "facevo e facevo e non concludevo niente". Si fece due conti e si chiese come avessi fatto, in 35 giorni a spendere appena 35 mila lire.

Insieme comprammo il Corsaro 125 della Moto Morini: ero felice per tutto ciò che avevo fatto. L'estate fu bellissima ancora più bella quando vidi il mio amico Mauro Aiello in sella al Ducati 250.
E così eravamo una squadra: Vincenzo Bruni con il Corsaro anche lui, cui si aggiunse Angelo Gargiulo col suo Corsaro 125 azzurro. Una compagnia di ragazzi che sembrava di sbandati ma che sapeva molto bene cosa aspettava loro nella vita.

Così iniziò l'ultimo anno del liceo classico. La moto l'affidai al garage di due bravi fratelli (Mimì Cartone) di lato alla Chiesa della Passavia. Ma ero sempre con lui. E così gli amici. Vivevamo per loro. Parlavamo di loro. Le accarezzavamo, le rimiravamo, le coccolavamo come fossero fidanzate. Di più...
In campagna, alla via di Molfetta, trovai il modo per portare la moto in soggiorno. Giunse l'inverno e nel febbraio del 1972 Mauro Aiello invitò me e la mia famiglia a un veglione di carnevale all'Astoria a Molfetta. Mio padre era fiero di me e disse che era giunto il momento per il figlio quasi diciottenne di acquistare un abito nero, con camicia bianca e cravatta bordeaux. Ci sono dei momenti della vita in cui, ripensandoci dopo, avresti voluto prendere un'altra decisione. Eppure ricordo non ne ero entusiasta. Mio padre quella sera di febbraio mi diede per la rasatura della prima barba anche il rasoio elettrico e disse: «Usa questo, è molto comodo e veloce». E così, vestito di tutto punto, come un damerino (diceva mia madre) partimmo per l'Astoria.

Trascorsero i mesi, arrivò il luglio del 1972 con gli Esami di Maturità. Stavano cambiando tante cose e ciò che mi segnò profondamente fu questo episodio indelebile che segnò la fine dei sogni, la fine della giovinezza, la fine della spensieratezza, la fine del Corsaro Moto Morini 125 rosso.
Una mattina di quell'estate del 1972 mio padre, accortosi che ancora ad agosto ero preso da un nuovo tormentato amore giovanile, dal Corsaro e dall'idea di "pericolose" fughe da casa, rientrato un giorno dallo studio entrò in cucina, aprì la borsa medica e lasciò cadere rumorosamente un grosso libro sul tavolo esclamando: «Comincia a leggere... Gli altri 5 sono a casa».
Spalancai gli occhi e lessi: anatomia umana normale.
La festa era finita... iniziava una nuova Via Crucis!
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Rubrica di pediatria a cura del dottor Antonio Marzano - pediatra di famiglia

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